Federer colpito dalla sindrome di Wimbledon (Semeraro). Kyrgios croce e delizia. Rischia una lunga squalifica (Crivelli, Piccardi). Gianni Clerici, "Tennis, arte e Wimbledon (Annovazzi)

Rassegna stampa

Federer colpito dalla sindrome di Wimbledon (Semeraro). Kyrgios croce e delizia. Rischia una lunga squalifica (Crivelli, Piccardi). Gianni Clerici, “Tennis, arte e Wimbledon (Annovazzi)

La rassegna stampa del 17 agosto

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Federer colpito dalla sindrome di Wimbledon (Stefano Semeraro, La Stampa)

Sessantadue minuti. Roger Federer non perdeva così in fretta da sedici anni, dal primo turno di Sydney contro Franco Squillari nel 2003, 6-2 6-3 in cinquantaquattro minuti: un infortunio di gioventù, anche se il gaucho Squillari è uno dei non moltissimi che il Genio possono dire di averlo sempre battuto (2 volte su 2, la prima ad Amburgo nel 2001). Aveva 21 anni, Roger, e non aveva ancora vinto (quasi) niente. La lezioncina (6-3 6-4) rimediata giovedì a Cincinnati dal 21enne Andrey Rublev solleva problemi diversi, considerato che oggi di anni Ruggero ne ha 38, che il Masters 1000 dell’Ohio negli ultimi tre lustri lo ha vinto sette volte, e che appena un mesetto fa nella finale di Wimbledon più lunga della storia si era mangiato due matchpoint contro il numero 1 del mondo fallendo di un amen, anzi due, il 21esimo Slam. Che succede, campione? Ci dobbiamo preoccupare? «Io ho avuto problemi fin dall’inizio, Andrey ha giocato benissimo», ha spiegato il numero 1 emerito (e 3 reale) del mondo». Non ha sbagliato niente ed era dappertutto. Mi ha impressionato». Verissimo. […] «Non ha ancora smaltito la delusione di Wimbledon», sostengono i Federeriani Affranti. «Le giornate passate in camper a giocare con i gemelli e a mangiare le torte di Mirka non aiutano la preparazione», ribattono i Federeriani Speranzosi. A Cincy però Roger un turno lo aveva comunque giocato, e sbrigato anche abbastanza brillantemente, contro Londero. Un Federeriano Equilibrato concluderebbe che a 38 anni le giornate storte, inevitabilmente, sono più frequenti che a 21. Che bisogna farci l’abitudine. E sperare che agli Us Open, dove arriverà con appena due partite di rodaggio sul cemento, il Patriarca riesca a produrre altri miracoli. Senza mettere il timer alla Provvidenza

Kyrgios, non c’è limite al peggio. Ora anche l’Australia lo scarica (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Prigioniero del suo personaggio, dei suoi fantasmi, della sua nomea di cattivo ragazzo irrecuperabile. Nick Kyrgios ci ha anche giocato, in carriera, quasi che gli show circensi in campo servissero a mantenere desta la fiamma di una passione per il tennis mai veramente coltivata nonostante un talento fuori dall’ordinario. Ma ciò che è accaduto mercoledì a Cincinnati segna probabilmente il superamento definitivo dei confini della decenza. E anche i tanti ammiratori del Kid di Canberra stavolta non hanno potuto derubricare l’evento alla solita mattana. Multa record. La cronaca è presto fatta: sul 4-4 del match di secondo turno contro Khachanov, Kyrgios prende un warning dall’arbitro irlandese Fergus per time violation (25″) sul servizio. Il momento è delicato e il richiamo diventa la scintilla che manda l’australiano ai matti: «Trovami un video in cui Nadal serve così velocemente e io mi tappo la bocca per sempre», dirà d’acchito al giudice di sedia. Cominciando una battaglia personale con Murphy, più volte definito «stupido» e «il peggiore del mondo». Perso il secondo set al tie break, Nick a un certo punto lascerà il campo senza permesso per spaccare due racchette nel tunnel degli spogliatoi, rifiuterà di rispondere a un servizio e sputerà in direzione dell’arbitro alla fine della partita (persa), senza dargli la mano. Alla fine, collezionerà otto violazioni (quattro condotte non sportive, uscita dal campo non permessa, oscenità udibile e abuso verbale) per un totale di 113.000 dollari di multa (102.000 euro), ben superiori ai 39.200 dollari (35.300 euro) del montepremi per l’eliminazione al secondo turno. […] Australia in guerra. Kyrgios venne già sospeso otto settimane nei 2016, dopo le accuse di scarso impegno al torneo di Shanghai, fino a oggi lo zenit delle sue follie, cui si aggiungono molteplici episodi, dagli insulti a Wawrinka sull’onorabilità della fidanzata alla sedia lanciata in campo (con relativa squalifica) agli Internazionali d’Italia a maggio. Ma la notte dell’Ohio colma la misura e i più arrabbiati sono proprio i connazionali australiani. Tony Jones, veterano dei giornalisti tv di Nine (che trasmette gli Australian Open) non ha usato mezze misure: «Nick è un imbarazzo per il nostro sport e credo anche per lo sport mondiale. L’Atp dovrebbe finalmente mostrare la spina dorsale e usare la mano pesante, impedendogli di partecipare ai prossimi Us Open». Parole di fuoco anche da Richard Ings, ex capo dell’antidoping aussie e soprattutto già giudice di sedia nel tennis: «Un atteggiamento spregevole, da idiota. Nessun arbitro si merita di essere trattato come ha fatto Kyrgios». Anche i giornali hanno abbandonato ogni cautela e The Australian ha definito la scenata di Cincinnati «la più vigliacca mai vista, un bambino che perde il controllo e ha un attacco d’ira». Il Sydney Daily Telegraph, invece, ha parlato di «show che ha toccato un nuovo punto più basso». Soprattutto, Kyrgios sembra aver perso la stima anche di chi lo ha sempre difeso, come Andy Murray, uno dei pochi amici del circuito: «Quello che ha fatto Washington due settimane (vittoria nel torneo con partite spettacolari, ndr) è stato sublime, ciò che ha fatto a Cincinnati è da dimenticare in fretta». Ma il tempo della comprensione è finito.

