La vita di un allenatore nella bolla dello US Open: "Sembra di essere in un circolo che per puro caso si trova a New York"

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La vita di un allenatore nella bolla dello US Open: “Sembra di essere in un circolo che per puro caso si trova a New York”

Ubitennis ha intervistato due coach di giocatrici che si trovano a New York sulla loro esperienza nell’affrontare le condizioni dettate dalla pandemia

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Garry Cahill
 

L’intervista è stata realizzata da Adam Addicott di ubitennis.net. Qui l’originale

Ecco alcune delle restrittive misure implementate allo US Open: è necessario isolarsi nella propria stanza subito dopo ogni test, accettare di rimanere entro dei precisi confini (pena l’espulsione dal torneo) e pagare per la security 24/7 nel caso si voglia affittare una casa ad uso privato.

La tappa dello Slam newyorkese prende vita in una situazione globale senza precedenti a causa della pandemia da COVID-19. Gli Stati Uniti conoscono fin troppo bene la gravità della malattia, avendo registrato più di sei milioni di casi e un record di 194.743 decessi. Il fatto che lo US Open e i tornei che gli fanno da apripista si disputino, è già di per sé una conquista. Tutto questo nonostante alcuni giocatori come Ashleigh Barty (N.1 del ranking WTA), Rafael Nadal (N.2 ATP) e Simona Halep (N.2 WTA) abbiano optato per la rinuncia al torneo proprio per timori legati alla salute.

Coloro che sono invece atterrati a New York si trovano (o si sono trovati) in un ambiente molto poco familiare, nonostante si tratti pur sempre di un evento a cui partecipano ogni anno. E non sono i soli giocatori ad essere condizionati da queste nuove condizioni.

In Adam Lownsbrough, allenatore di Miyu Kato, numero 72 al mondo nella classifica di doppio WTA, e in Garry Cahill, mentore della russa Vitalia Diatchenko (108 WTA), Ubitennis ha trovato due allenatori con cui parlare di come davvero sia la vita in questo momento nel tour, considerando le restrizioni imposte dalla minaccia del virus.

“A viaggiare in aereo per la prima volta dopo sei mesi, chiunque si sentirebbe un po’ nervoso, specialmente considerando le distanze, ma siamo consapevoli dei rischi – racconta Lownsbrough parlando della decisione di andare a New York –. In seguito all’arrivo all’hotel e al sito [dello US Open, ndr], abbiamo trovato regole chiare e certe per tutto. Si percepisce chiaramente come gli organizzatori vogliano che tutto fili liscio, e come si sia fatto tutto il possibile per garantire delle procedure chiare e un certo livello di comfort a tutti i presenti. Nel luogo del torneo le cose sono un po’ differenti, ma gli spazi disponibili fanno sì che si possa mantenere il distanziamento sociale. Al ristorante si usando codici a matrice [QR code] per ordinare, così che una volta seduti ci si debba alzare soltanto per andarsene”.

Anche Cahill, noto fra l’altro per la collaborazione con l’ex tennista e compatriota Connor Niland, ammette di essere stato preoccupato all’arrivo. Al contrario di altre parti degli Stati Uniti, però, New York è riuscita a limitare la crescita del contagio e anche a prevenire ondate improvvise nelle ultime settimane: “Penso che nessuno sapesse cosa aspettarsi [da questa situazione], ma in un certo senso è più facile del previsto, c’è meno gente, è più comodo girare a piedi e ci sono meno code ai ristoranti – affermanon ho visto nessuno trasgredire alle regole, sembra che ci sia un certo rispetto. Tutti vogliono la stessa cosa, ovvero che le competizioni siano sicure”.

A causa della pandemia, il Billie Jean King Tennis Center ha ospitato anche il Western & Southern Open. All’arrivo, ogni partecipante o accompagnatore viene testato e ad ognuno viene chiesto di rimanere in autoisolamento fino al referto, generalmente ottenuto in 24 ore. Anche nel caso il risultato fosse negativo, i test vengono ripetuti durante la permanenza degli interessati. Il primo positivo è stato un preparatore atletico, Juan Galvan, cosa che ha costretto i giocatori che lavorano con lui, Guido Pella e Hugo Dellien, a fare la quarantena, pur essendo risultati negativi a molteplici tamponi. Si è successivamente unito Benoit Paire, primo (e finora unico) giocatore positivo al virus.

Cahill, dal canto suo, ha dovuto aspettare più del solito per ottenere i risultati del proprio test. Dopo essere stato testato secondo procedura la domenica, Cahill e il suo team hanno ricevuto il via libera solo martedì mattina. Non è chiaro il motivo del ritardo, ma va comunque considerato che i medici hanno condotto fino ad ora più di 13.000 test. L’impressione che tutto questo ha lasciato a Lownsbrough è positiva: “Il processo è veloce e ben organizzato. I tamponi nasali sono fatti da ogni medico secondo regole molto chiare. Il personale inoltra i risultati tramite messaggio o e-mail. Ripeto, il processo è molto chiaro e lo staff eccellente”.

Rifiuti lasciati sui campi…

La USTA, che controlla lo svolgimento dello US Open, ha posto molta enfasi sulle regole, durante l’anno della pandemia, ma quanto strettamente vengono seguite tali regole? Anche negli ultimi giorni si sono avuti aggiustamenti nelle procedure. Le regole che impongono di mantenere le maschere sul sito del torneo sono state un po’ rilassate per via delle condizioni umide, ma nessuna concessione viene fatta sul distanziamento sociale. Addirittura, quest’anno la USTA ha assunto un gruppo di “social distance ambassadors” per assicurarsi che ognuno mantenga le distanze.

