Tutte le strade dello Slam

Rubriche

Tutte le strade dello Slam

La straordinaria gara per la supremazia Slam tra Roger Federer, Rafa Nadal e Novak Djokovic raccontata nel linguaggio dello sport epico per antonomasia, il ciclismo

Pubblicato

il

(foto credit: Tennis.com)
 

Molto probabilmente anche noi come Novak Djokovica sentire le sue parole nella conferenza stampa dopo la vittoria a Melbournesolo tra qualche anno capiremo del tutto la grandezza delle imprese che sono stati in grado di realizzare in tutti questi anni il fuoriclasse serbo e quegli altri due fenomeni – che avevano iniziato a collezionarne già da circa un lustro prima dell’avvento di Nole – che rispondono al nome di Roger Federer e Rafa Nadal. A partire dal livello a cui stanno portando la loro sfida dai connotati ormai epici, quella per la leadership nella classifica che probabilmente conta di più nella storia del tennis, quella dei titoli Slam vinti. Una classifica che già dallo scorso anno li vede sui primi tre gradini del podio – dopo che Djokovic vincendo per la settima volta in Australia si è insediato solitario al terzo posto staccando Sampras – e nella quale attualmente il loro numero di Slam (56) è pari a quelli di Sampras, Borg, Connors, Lendl, Agassi e McEnroe messi insieme. Praticamente, in tre in quindici anni come il meglio di trent’anni di Era Open.

I 55 Slam dei Big Three dal 2004, manca Wimbledon 2003 di Federer (fonte: Eurosport)

In questo articolo ripercorreremo questa avvincente corsa a tre, iniziata “ufficialmente” in Australia nel 2008 quando anche Djokovic iscrisse il suo nome nell’albo d’oro dei vincitori Slam. E crediamo che, per quanto convinto di diventare un campione, in quell’estate australiana di dodici anni fa quel talentuoso teenager serbo mai avrebbe pensato che la vittoria in finale contro Tsonga stesse dando il via a un confronto a colpi di titoli Slam mai visto prima nella storia di questo sport. Una corsa che ripercorreremo però in un modo un po’ diverso al solito, proprio per omaggiarne la grandezza, usando il linguaggio dello sport epico per antonomasia: il ciclismo.

Partiamo perciò da quel gennaio 2008 a Melbourne, quando vincendo la sua prima tappa Slam il 20enne Djokovic fece anche il suo ingresso nella prestigiosa classifica, con un distacco di undici lunghezze dal 26enne Federer – che contava cinque trionfi a Wimbledon, quattro a New York e tre in Australia – e un paio dal 21enne Nadal, che aveva già infilato le prime tre perle della sua collana di vittorie in quello che stava cominciando a diventare il suo giardino di casa, il Roland Garros. In realtà, in quel momento storico sembrava si trattasse di una gara individuale dello svizzero, praticamente un record dell’ora con nel mirino il primato assoluto di 14 Slam di Pete Sampras. Che Roger avrebbe eguagliato l’anno successivo con il suo unico sprint vincente sulla terra francese, che gli avrebbe regalato anche il tanto agognato Career Grand Slam, per poi superarlo un mese dopo con il sesto trionfo ai Championships.

Roland Garros 2009: Federer bacia la Coppa dei Moschettieri appena vinta e raggiunge il record di titoli Slam di Sampras

