Cinque idee per migliorare il tennis

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Cinque idee per migliorare il tennis

Dalla regola del quinto set negli Slam al controverso medical time out, passando per la distribuzione dei punti ATP: come può essere migliorato il tennis? Discutiamone insieme

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Rafa Nadal - Indian Wells 2019 (foto @Sport Vision, Chryslène Caillaud)
 

Con lo sport ancora fermo ai box per chissà quanto tempo, il momento pare adatto per discutere su come cambiare il tennis in modo da renderlo più appetibile, televisivo, popolare. O anche, semplicemente, più coerente. Esistono infatti ancora aspetti del regolamento stesso del tennis che sono controversi e su cui non solo gli appassionati, ma anche gli stessi tennisti e direttori, dibattono. In questo articolo vogliamo andare dritti al sodo proponendo cinque aspetti del regolamento che potrebbero essere migliorati. Altri aspetti, legati ad alcune cattive abitudini connaturate al tennis, verranno analizzati in un articolo successivo nel fine settimana.

Tutte le sigle che governano il tennis in questi ultimi anni hanno tentato delle sperimentazioni, già implementate in alcuni tornei. La ATP ad esempio, come tutti sanno, sta sfruttando le NextGen Finals per testare alcune idee come il Fast4 (set brevi a chi arriva prima a quattro game, con tie-break sul tre a tre), il NoAd con punto secco sul 40 pari, il No Let che prevede di giocare lo scambio anche se la pallina tocca la rete sul servizio, e così via, fino al coaching libero e alla gestione degli asciugamani. Questi cambiamenti sono appunto già stati sperimentati e quindi non ce ne occuperemo in questo articolo. Andiamo invece di seguito a proporre cinque idee ancora poco (o per nulla) dibattute, elencandole a salire dalla meno alla più significativa.

5 – Cambio di campo durante i Super tie-break

Come detto, si tratta di una minuzia che non cambierà la storia del tennis, ma durante i Super tie-break non si dovrebbe cambiare campo ogni sei punti. La regola ha senso nei tie-break in formato classico: si cambia campo dopo il sesto punto per assicurarsi che entrambi i tennisti ne giochino almeno uno in ogni lato. Pensiamo ad esempio a condizioni di sole basso all’orizzonte che possono sfavorire chi gioca controsole, o di vento contro o a favore. Girando ogni sei punti si garantisce almeno un cambio campo nel corso del tie-break, e ulteriori se (e solo se) si proceda a oltranza. La norma è logica e corretta, ma proprio per questo motivo nel Super tie-break andrebbe adattata alla lunghezza di quest’ultimo, cambiando quindi ogni nove punti.

Con il cambio al sesto e dodicesimo punto infatti si va incontro a due problemi. Il primo è che il ritmo del gioco diviene estremamente frammentato, proprio in un momento clou dell’incontro. I Super tie-break in cui si giocano 12 punti o meno sono rarissimi, sotto l’uno per cento, il che significa avere quasi sempre due cambi campo, uno dei quali perfettamente evitabile. Il secondo problema è la regolarità stessa del Super tie-break. Essendo la durata media di questi intorno ai 17 punti, alla fine ogni tennista avrà giocato di norma 11 scambi in un lato del campo e sei nell’altro. Una discrepanza particolarmente accentuata.

Per spiegarci meglio, supponiamo per assurdo che eventi atmosferici rendano un lato del campo talmente vantaggioso che chi gioca da quella parte della rete, vinca il punto il 100% delle volte. Il sistema con cui i cambi campo sono costruiti al momento fan sì che fino al 6 pari, e anche durante il tie-break, nessuno possa vincere il set sfruttando quella condizione. Si procederà a oltranza in situazione di parità, come corretto. Con l’attuale sistema usato per il Super tie-break invece, questa condizione di giusto equilibrio viene interrotta, e il giocatore che ha la fortuna di servire per primo dal lato di campo favorevole, vincerà il game per 10-6. Ovviamente questa è un’esagerazione per spiegare meglio il principio, ma anche se il vantaggio di giocare da un lato fosse minimo, è comunque corretto che entrambi i giocatori ne approfittino ugualmente. Anche perché i Super tie-break decidono le sorti dell’intero incontro.

4 – Uniformità per il quinto set degli Slam

Di questo in realtà si sta parlando abbondantemente, da quando anche l’Australian Open e Wimbledon hanno abbandonato il concetto del quinto set a oltranza da vincersi con due game di vantaggio; molto probabilmente presto anche il Roland Garros, ultimo torneo al mondo dove si procede ad libitum, sarà costretto a rivedere le sue clausole. Piccola chiosa insignificante, chi scrive era ed è un fan dell’oltranza. Vero è che un match maratona può inficiare la prestazione del vincitore al turno successivo, ma si tratta comunque di un risultato del campo. Nulla di irregolare, saper battere il proprio avversario risparmiando più energie possibile fa parte del gioco.