Sembra che i protocolli vengano seguiti, ma ci sono comunque imprevisti come ad ogni altro torneo, per quanto si spera di entità contenuta: una delle sessioni di allenamento di Lownsbrough è iniziata trovando dei rifiuti lasciati dal team presente sul campo di gioco in precedenza. Un comportamento non nuovo nel tour, come testimonia il dibattito sulle bottiglie di plastica nato a Wimbledon nel 2018 dopo un fatto simile.

“La bolla è molto stringente: in teoria, maggiore la severità, maggiore la sicurezza. Da quello che ho visto, ognuno sta rispettando le regole. Alcuni giocatori hanno lasciato dei rifiuti sul campo prima della nostra sessione (asciugamani usati, grip, bottiglie) che in quanto oggetti potenzialmente contaminanti avrebbero richiesto maggior attenzione, ma a volte chiedere educazione è chiedere troppo… – ammette – stiamo affrontando una pandemia, quindi dobbiamo proteggere sia noi stessi che le persone attorno. Ci sono cose più dure nella vita rispetto ad indossare delle mascherine, lavarsi le mani, mantenere le distanze, ecc… È ridicolo che alcuni non riescano a fare nemmeno questo piccolo sforzo”.

Sia Lownsbrough (36) che Cahill (47) non sono dei novellini nel tour. Entrambi hanno alle spalle molti Slam e i relativi viaggi, ma come per altri loro colleghi, è la prima volta che affrontano tutto questo durante una pandemia. Sicuramente la bolla sarà una nuova esperienza per loro, ed è il caso di chiedersi se ci sia anche qualche vantaggio annesso: “Un ovvio beneficio che si ha sul posto è la possibilità di avere più spazio libero per gli spostamenti, così da avere un’atmosfera più rilassata, meno frenetica, anche se in generale sembra tutto molto simile agli eventi degli anni precedenti – commenta Lownsbrough –. Anche l’accesso ai campi di allenamento non è impattato, dal momento che l’assenza degli spettatori non fa alcuna differenza in questo senso. È più facile muoversi, minori tempi di attesa, più sedili liberi, e si può anche ricaricare il telefono più facilmente!”

Adam Lownsbrough

Il verdetto finale sull’evento

Ora che entrambi gli allenatori hanno provato la vita all’interno della bolla, possono dire che l’esperienza è all’altezza di tutte le aspettative che aveva generato? LA USTA sarà sotto scrutinio da parte di molti, nelle prossime settimane, compresi gli osservatori degli Slam rivali, a loro volta al lavoro in questi giorni sui loro piani anti-COVID: l’Open di Francia comincerà infatti due settimane dopo la conclusione dello US Open.

L’opinione di Lownsbrough è che le aspettative siano state confermate, con l’allenatore convinto che ora le responsabilità ricadano più sugli ospiti presenti a vario titolo che sugli organizzatori: “Penso che la USTA abbia fatto un buon lavoro, fino ad ora. Da quello che posso vedere, tutto è opportunamente organizzato. Ora sta a noi allenatori, giocatori, fisioterapisti, seguire le regole”, conclude.

Cahill, al contrario, sente di poter avanzare qualche suggerimento relativo a piccoli accorgimenti che avrebbe voluto vedere già implementati: “Forse [sarebbe stato opportuno] avere uno o due hotel aggiuntivi, dato che il Marriott è completamente occupato dai giocatori. Penso anche che sarebbe stato più comodo se agli atleti fosse stato permesso l’accesso ad uno o due ristoranti, giusto per poter uscire dall’hotel, ma mi rendo conto che sarebbe stato difficile da controllare”, riflette.

E per quello che riguarda l’impatto sugli atleti? Alcuni commentatori si domandano se l’assenza dei fan possa livellare i valori in campo, anche considerando i sorteggi; si pensi ad esempio ad una Serena Williams spinta dall’adrenalina creata da uno stadio gremito di newyorkesi – quando viene a mancare quella cornice, cosa potrebbe succedere? “Non penso che questo possa cambiare molto le cose, semmai sarà l’aver giocato meno nel corso dell’anno ad aiutare gli atleti meno quotati”, è il commento di Cahill.

“Ad essere onesti – concorda Lownsbroughnon ci sono molti eventi WTA con grande pubblico, quindi siamo abbastanza abituati ad una situazione simile. Naturalmente, con il pienone sarebbe stato tutto molto più colorito e divertente, ma i tennisti sono tutti atleti professionisti e si concentreranno sul gioco a prescindere dal ranking o dalla presenza degli spettatori”.

Qualsiasi cosa succeda nelle prossime settimane, lo US Open di quest’anno occuperà un posto speciale nella storia del tennis per una moltitudine di ragioni. Alcuni vorrebbero che il nome del torneo fosse seguito da un asterisco a ricordare l’assenza di alcuni top player. In questo senso fioccano paralleli con Wimbledon 1973, anno in cui una percentuale dei migliori boicottò l’evento per supportare colleghi a cui la propria federazione aveva negato la partecipazione. Forse il modo migliore per riassumere lo US Open 2020 è nella freddura di Cahill: Non sembra di essere allo Slam di New York, è più come essere in un circolo che per puro caso si trova a New York”.

Tradotto da Michele Brusadelli

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