Tornando alla vittoria di Djokovic, lì per lì sembrò il guizzo di un talentuoso sprinter che riesce a imporsi in una classica, non certo il primo sigillo di un passista-scalatore pronto a puntare alla vittoria nella gara a tappe più prestigiosa. Il resto dell’anno e nelle due stagioni successive Djokovic rimase infatti nelle retrovie (se così si possono definire una finale e quattro semifinali), mentre invece imponendo un ritmo infernale – vinsero dieci degli undici Slam a disposizione: sei Rafa, quattro Roger – gli altri due andarono in fuga, allungando sino al massimo vantaggio sul serbo: +15 per Federer, sempre più primatista solitario, +8 per Nadal, che con i tre Slam consecutivi vinti nel 2010 entrò di prepotenza tra i primi dieci della classifica. Soprattutto però lo spagnolo, realizzando a sua volta il Career Grand Slam con il trionfo a New York nel 2010 (il suo primo e ancor oggi unico Australian Open lo aveva conquistato l’anno prima, superando con un poderoso allungo nel parziale decisivo Federer in finale, quella del commosso “God, It’s killing me…” pronunciato dallo svizzero dopo il match), si dimostrò capace di vincere su tutti i terreni, candidandosi seriamente a competere per la classifica generale, dato che i sette Slam di distacco erano equilibrati dai cinque anni in meno sulla carta d’identità.

Ma il velocista Nole, cambiata alimentazione per superare l’intolleranza al glutine che lo aveva reso vulnerabile nelle tappe più lunghe e faticose, era pronto anche lui a confrontarsi sui tracciati più duri e a competere per la classifica generale della gara a tappe che regala l’immortalità tennistica. Il clamoroso triplete del 2011, con cui entrò definitivamente tra i grandi di questo sport, gli permise di accorciare notevolmente il distacco, che poi nel triennio successivo rimase sostanzialmente invariato rispetto allo spagnolo mentre riuscì a ridurre ancora un pochino quello dallo svizzero, ancora comunque da doppia cifra (+10).

Wimbledon 2014: Djokovic batte Federer in finale e si porta a 10 titoli Slam di distacco

I cinque Slam vinti tra il 2015 e la prima metà del 2016, con i due grandi avversari in crisi e fermi sui pedali (nessun Major nel biennio, dopo dieci anni in cui almeno uno dei due una tappa Slam se l’era portata a casa) parvero ai più il preludio ad un imminente aggancio. Soprattutto su Rafa, che – tra un infortunio e l’altro – dopo l’ultimo scatto vincente del 2014 a Parigi era riuscito ad ottenere solo un paio di dignitosi piazzamenti (quarti di finale in Australia e in Francia nel 2015) e a quel punto era in vantaggio di due Slam, esattamente come all’inizio di questa lunghissima gara a tappe che stava durando da più di otto anni. Più rassicurante il vantaggio di cinque Slam di Roger. Rassicurante ma non troppo, dato che l’ultima vittoria del quasi 35enne svizzero risaliva praticamente a quattro anni prima (Wimbledon 2012) e visto il passo tenuto da Djokovic negli ultimi due anni. A dare una mano a Federer in quegli anni arrivò per sua fortuna il gregario diventato finalmente campione, Stan Wawrinka, che battendo il serbo nei quarti in Australia nel 2014 (e già che c’era anche Nadal in finale) e soprattutto nella finale di Parigi 2015, non consentì al tennista belgradese di ridurre ulteriormente il distacco in classifica dal connazionale.

La situazione a metà 2016 (fonte: ATP Tour)

Dopo aver finalmente conquistato l’unica classica che gli mancava, il Roland Garros, e realizzato a sua volta il Career Grand Slam e addirittura l’impresa di detenere tutti e quattro i titoli Major – riuscita prima nell’Era Open solo a Rod Laver nel 1969 – nella seconda metà del 2016 il campione belgradese “scoppiò”, con i primi segnali di crisi che si palesarono a neanche metà percorso della frazione successiva, quella che si snoda lungo Church Road, con una sconfitta prima dei quarti – anche stavolta al terzo turno – che non si verificava dall’Open di Francia 2009. Sembrò proprio che la fatica della rimonta si fosse fatta sentire tutta all’improvviso, sia a livello fisico (vedasi i problemi, con conseguente operazione, al gomito) che mentale (leggasi il completo cambio del team). Con le gambe (e la testa) svuotate Nole non riuscì più a reggere il ritmo.