Kyrgios più croce che delizia. Rischia una lunga squalifica (Gaia Picardi, Corriere della Sera)

Lancio della palla: warning. Uscita dal campo non autorizzata: 3 mila dollari. Oscenità udibile: 5 mila. Abuso verbale: 20 mila. Più cinque ammonizioni per condotta antisportiva: 85 mila. Totale: 113 mila dollari di multa. È costato caro a Nicholas Hilmy Kyrgios detto Nick, 24 anni, talento australiano di padre greco e madre malese, irascibile n.27 della classifica mondiale, il secondo turno del torneo di Cincinnati (dove ahinoi ha perso anche Federer con Rublev). E quel che è peggio — ammesso che al reprobo freghi qualcosa — è che l’Atp ha aperto un’indagine (come fece con Fognini dopo gli insulti sessisti alla giudice all’Open Usa 2017) per verificare se il comportamento di Kyrgios dopo la sconfitta con Khachanov (incluso lo sputo al giudice di sedia Fergus Murphy) configuri una «major offense» che giustifichi una squalifica. Siamo punto a capo. Il tennis si spacca di nuovo davanti al comportamento bipolare del più selvaggio dei giovani aspiranti campioni, nell’arco di pochi giorni capace di conquistare il torneo di Washington (sesto titolo Atp) deliziando il pubblico con colpi impossibili e addirittura coinvolgendolo («Devo servire al centro o a uscire?» la sua gag sul match point con uno spettatore delle prime file) e poi di uscire da quello di Cincinnati tra fischi di sdegno e le critiche di mezzo mondo. […] «A volte perde la testa per la frustrazione di non riuscire ad esprimere il suo enorme potenziale — spiega l’amico Andy Murray —, ma fuori dal campo è un bravo ragazzo con un grande cuore. Spero che riesca a risolvere i suoi problemi». Anche gli specialisti si erano arresi: già nell’ottobre 2016, dopo un’orribile sceneggiata a Shanghai (match platealmente buttato via con Zverev: «Mi stavo annoiando»), Kyrgios aveva patteggiato una squalifica con tre settimane di stop per andare in cura da uno psicologo. Tutto inutile. La lista dei misfatti, con le racchette rotte (un classico) e lo sputo di Cincinnati, si allunga. Se giocare con sufficienza e svogliatezza è ormai un cliché (in carriera ha accumulato multe su multe), celebri rimangono la frase sibilata a Wawrinka a Montreal 2015 («Kokkinakis si è portato a letto la tua fidanzata!» alludendo alla tennista croata Donna Vekic), il gesto osceno durante la semifinale 2018 al Queen’s, le pallate al corpo degli avversari (contro Nadal a Wimbledon lo scorso luglio, dopo essersi vantato di aver passato la vigilia al pub: «Se mi scuso con Rafa? No, con i soldi che guadagna può prendere una palla sul petto…») e mille altre mattane che hanno fatto inorridire, tra gli altri, John Newcombe, grande vecchio del tennis aussie: «Kyrgios? Pessimo esempio per i bambini, non rappresenta i nostri valori sportivi». Il più gentile, su twitter, lo chiama «stupido bambino irritante». Alla prossima puntata.

