Federer tra filantropia e ritorno in patria... materna: "Dopo il ritiro farò di più per la fondazione"

Interviste

Federer tra filantropia e ritorno in patria… materna: “Dopo il ritiro farò di più per la fondazione”

In una lunga intervista al Tages Anzeiger lo svizzero ha parlato del suo legame con il Sudafrica (dove giocherà venerdì contro Nadal), dello “shock culturale” alla sua prima visita in Malawi e Zambia e dei progetti futuri della sua fondazione

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Roger Federer - Shanghai 2019 (foto via Twitter, @SH_RolexMasters)
 

Due settimane dispendiose a livello fisico e mentale a Melbourne, una sfortunata semifinale Slam (la 46esima in carriera) e una settimana per ricaricare le batterie. Roger Federer ha già raggiunto il Sudafrica dove venerdì 7 febbraio giocherà a Città del Capo un match d’esibizione con Rafael Nadal, suo più grande rivale, ma anche tra i suoi amici più stretti nel circuito ATP. A dicembre Federer ha rilasciato una lunga intervista a Simon Graf, giornalista del Tages Anzeiger e autore di un libro che racconta la vita del campione svizzero. Graf ha pubblicato la seconda parte di quella chiacchierata, in cui Roger si è soffermato sul “Match in Africa” di Cape Town, sulle attività della Roger Federer Foundation e su eventi e iniziative benefiche che ha portato avanti in passato e che continuerà a promuovere.

“Da bambino passavo in Sudafrica due mesi all’anno” ricorda Federer. Sua madre Lynette è nata lì, ma da quando Roger ha iniziato a vivere per il tennis 365 giorni all’anno non era mai riuscito a giocare nel suo secondo Paese d’origine. “Tutta la famiglia era lì, compresa mia sorella, ovviamente. Abbiamo sempre trascorso le vacanze estive in Sudafrica, visitato i membri della famiglia in tutto il paese, visitato il Kruger National Park. Ho il passaporto sudafricano, ma è scaduto. Sono felice come un bambino quando il Sudafrica vince la Coppa del mondo di rugby. Perché so cosa significa per un paese a cui mi sento molto legato”.

Federer ha l’Africa nel cuore. La sua fondazione è attiva in Zambia, Malawi, Zimbabwe e Tanzania e Federer stesso ha passato diversi giorni tra la gente del posto, nei luoghi in cui ha finanziato la costruzione di decine di scuole. Il rimpianto di ‘Re Roger’ è non aver mai incontrato Nelson Mandela, volto simbolo del Sudafrica: “Una volta si è discusso sull’opportunità di incontrarlo, ma stava già abbastanza male. Ora penso che sia stato un errore non essere andato prima in Sudrafrica per averne la possibilità. Mandela è stata una figura molto importante per questo paese. La sua leggenda e la sua ispirazione continuano a vivere”.

In molti si chiederanno se in Sudrafrica il mito di Federer è radicato quanto in Europa e nel resto del globo. Nel Paese di mamma Lynette c’è chi ricorda Roger così: “Come il bambino che saltava e giocava sempre. Certo, hanno seguito la mia carriera e sono felici che sia andata così bene. Ma non per questo mi guardano diversamente. E anche i miei genitori sono sempre esattamente gli stessi. Sfortunatamente non abbiamo tanti familiari come una volta, ma anche per questo motivo il viaggio sarà così speciale. Incontrerò tante persone che non vedo da molto tempo. Ecco perché abbiamo organizzato una grande festa per il giorno dopo la partita, in cui ci riuniremo tutti. Significa tanto per la mia famiglia, non potevo giocare e andare via subito”.

Federer e Murray in occasione del “Match for Africa 3” (aprile 2017, Zurigo)

Roger si è poi soffermato sull’esperienza vissuta nel 2015 in Malawi e Zambia, in villaggi che ancora non conoscono la modernità e dove sono concentrati gli sforzi della sua fondazione: “Non credo che mi conoscessero. Mi vedono più come una persona che aiuta. Conoscevano il ping pong, non il tennis. Non hanno una televisione, sono così lontano dalla civiltà moderna. Come potrebbero conoscermi lì? Vivono una vita completamente diversa. Si va al pozzo a prendere l’acqua e si cammina per tante ore. Attività come queste occupano gran parte della giornata”.

