Il 2 giugno al Roland Garros, per Steffi Graf, non rappresenta una data memorabile. Era il 1994 quando la tedesca venne schiantata in semifinale, a sorpresa, da Mary Pierce. A 19 anni, la stellina di casa centrò due settimane da urlo spingendosi fino alla finale (poi persa con Arantxa Sanchez). Appena dieci game lasciati alle avversarie, un’inerzia devastante che nemmeno la campionessa in carica riuscì a frenare. Graf commentò così quel ko: “Avrei potuto fare davvero poco, ha attaccato sempre bene, giocando in anticipo e cercando la profondità. Il mio livello non è stato sufficiente per costringerla a commettere qualche errore“. Rimase un incidente di percorso, in un quadriennio straordinario. Tra il 1993 e il 1996 Stefanie da Mannheim sollevò tre volte il trofeo parigino, finito nella sua vetrina complessivamente in sei occasioni nell’arco di 12 anni.
PARTENZA E ARRIVO – Tra i 22 Slam conquistati da una campionessa universale, il Roland Garros si piazza numericamente subito dietro Wimbledon (7). Ma si prende la scena, perché apre e chiude il cerchio. Sulla terra sono infatti arrivati il primo e l’ultimo trionfo a livello Major di una carriera straordinaria, che ha attraversato più generazioni. Nel 1987 – anno dell’ascesa al numero uno WTA, appena maggiorenne – il successo in finale su Martina Navratilova, seguito a distanza di 12 mesi dal bis contro Natalia Zvereva (6-0 6-0 in 32 minuti). Dodici anni dopo, nel 1999, la romanzesca vittoria contro Martina Hingis (4-6 7-5 6-2, risalendo da 4-5 e servizio nel secondo set) che chiuse il curriculum: poche settimane più tardi avrebbe annunciato il precoce ritiro. A 30 anni, da numero tre del mondo, dopo l’ennesima finale a Wimbledon decise di fermarsi perché la testa – prima del fisico – aveva detto basta. “Ho realizzato tutto quello che volevo nel tennis. Sento di non avere più nessun obiettivo. Le settimane successive a Wimbledon non sono state facili per me. Non era più divertente. Per la prima volta nella mia carriera, non avevo piacere di dover andare a prendere parte ad un torneo. La mia motivazione non è quella che è stata in passato”.
LE AVVERSARIE – Attraverso le varie tappe di questo lungo viaggio, Steffi Graf a Parigi ha raccontato più di una storia degna di essere raccontata. A partire da quelle condivise con le due grandi avversarie incrociate nella piena maturità. Tre finali (due vinte e una persa) e due semifinali contro Arantxa Sanchez, che qualche anno fa non ebbe dubbi nello scegliere Graf rispetto a Serena Williams in un ardito confronto tra dominatrici di epoche (per entrambe, 186 settimane consecutive al numero uno). Più intenso – e non potrebbe essere diversamente – il dualismo nato con Monica Seles che nel 1989 (da quindicenne) la fece soffrire in semifinale, per poi prendersi le tre successive edizioni. Nel 1990 e nel 1992, la serba superò in finale proprio Graf, prima della tragica svolta del 1993. Le conseguenze soprattutto psicologiche dell’accoltellamento di Amburgo – avvenuto proprio per mano di un esagitato fan di Steffi – finirono per aprire indirettamente la strada al secondo ciclo di dominio tedesco a Parigi.
TITOLI DI CODA – Superati da poco meno di un anno i 50, la moglie di Andre Agassi (dal 2001) osserva da Las Vegas con discrezione (sì, discrezione e Las Vegas per lei possono coesistere) il mondo in cui ha fatto la storia. Spiccando per precocità e doti atletiche fuori dal comune, su cui ha innestato un dritto tra i più efficaci del tennis femminile. Nel 1988, oltre al Grande Slam, riuscì a centrare l’oro olimpico di Seoul in un anno di irripetibile grazia, passato alla storia come suo personale “Golden Slam”. Quella finale contro Hingis ha rappresentato forse il modo migliore per far scorrere i titoli di coda. Contro una promessa che stava diventando realtà – Martina era reduce dal successo all’Australian Open – la partita si è giocata sul filo dei nervi. La svizzera, protestando platealmente fino ad attraversare il campo per un punto non assegnatole, si prese un 15 di penalità oltre a spostare ulteriormente dall’altra parte della rete le simpatie del pubblico. Che aveva capito di essere sul set di una sceneggiatura abituale dello sport: tra l’arroganza della gioventù e gli ultimi bagliori di una stella che ha brillato per anni, non è mai stato in dubbio per chi tifare.