L’oltranza ci ha regalato pagine epiche di questo sport. Basti pensare alle Olimpiadi di Londra con Tsonga, che dopo il 25-23 a Raonic sconfisse Lopez in due set al turno successivo, e la semifinale fra Federer e Del Potro, con l’argentino che nonostante la fatica e la sconfitta per 19-17, batté Djokovic nella finale per il bronzo, sempre in due set. Parlando poi dell’incontro cui tutti pensano, ovvero il celeberrimo 70-68 fra Isner e Mahut, certamente sarà stato una faticaccia. Ma fra 100 anni due saranno ricordati ancora per quella partita, mentre di altri tennisti con carriere simili solo il web conserverà memoria.

Tornando al punto principale, in ogni caso va ammesso che ormai la direzione intrapresa è quella del tie-break anche al quinto set. Fermo restando che non c’è nulla d’irregolare nel fatto che ogni Slam faccia come gli pare, sarebbe bello che l’ITF mediasse per avere una regola comune fra tutti. In quel caso il compromesso più accettabile, che nessuno ancora adotta, sarebbe il Super tie-break sul 12 pari. Giungere fino a dodici game nel quinto set è più corretto. Non stanca troppo i giocatori, dà comunque ai fan dell’oltranza un contentino, e tiene gli spettatori incollati ai teleschermi. L’ormai iconica finale di Wimbledon dello scorso anno avrebbe perso una buona fetta della sua epica con un tie-break sul 6 pari. E chissà quanti bei momenti di tennis ci saremmo potuti godere con qualche game in più agli US Open in queste ultime decadi.

Allo stesso modo, il Super tie-break, se proprio deve essere un game secco a decidere un match, è meno aleatorio di un tie-break normale e lascia più spazio a capovolgimenti di fronte. Purché, mi raccomando, si cambi campo ogni nove punti.

Novak Djokovic e Roger Federer – Wimbledon 2019 (via Twitter, @ATP_Tour)

3 – Definizione dell’inizio del punto

Altro aspetto di cui si parla stranamente poco riguarda il lancio della pallina nel movimento del servizio. Da regolamento nel tennis il punto inizia quando il giocatore al servizio comincia il movimento per impattare la pallina con la racchetta. Ne consegue che il lancio della stessa può essere ripetuto più volte. Per assurdo anche mille, senza incorrere in penalità, purché non si faccia il gesto di volerla colpire. L’idea di poter ripetere il gesto finché non ci si sente a proprio agio deriva da un periodo in cui il tennis era uno sport esclusivamente per gentiluomini e gentildonne, e di certo non si voleva litigare e discutere per una minuzia simile.

Ancora oggi una corretta etiquette del tennis fa sì che in generale gli atleti non si approfittino di questa opzione per distrarre l’avversario o irretirlo. Tuttavia, a volte è capitato, tantoché la USTA ha rilasciato dei suggerimenti nel proprio manuale del Fair Play anche riguardo a questo aspetto. In generale è sbagliato il concetto di base: il lancio della palla è un gesto tecnico tanto quanto un rovescio o uno smash, e non c’è motivo logico per cui dovrebbe essere ripetuto fin quando non riesce bene. Certamente le condizioni atmosferiche a volte possono renderlo molto difficile, ma è un principio che vale per ogni altro aspetto del gioco. Se poi appunto contiamo che ciò lascia spazio potenzialmente a furberie e irregolarità, soprattutto con l’avvento dello shot clock, la regola dovrebbe essere cambiata.

Un motivo a suffragio risiede anche nel fatto che una situazione simile si è già presentata nel mondo dello sport. Stiamo parlando della pallavolo, dove in passato, come nel tennis, il movimento del servizio poteva essere ripetuto (una sola volta) se il lancio della palla era venuto male. Successivamente si decise di eliminare il secondo tentativo, poiché da quando molti giocatori iniziarono a eseguire la battuta al salto, la concessione del doppio tentativo si era trasformata in una discreta perdita di tempo. Gli ‘abusi’ di questa libertà portarono dunque la Federazione Internazionale a modificare la norma. Nel campo del tennis invece l’unico torneo a introdurre questa regola in via sperimentale fu l’IPTL, esperimento della scorsa decade che proponeva diverse novità interessanti, ma che per ragioni di budget e logistica ha avuto vita molto breve.

2 – Ripartizione dei punti nei tornei

Premettiamo: la classifica ATP così come è congegnata è un gioiellino quasi perfetto. Non a caso quasi sempre il titolo di “Player of the Year” è andato a colui che anche il computer ha individuato come numero 1 del mondo secondo i punteggi assegnati nei vari tornei. Ciononostante qualche lifting nel corso degli anni se lo è permesso anche il sistema di ripartizione dei punti, l’ultimo nel 2009, al fine di migliorare sempre di più la coerenza dei dati del computer con ciò che si vede sul campo.