Gianni Clerici, “Tennis, arte e Wimbledon” (Carlo Annovazzi, La Repubblica)

Il signore del tennis continua ad amare la sua passione come la prima volta. Gianni Clerici è un instancabile osservatore e cantore del gioco della racchetta, la sua ultima battaglia è la creazione di un circolo della pallacorda con l’istituzione del club delle Balette, ovvero le palline con le quali si giocava al tennis prima che la gomma fosse scoperta in Sudamerica. […] Che lui ha cercato e, quando possibile, acquistato in giro per il mondo e che ha raccolto in un libro “Il tennis nell’arte — Racconti di quadri e sculture dall’antichità ad oggi”, uscito per Mondadori nella metà bassa dello scorso anno. Stasera Clerici, firma di Repubblica, ne parlerà a Zelbio nel festival curato da Armando Besio, con lui la storica di arte antica Milena Naldi. Premessa. Nelle interviste si dà rigorosamente del lei. Ma stavolta dobbiamo andare oltre le regole, giusto? «Dobbiamo darci del tu, siamo sulla stessa barca». Bene, via allora. Qual è, Gianni, il pezzo artistico di cui vai più fiero? «Il primo è un quadro che purtroppo non mi appartiene. È di un pittore fiammingo, Lucas Gassel, del 1540. Ce ne sono nove copie in giro per il mondo, una è al Louvre, tre a Londra. In primo piano ci sono le figure di Davide e Uria, il marito di Betsabea. Sullo sfondo, come in secondo piano, si vede una sorta di campo di tennis. È il protoquadro del tennis. Ma io non lo possiedo, ahimè. Pensa che una copia l’aveva una famiglia di Como, la corteggiai ma mi chiesero 70 milioni negli anni Sessanta e non li avevo. La prima vera opera d’arte che ritrae il tennis, però, è in Spagna». Dove? «Nella cattedrale di Barcellona. Un bassorilievo ligneo firmato Pere Salgada, in una sedia del coro si riconoscono due monaci con due simil racchette. Me lo ha fatto scoprire una bambina figlia di un collega che segue il tennis. Non lo aveva mai notato nessuno perché quando la cattedrale è aperta li si siede il coro. Il periodo è tra il 1394 e il 1399». Ma il tennis è ancora arte? «Probabilmente lo è ancora. Anche se non ne sono sicurissimo». E perché? «Perché non è più stato rappresentato nell’arte. Non ci sono quadri che ritraggono un contemporaneo, che so, Venus e Serena Williams, Rod Laver. Ormai solo fotografie. È questo mi fa dubitare che il tennis possa essere ancora percepito come arte». Chi è stato il più artista degli infiniti giocatori che hai visto? «È una bellissima domanda a cui però non so rispondere, citandone uno farei torto a un altro». Don Budge? «Mah, lui è stato uno dei più grandi ma aveva mutuato il gesto dal baseball e non so se possiamo definire arte un colpo di baseball, forse si». Qual è invece il luogo di tennis più artistico? «Wimbledon. Perché lì c’è tutto, la storia visto che è nato nel 1874, io non mi ricordo quasi il mio anno di nascita invece quello di Wimbledon mi viene di getto e questo significa quanto io vi sia legato. C’è il museo, ci sono i campi in erba, c’è sempre un torneo dello Slam. Dopo Wimbledon, direi Newport». Dove tu sei protagonista. «Protagonista è eccessivo ma sì, sono nella Hall of Fame in quel bellissimo museo del tennis grazie ai 500 anni di tennis che è, dei ventotto, il mio scritto più famoso al mondo. Il presidente Todd Martin, ex giocatore, è un amico, è stato a casa mia a vedere la collezione e vorrebbe portarla proprio nel museo di Newport, visto che in Italia nessuno ha mostrato interesse. E poi come terzo luogo c’è Forest Hills, raffinatissimo». Gianni, dopo così tanti anni che cosa è ancora per te il tennis? «Un vizio, un’abitudine. Le ore che ho trascorso in o presso un campo sono la mia vita». A Zelbio Alle ore 21 Gianni Clerici parlerà di tennis, di arte e del suo libro edito da Mondadori a Zelbio Cult, giunto alla dodicesima edizione

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