Sinner: «Non vedo l’ora di sfidare Zverev, ma guai a pensare solo al tennis» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Le sfide nella vita ti aiutano a scoprire chi sei. La seconda settimana di uno Slam non è più solo tennis, ma l’esplorazione di un mondo nuovo e diverso: il terreno di conquista degli extraterrestri. Un pianeta molto ostico dove contano resistenza, abitudine, esperienza, oltre al talento. Per questo Jannik Sinner e Lorenzo Sonego dovranno affrontare la domenica più importante della giovane carriera con il piglio di chi si trova da quelle parti per merito e volontà. Nella storia, sono appena 33, loro compresi, gli azzurri che hanno raggiunto gli ottavi di uno Slam. Purtroppo però nell’Era Open l’Italia non è mai riuscita a qualificare tre giocatori al quarto turno. Il tradimento inatteso è quello di Berrettini, mai in partita contro il tedesco Altmeier numero 186 del mondo che ha trovato dall’altra parte della rete un avversario troppo brutto per essere vero: «Una delusione tremenda — commenterà Berretto abbacchiato — non ha funzionato niente, non ho mai sentito di avere le energie sufficienti». […] A maggio di un anno fa, un implume Sinner perse la finale del Challenger di Ostrava conquistando appena un game (finì 6-1 6-0) contro il polacco Majchrzak in un contesto praticamente identico a quello della Parigi autunnale di questi giorni, con pioggia, freddo e palle lentissime. Il tempo non è trascorso inutilmente, se è vero che Jannik si ritrova all’appuntamento degli ottavi con Zverev senza aver lasciato neppure un set sulla via: «Da allora, penso di essere migliorato di sicuro. Nessun dubbio al riguardo. Quando si è giovani ogni occasione è buona per imparare qualcosa. E non vedo l’ora di giocare la prossima partita». Cioè di incrociare le lame con Zverev, n. 7 del mondo, probabilmente il vero test di ingresso nella nobiltà. […] La sfida si deciderà al servizio e soprattutto sulla diagonale di rovescio, la più forte per entrambi. Intanto il fresco finalista degli Us Open ha speso parole al miele per il rivale: «E’ giovane, ho avuto anche io la sua età e capisco cosa sta passando. Probabilmente deve ancora migliorare sul piano fisico, ma per quanto riguarda il tennis, sta giocando alla grande. Il suo torneo mostra quanto forte può diventare. Ho molta curiosità di affrontarlo». L’attesa attorno al match certifica lo status già raggiunto da Sinner, che ha molto colpito anche per gli atteggiamenti sempre posati pure nei momenti difficili: «Tutti siamo diversi, a volte mi innervosisco anch’io. Solo che sto provando a stare calmo, cosa che mi riesce per la maggior parte del tempo. Cerco di stare calmo in partita e poi di divertirmi un po’ quando sono fuori dal campo, per staccare un po’ con la testa. Se pensi tutto il giorno solo al tennis, è dura. Comunque ho rotto anch’io delle racchette. Può succedere. Mi piacerebbe non farlo più, perché penso che non sia l’atteggiamento giusto. Soprattutto ora che in Italia ci sono tanti ragazzi più giovani che stanno venendo fuori, capisco che posso essere un esempio per loro». […]
Berrettini, che scivolone! (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)
Una grande occasione mancata, per Matteo Berrettini e per l’Italia del tennis maschile, che contava di vedere tre giocatori negli ottavi di finale di uno Slam come non succedeva dal 1962. Invece, il numero 1 azzurro si blocca contro Daniel Altmaier, n. 186 del mondo. Il 22enne tedesco, al suo primo Roland Garros, vince 6-2 7-6(5) 6-4 e firma la prima vittoria contro un top 10. «Vedevo tutto nero – ha ammesso in conferenza stampa Berrettini -. Faticavo a sentire la giusta energia. Ero nervoso, mi dicevo di stare tranquillo e mi sentivo troppo calmo. Ho giocato male e non mi sono aiutato mentalmente. Eppure anche così ho quasi vinto il secondo set. Forse se l’avessi chiuso sarebbe cambiata la partita». Dopo un primo set da dimenticare, nel secondo Berrettini ha servito sul 5-4 ma ha subìto il controbreak. Nel tiebreak non ha difeso il minibreak di vantaggio. Il quarto break subìto, nel terzo set, ha chiuso di fatto il match. […] Altmaier, negli ottavi al primo tentativo al Roland Garros come Jannik Sinner e il figlio d’arte Sebastian Korda, è stato frenato da una serie di infortuni negli ultimi due anni: alla spalla, all’anca dopo una caduta, agli addominali. Ha scelto un preparatore atletico argentino e un nuovo coach, Francisco Yunis. È esploso quest’anno a livello Challenger. […] Figlio di padre ucraino e madre russa, ha raccontato la sua grande ammirazione per Stan Wawrinka. «Mi sono sempre ispirato a lui – ha detto in conferenza stampa – mi piace il suo atteggiamento. Devo ringraziarlo, mi ha aiutato tanto quando sono stato infortunato».