Il Ranking così com’è non fa felici tutti i giocatori. Più volte in passato Nadal ha proposto, senza successo, l’idea di una classifica su base biennale, come accade nel golf. Più sottovoce invece è passata una considerazione di Federer che merita altrettanta attenzione, ovvero che i punti assegnati nei tornei sono troppo sbilanciati a favore del vincitore. Nello specifico, 360 punti per i quarti di finale di uno Slam, ovvero poco più di quelli guadagnati da chi perde la finale in torneo ATP 500, paiono un po’ miseri se confrontiamo l’importanza dei due traguardi.

Anche la progressione dei punti sembra seguire una logica matematica che salta di colpo nei piani alti. Nei primi turni infatti i punteggi raddoppiano a ogni gradino: 45, 90, 180, 360, 720. Fino alla semifinale, ogni vittoria fa guadagnare esattamente i punti accumulati fino a quel momento. Tra semifinale e finale però c’è un declino netto. Da 720 a 1200, significa che la vittoria della semifinale porta in dote “solamente” 480 punti, pochi di nuovo se raffrontati ai 720 che dovrebbe valere se la regola del raddoppio continuasse.

Una progressione più corretta, fermo restando il principio che la vittoria finale valga 2000 punti, dovrebbe salire in maniera più lineare, abbandonando prima la regola del raddoppio e premiando di più traguardi di prestigio come il raggiungimento della seconda settimana, o il passaggio del primo turno. Una vittoria in una partita di uno Slam per molti giocatori significa la realizzazione di un sogno e non può avere il valore di una semifinale in un Challenger (45 punti). Senza nulla togliere ai giocatori che si sono onestamente costruiti una classifica da top 100 a suon di tornei ITF, chi ben figura negli Slam dovrebbe essere maggiormente premiato.

Matteo Berrettini – US Open 2019 (foto via Twitter, @usopen)

Una proposta su cui discutere potrebbe essere la seguente progressione: (10), 80, 160, 320, 560, 880, 1320, 2000. Sono numeri pensati anche per poter essere divisibili per otto, e quindi applicabili con la stessa progressione fin dai tornei ATP 250, cosa che con il sistema attuale non è possibile dovendo fare degli arrotondamenti.

1 – Medical Time Out

E veniamo al problema principale, il benedetto Medical Time Out. Una tradizione tutta tennistica generatrice di mille controversie. Per chi conoscesse il tennis marginalmente ripetiamo la norma in poche parole: a un giocatore è concesso chiedere una pausa dal gioco per usufruire di un intervento medico, ma solo nel caso in cui si tratti di un infortunio “occasionale”, e non di una condizione fisica dovuta a un cattivo stato di forma come, ad esempio, i crampi.

La regola è molto cervellotica e presenta diverse aree grigie e sfumature. Negli anni innumerevoli sono state le accuse di fan, pubblico, e a volte di tennisti stessi (ultimo Giannessi contro Duck He-Lee ai recenti Australian Open) verso atleti colpevoli di aver finto un infortunio solo per distrarre l’avversario, rifiatare, ottenere qualche consiglio tattico. Il Medical Time Out non fa davvero contento nessuno, è una norma troppo opinabile e francamente priva di una logica sportiva. Infortunarsi non fa piacere, ma è parte del gioco. Ovviamente negli sport di contatto occorre prevedere la possibilità che un infortunio possa essere causato dall’azione di un avversario, nel qual caso permettere la cura è logico e lecito. Il tennis però, non rientra fra questi.

Il problema ha due soluzioni. La prima è eliminare il Medical Time Out del tutto: chi non è più in grado di giocare si ritira e lascia strada all’avversario. Quella però che vogliamo proporre, probabilmente più giusta e semplice, è di togliere semplicemente la parola “Medical”, e di trasformarlo in un normalissimo Time Out, che già esiste in molti altri sport. In tante altre discipline il Time Out può essere richiesto e non c’è bisogno di addurre (o di fingere) nessuna motivazione particolare. Sport come basket, pallavolo, pallanuoto addirittura fanno del Time Out un’arte. Prendersi una pausa per far mente locale e allo stesso tempo far perdere il “momentum” all’avversario è più che lecito, anzi: è l’essenza stessa del Time Out.

L’arzigogolo per cui nel tennis debba essere considerato immorale, e debba per questo essere mascherato dietro alla motivazione (sovente fittizia) di necessità mediche, poteva forse avere un senso logico in passato, ma oggi di certo non ce l’ha più. In uno sport ad alta componente psicologica come il tennis, l’istituzione del Time Out, durante il quale magari permettere il coaching, può solo rendere lo sport più interessante, e certamente eliminare tante inutili controversie. Sulle modalità poi si può discutere separatamente: una proposta potrebbe essere un Time Out per incontro, più uno supplementare in caso di set decisivo, da chiamarsi sempre a cambio campo. Nel caso per qualsiasi ragione un giocatore voglia usufruire del Time Out in un altro momento, dovrà concedere tutti i punti fino al successivo cambio campo.

E ora la parola ai lettori. Siete d’accordo con le proposte elencate nell’articolo? Quali vi paiono più urgenti e sensate? Quali altri cambiamenti proporreste per modificare il tennis a livello di regolamenti? Sbizzarritevi nei commenti.

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