WTA, diario di un decennio: il 2013 - Pagina 4 di 5

Al femminile

WTA, diario di un decennio: il 2013

Quarta puntata degli articoli dedicati agli anni ’10 in WTA e alle sue protagoniste: l’anno dei record di Serena Williams, il secondo Slam di Azarenka e la sorpresa Bartoli a Wimbledon

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Marion Bartoli e Sabine Lisicki - Wimbledon 2013
 

Radwanska e gli Slam
La carriera di Radwanska si è chiusa con il ritiro alla fine del 2018, si può quindi tentare un bilancio definitivo del suo rapporto con gli Slam. La mia interpretazione è che se non è mai arrivato l’acuto sia stato fondamentalmente per tre motivi.

Il primo è che poteva sperare di far bene solo in due Major su quattro: la terra non faceva per lei e in più, stranamente, non si  è mai espressa al meglio a Flushing Meadows. Quindi aveva chance dimezzate già in partenza.

Il secondo motivo è legato al suo tipo di tennis. Radwanska entra in Top 10 nel 2008 e ci rimane per dieci stagioni, fino al 2017. In questo periodo fino al 2015 tutte le vincitrici Slam sono giocatrici di attacco e con una certa potenza. In sostanza tenniste che mettono in campo il cosiddetto “big game”. E questa non era una dote di Aga, che invece possedeva un tennis leggero, in cui proprio la scarsa potenza era il limite che doveva provare a mascherare nei confronti ad alto livello, inventandosi soluzioni alternative.

Per descrivere il suo tennis, una volta avevo preso a prestito la famosa definizione coniata da Mohammed Ali “vola come una farfalla e pungi come un ape”. Perché la prima dote di Radwanska stava nella mobilità, e sulla base di questa superiore leggerezza negli spostamenti costruiva il suo gioco, che era un mix di grandi doti difensive unite a un repertorio di colpi di tocco unici nella sua generazione. Quei tocchi che le permettevano di inventarsi soluzioni (al rimbalzo o di volo) di grande spettacolarità; i famosi hot shots che la vedevano sempre primeggiare nelle votazioni di fine stagione.

Quando poi, dal 2016 di Angelique Kerber, negli Slam si sono affermate anche tenniste con uno stile di gioco più difensivo, si è comunque trattato di giocatrici fisicamente più “toste” di Radwanska.

Infine il terzo motivo. Direi che lo si può sintetizzare con la parola sfortuna; se “sfortuna” suona troppo irrazionale, possiamo sostituirlo con “circostanze”.

Cito tre episodi, probabilmente i più importanti. Nel 2012, quando raggiunge la sua unica finale Slam, a Wimbledon contro Williams, scende in campo con la febbre: le pessime condizioni climatiche dei primi turni, che l’hanno obbligata a giocare anche sotto la pioggia, le hanno causato tosse e raffreddore. Forse ricorderete Aga durante la premiazione che parla con la tipica voce di chi ha l’influenza. Fosse stata al 100% avrebbe battuto Serena? Penso di no, ma certo trovarsi ad affrontare la partita più importante della carriera con la febbre non è il massimo che si possa desiderare.

Un altro episodio nel 2014. In Australia capita nella parte di tabellone di Azarenka, che è la due volte campionessa in carica. La sconfigge, giocando forse il miglior match della carriera, e interrompendo l’imbattibilità di Vika che dura da 18 match.

La partita si gioca nell’ora più calda della giornata sotto un sole torrido e costa moltissime energie psicofisiche, visto che si prolunga al terzo set. È la tipica situazione in cui si benedice la formula degli Slam, con il giorno di riposo fra un turno e l’altro. E invece questo sforzo lo sostiene proprio nell’unica fase di calendario (tra quarti e seminfinali) che a Melbourne non prevede la giornata di riposo.

Risultato: Aga deve scendere in campo il giorno successivo contro Cibulkova, che invece ha sconfitto una deludente Halep per 6-3, 6-0 e ha speso pochissimo. Quasi inevitabile la sconfitta, in una partita che nemmeno comincia (6-1, 6-2).

Ma probabilmente il più grande rammarico è quello di Wimbledon 2013. In questa edizione Radwanska è l’unica Top 10 che non delude, anzi: nei quarti vince un grande match contro Li Na. Una partita durissima, tanto che poi in semifinale si presenta con entrambe le cosce fasciate. Ma il traguardo è vicino: tra lei e la finale c’è solo Sabine Lisicki. Si trova avanti 3-1 nel terzo set ma non riesce a tenere il vantaggio e finirà per perdere 9-7.

Una sconfitta al fotofinish che le fa particolarmente male perché quando scende in campo conosce già il nome della finalista uscita dall’altro confronto: Marion Bartoli. Mi direte: e allora? Ecco quali erano i risultati degli scontri diretti fra Radwanska e Bartoli al momento in cui si è giocata la finale di Wimbledon. Dati che non sono più cambiati visto che Marion si sarebbe ritirata dopo qualche settimana:

2012 Radwanska d. Bartoli 6-4 6-2 Miami, hard
2011 Radwanska d. Bartoli 6-3 6-2 Dubai, hard
2010 Radwanska d. Bartoli 6-3 6-2 Indian Wells, hard
2009 Radwanska d. Bartoli 6-4 6-3 Pechino, hard
2008 Radwanska d. Bartoli 6-2 6-3 Tokyo, hard
2008 Radwanska d. Bartoli 7-5 6-3 Eastbourne, grass
2007 Radwanska d. Bartoli 0-6 6-2 6-1 Stoccarda, hard

Diciamo che un parziale risarcimento per queste “circostanze” lo ha avuto a Singapore quando ha vinto il Masters 2015 pur avendo perso due partite nel Round Robin. Ma chi baratterebbe uno Slam con il Masters?

a pagina 5: Williams da record

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