Resa Berrettini: «Giornata no» (Daniele Azzolini, Tuttosport)
La domanda è questa: può uno spirito guida sottrarsi ai propri compiti per necessità tipicamente umane? Forse. Ieri è successo che Matteo Berrettini, lo spirito guida degli italiani, da loro scelto e più volte definito in questi termini, si sia preso un giorno di vacanza dal Roland Garros, chissà da che cosa determinato, se dall’essersi alzato con il piede sbagliato o da qualche vorticoso giramento di scatole, ma tale da renderlo talmente poco partecipe da dimenticare una delle sue più belle qualità, quella di saper ribaltare i momenti negativi. Vero è che Matteo, questa storia dello spirito guida della comunità tennistica tricolore l’ha sempre accolta con un mesto sorriso e uno scuotere della testa. Al più, si prenderà dei giorni di riposo per meditare su quanto grossa l’abbia fatta nel lasciarsi battere da Daniel Altmaier, 22 anni, tedesco di famiglia russa, che al Roland Garros ha mostrato al mondo del tennis come il suo attuale 186 Atp sia soltanto un numero di passaggio, perché presto sarà nei primi 50, dove la sua energia e il rovescio a una mano sempre tirato a tutto braccio (Wawrinka il suo idolo, che infatti ha battuto nel turno precedente) è giusto che vengano accolti. «Sono sceso in campo teso e nervoso, succede», dice mogio Berrettini, «lui ha giocato davvero bene e ha meritato, eppure ho sprecato tante di quelle palle break che avrei potuto dare un senso diverso alla giornata. Certe volte, quando finisci sotto, vedi la luce, ma oggi vedevo tutto nero. Una giornata da dimenticare, che volete che vi dica». Andranno avanti da soli, oggi, Jannik Sinner e Lorenzo Sonego. Il primo per raggiungere Rafa Nadal, l’altro per incrociare Dominic Thiem. A patto che riescano nell’ennesima impresa: ribaltare cioè Sascha Zverev e Diego Schwartzman, cosa affatto scontata com’è facile intuire. Ma l’attesa, e un bel po’ di affetto, sono anche per Martina Trevisan, giunta ai suoi primi ottavi vincendo tre qualifiche e tre match del tabellone, nei quali ha ammansito Camila Giorgi e attese al varco prima Cori Gauff poi Maria Sakkari. Fiorentina, mancina, piccolina. Un metro e sessanta appena, 15 centimetri sotto la media di un tennis femminile cresciuto a dismisura. Lei li copre con il coraggio e con il ricordo di un passato che non ha la minima intenzione di rivivere. Lo ha scritto sul web, forse per liberarsi. «A un certo punto della mia vita ho avvertito la responsabilità di guarire le ferite subite dalla mia famiglia», messa a dura prova da una malattia degenerativa che aveva colto il padre. «Guardando papà, giunsi a odiare quel mio corpo muscoloso». Era l’anticamera di una rinuncia a vivere che la condusse presto all’anoressia «Mi nutrivo con 30 grammi di cereali e un frutto, e presto mi ritrovai in uno stato di apatia senza speranza». Niente più tennis. Fu un periodo trascorso in ospedale a riportarla fra noi. Martina ne uscì con la voglia di riprendere a giocare, ma senza fare progetti. Lo faceva per se stessa ed è stato meglio così. I frutti li coglie oggi, a 26 anni. Forse tardi, ma chi se ne importa. Affronterà la numero 5 Kiki Bertens e lo farà con la riconquistata felicità che porta con sé.
La rinascita di Trevisan, l’ex bambina prodigio che ha battuto l’anoressia: «Decisivo chiedere aiuto» (Marco Imarisio, Corriere della Sera)
A un certo punto, nella malattia, si alimentava con una manciata di bacche al giorno. Senza mai riuscire a mangiarle tutte. E la prima volta che reincontrò il suo coach, Matteo Catarsi, nella sala ristorante di un circolo, corse in bagno a mettersi due dita in gola dopo aver visto un’orata sul tavolo. Ci ricordavamo di Martina Trevisan bambina, innamorati di lei e di quel dritto mancino che da Firenze con furore lasciava presagire un futuro certo. Adesso l’Italia del tennis ritrova una donna di 26 anni che nei grandi spazi vuoti del Bois de Boulogne racconta perché ci tiene a farlo, capisce che la sua è una testimonianza importante. Più che della partita di oggi, che è solo la più importante della sua nuova carriera e anche di quella vecchia, parla di quel che ha passato, dell’anoressia, del non accettare più il proprio corpo, «detestavo le mie gambone da atleta, le odiavo». Con grande maturità, nella speranza che a nessuno debba toccare quel che ha passato lei. Nel 2009 la sua era una vita da copertina. Aveva 16 anni, prendeva a pallate le giocatrici professioniste, e tutti sapevano che il futuro le apparteneva. «Ma dentro di me avevo un tarlo. Stavo male e non capivo perché. Soprattutto, avevo paura a dirlo. Sentivo di non essere più in grado di gestire quel che mi girava intorno. Le pressioni sul mio rendimento, i problemi in famiglia. A ripensarci ora, avrei dovuto fermarmi e scendere: forse non mi sarei ammalata. Ma andava tutto così veloce, e io era una adolescente. Che all’improvviso si è sentita schiacciata da un peso enorme. Che non è andato via neanche quando ho deciso di smettere». Cinque anni di buio, fino al 2014, al ritorno, fino alla risalita. Non sono stati certo il tennis o l’amore per lo sport a salvarla, ma qualcosa di più semplice e concreto. Una psicologa. «Dopo un anno terribile in cui ero arrivata a pesare 46 chili, ho capito che dovevo chiedere aiuto. Credo sia questa la cosa più importante. Riconoscere di non farcela da sola. Ho avuto la fortuna di trovare una persona che mi ha sorretto ogni volta che pensavo di non farcela». […]