“Quando ho visitato il nostro primo progetto a Port Elizabeth, è stato uno shock ha continuato. “Non si tratta solo di progetti scolastici, ma anche di progetti per bambini affetti dal cancro. Ricordo di aver visto bambini malati terminali sdraiati nei loro letti. Non ero preparato per quello. Mi ha scosso. Oggi la vedo diversamente: continuo a incontrare persone il cui ultimo desiderio è incontrarmi. Lo faccio sempre. Cerco di aiutare. Questo è tutto ciò che posso fare. È pura fortuna che io sia cresciuto in Svizzera, ecco perché penso che ci si debba aiutare l’un l’altro”.

Spesso quando pensiamo a personaggi del calibro di Federer, crediamo che per loro sia tutto più semplice, principalmente per le possibilità economiche quasi infinite. Ma ogni scelta deve essere comunque calibrata al millimetro, ce lo conferma lo svizzero: “Quando aiuto una persona, vengo criticato per non averlo fatto con gli altri. Da un lato devo riflettere attentamente su quello che faccio, ma devo anche essere in grado di trascurare le critiche. Non posso essere ovunque, non posso fare tutto. Sono anche un padre e un giocatore di tennis. Sono consapevole di poter fare la differenza, prendere il microfono e affrontare determinati temi. Ma non posso farlo tutto il tempo. È importante scegliere le cose giuste al momento giusto e trasmettere il tuo messaggio in modo corretto. Ci sono state delle critiche per le esibizioni in Sud America, ma non è stato un viaggio politico. È stato emozionante, estenuante, ma bellissimo e i guadagni sono andati alla fondazione. Volevo rendere felici le persone che difficilmente avrebbero visto il tennis dal vivo. Non ho lasciato entrare nessuno, non volevo che i governi fossero coinvolti“.

Ho creato la mia fondazione molto presto e vado in una direzione precisa: quella dell’istruzione” ha detto Federer, confermando la linea del suo progetto partito nel 2003. Con il peso che ha la mia voce ora, posso anche decidere di essere coinvolto in altri progetti. Nello sport, ad esempio, aiutando i giovani atleti a condurre una carriera. O in tema di sviluppo sostenibile. Se puoi incontrare il presidente del Malawi, il vicepresidente dello Zambia o il presidente della Namibia o del Sudafrica, puoi fare la differenza. In quelle conversazioni, puoi provare a inserire l’istruzione nell’agenda di ciascun paese. Per il momento, tuttavia, preferisco affrontare questi discorsi in famiglia, con i miei amici, con gli sponsor. Non sono pronto e non ho il tempo di svolgere un ruolo pubblico”.

Quanto alla possibilità di destinare una quota fissa dei suoi guadagni alla beneficenza, Roger dice questo: “Non ho una regola fissa per dividere i guadagni. So che Bill Gates ha lanciato una campagna in base alla quale i miliardari si impegnano a donare in beneficenza una parte chiaramente definita del loro reddito. Penso che sia un’idea eccellente e potrei immaginare di unirmi a questa pratica un giorno”.

Roger Federer e Bill Gates durante il Match for Africa 4 a Seattle, 29 aprile 2017

Prima si sfidare Nadal, già protagonista di un “Match for Africa” nel 2010 a Zurigo, Federer tornerà a giocare proprio assieme a Bill Gates, come nel 2017 e 2018: “La fondazione di Bill Gates è così grande che possiamo trarre vantaggio dalla sua struttura. Naturalmente è molto stimolante passare del tempo con persone brillanti come Bill Gates. Mi sento molto piccolo accanto a Gates, ma posso imparare molto. Devi ascoltare attentamente e capire rapidamente, perché i dettagli possono fare la differenza”.

Su tornei, fondazione e famiglia si basa la vita di Roger Federer, ma coma intende organizzarla nei prossimi anni, anche dopo il suo ritiro? Proviamo a creare una certa normalità attorno ai bambini nonostante i viaggi. Anche se dormono spesso in albergo. Spiego anche loro che è normale annoiarsi e che funziona così nelle grandi città. È anche una sfida. Soprattutto con i bambini. Cerchiamo di rimanere in un posto con la famiglia il più a lungo possibile. Ecco perché ho saltato l’ATP Cup. Discuto costantemente con Mirka su come possiamo trovare la soluzione più semplice per i bambini. Dopo il ritiro farò di più per la fondazione perché mi piace essere coinvolto, avrò più tempo. Non potrò giocare nei “Match for Africa” come oggi, perciò dovremo compiere sforzi ancora maggiori per raccogliere denaro. Se fossi riconosciuto per il mio impegno nei confronti della fondazione tanto quanto per quello che ho realizzato nel tennis, sarebbe fantastico per me”.

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