Invece – dopo essersi presi rispettivamente sei e tre mesi di stop dalle gare nella seconda parte del 2016 per recuperare dai rispettivi infortuni – Federer e Nadal tra il 2017 e la prima metà del 2018 tornarono di colpo ad alzarsi sui pedali e a scattare, allungando insieme – tre Slam a testa – e staccando di nuovo, rispettivamente di otto e cinque lunghezze, il serbo. In quel momento sembrò proprio che Nole avesse perso definitivamente la ruota e che quella fosse la fuga decisiva, destinata a risolversi con uno sprint tra i due storici rivali, sebbene i tre Slam di vantaggio parevano consentire a Roger – che con la seconda affermazione consecutiva a Melbourne, sesta in totale, aveva raggiunto la leggendaria quota di venti trionfi Slam – di controllare con relativa tranquillità il tentativo di rimonta di Rafa, anche se per lo svizzero l’ultimo chilometro della carriera era molto più vicino che per il maiorchino.

La situazione a giugno 2018 (fonte: ATP Tour)

Invece, non senza difficoltà (leggasi la sconfitta contro Cecchinato a Parigi che gli fece venire il pensiero di abbandonare la corsa), Nole strinse i denti, rimise in piedi il suo storico team con alla guida dell’ammiraglia il fidato Marian Vajda, superò la crisi e si mise giù a testa bassa a spingere sui pedali. E, da vero specialista della cronometro, iniziò nuovamente a recuperare progressivamente il distacco. Grazie anche a quella vittoria al fotofinish nella semi di Wimbledon contro Rafa, probabilmente quello che ci voleva in termini di fiducia per sentirsi in grado di cambiare rapporto e tornare a scattar via agile lungo i tornanti successivi. Tanto che alla fine dell’anno, con in bacheca gli Slam n. 13 e 14 (eguagliato l’idolo Sampras), iniziò di nuovo a vedere i rivali alla fine del rettilineo.

Si arriva così alla stagione scorsa, che vedeva le vittorie di tappa tutte appannaggio (due a testa) della coppia inseguitrice ispano-serba. Con Nadal che dopo tanto rincorrere – per lui tutto era iniziato nel 2005, dopo la prima vittoria parigina – trionfava in volata su Medvedev a New York e si metteva finalmente alla ruota di Federer. E cominciava seriamente a pensare di superarlo in progressione, visto la favolosa seconda parte di stagione culminata nella riconquista del trono ATP. Mentre invece lo svizzero rimaneva sui pedali e con il pensiero a quella vittoria sfuggita ad un centimetro dal traguardo qualche mese prima, con i due match point consecutivi annullati da Djokovic nella fantastica finale di Wimbledon, che gli avrebbe permesso l’ennesimo allungo sui rivali.

Rafa Nadal con il trofeo di n.1 del mondo di fine anno (via Twitter, @atptour)

Ma nell’ultima tappa australiana, la 43esima da Melbourne 2008, lo spagnolo ha dovuto riporre momentaneamente nel cassetto i sogni di aggancio, cedendo nei quarti ai poderosi attacchi di Dominic Thiem. Che poi in finale, quando già stava pregustando di tagliare per la prima volta in carriera un traguardo Slam a braccia alzate, si è dovuto inchinare al colpo di reni di Djokovic proprio prima della linea d’arrivo. Il serbo metteva così per la 56esima volta il nome di uno dei tre fenomeni in un albo d’oro Major, la tredicesima nelle ultime tredici tappe. Peraltro la loro striscia-record di vittorie è di diciotto Slam consecutivi, tra l’Australian Open 2005 di Safin e lo US Open di Del Potro del 2009, alla quale curiosamente il serbo ha contribuito solo con quel primo Australian Open da cui siamo partiti. Con l’ultimo, invece, Nole si è portato a -3 da Roger e a -2 da Rafa. Non era mai stato così vicino.

E mentre par di sentire la voce del mitico Adriano De Zan che riepiloga la situazione nel gruppetto di testa (“Ecco Federer, poi a ruota Nadal, poi a chiudere il gruppo Djokovic…”), viene spontaneo chiedersi cosa ci riserveranno le prossime tappe di questa emozionante gara. Proviamo allora ad immaginarlo, almeno per i prossimi due appuntamenti Slam dell’anno.

La situazione dopo l’ultimo Australian Open vinto da Djokovic (fonte: The Journal)

La prossima frazione, l’Open di Francia, potrebbe portare a uno dei tre seguenti scenari. Il primo è quello che vede l’iberico fare tredici in tutti i sensi, sia come titoli al Roland Garros sia perché con la vittoria aggancerebbe a quota 20 Roger, esattamente ad undici anni di distanza da quando lo svizzero raggiunse la vetta eguagliando i 14 titoli di Sampras. Il secondo vede il bis parigino di Djokovic, che così si metterebbe a ruota di Nadal. Infine l’ultimo, quello classico della vittoria del terzo incomodo, il cui profilo più accreditato è quello di Thiem, finalista nelle ultime due edizioni e che dopo Melbourne sembra pronto a spodestare, novello Bernard Thévenet, il cannibale in terra (e soprattutto sulla terra) francese. Proprio come il ciclista francese fece da quelle parti nel 1975 con il cannibale per antonomasia, Eddy Merckx, conquistando il suo primo Tour de France. L’eventuale primo trionfo dell’austriaco consentirebbe a Federer, che salterà la tappa in terra francese in seguito all’operazione al ginocchio destro, di rimanere in testa alla classifica generale mantenendo immutato il vantaggio sui due inseguitori.

Subito dopo ci sarà quella che forse stavolta – questa frase viene infatti ripetuta regolarmente da sei Wimbledon a questa parte, dopo che Federer nel 2013 perse clamorosamente al secondo turno da Stakhovsky e nel frattempo ha vinto altri tre Slam, di cui due sul cemento australiano – potrebbe essere effettivamente l’ultima possibilità per il passista svizzero diventato giocoforza velocista con il passare degli anni (sì, lo sappiamo che di solito accade il contrario: ma c’è qualcosa di normale quando si parla di Roger Federer?) di alzare per l’ennesima volta – sarebbe la ventunesima – le braccia sotto lo striscione del traguardo.

Lo stop forzato dei prossimi mesi non dovrebbe influire sulle chances del fuoriclasse di Basilea di conquistare per la nona volta la classica londinese, o almeno questo è quello che si augurano tutti i tifosi del fuoriclasse di Basilea, che sperano anzi di ritrovarlo a Wimbledon nelle stesse scintillanti condizioni di forma che gli consentirono di trionfare a Melbourne nel 2017 al rientro dall’altro stop. Ma, a seconda di quale scenario parigino si sarà avverato nel frattempo in sua assenza, potrebbe anche consentire a Rafa di superarlo (il che vorrebbe dire vincere nuovamente a Wimbledon a dieci anni dall’ultima volta: ma anche in questo caso, vedendo di chi stiamo parlando, vi pare così impossibile?) o a Nole di affiancare l’iberico – vincendo il terzo titolo consecutivo, sesto in totale, sull’erba londinese – e a portarsi ad una sola incollatura da Federer.

Insomma, dopo più di dodici anni di scatti, allunghi, fughe e rimonte appassionanti, sembra proprio che questa gara debba riservarci ancora le emozioni più grandi. Chissà se uno dei tre tenterà uno scatto a sorpresa all’ultimo chilometro, quello che consente di fare il vuoto e permette di arrivare al traguardo alzando le braccia ben prima della linea, oppure questa gara finirà con il più classico degli sprint al fotofinish. Comunque vada e chiunque dei tre sarà il vincitore, dal ciglio della strada – mentre loro continuano a salire lungo i tornanti che portano all’immortalità tennistica – il nostro applauso di ringraziamento va a tutti e tre questi leggendari campioni per lo spettacolo sportivo e il pathos agonistico che la loro rivalità ha regalato e continua a regalare a tutti gli appassionati di tennis.

Djokovic, Nadal e Federer
Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement