Storie di rivalità: Federer o Nadal, Evert o Navratilova, McEnroe o Borg. Oppure 1+1=1

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Storie di rivalità: Federer o Nadal, Evert o Navratilova, McEnroe o Borg. Oppure 1+1=1

Testa o croce? Pari o dispari? SInner o Musetti? Agassi o Sampras? Quale delle due Kessler? Non sempre bisogna scegliere: a volte 1+1 fa sempre 1.

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Bjorn Borg e John McEnroe (foto via Twitter, @Wimbledon)
 

Beatles o Rolling Stones? Lennon o McCartney? Si narra che Paul McCartney avesse rubato le note agli dei. John Lennon, derubato, lo chiamò per suonare nella band da lui formata. Qualcosa da suonare alla chitarra il test. Dopo nemmeno un minuto, pur sapendo cosa rischiava, John non ebbe dubbi e il giovanissimo Paul divenne un Quarryman e quindi un Beatle. Poi il suo alter ego. Lennon/McCartney divenne firma unica. Contrapposizioni, schieramenti, divisioni. Ma davvero son tali o semplici necessarie parti dell’Uno? Armonia dei contrari. Non nacque forse il Big Bang dal silenzio? Non è forse il bianco l’assenza di colori e il nero la loro somma? Un tunnel è tale se in fondo vi è la luce, l’alba regge sempre un tramonto, la quiete la tempesta.

Chris Evert, l’eleganza di un nuovo tennis. Gesti morbidi, femminilità, esponente del nuovo rovescio bimane. “Two Handed Backhand killed the Classic Stars”. Giocatrice dalla regolarità imbarazzante, pressoché imbattibile sul rosso, sarebbe divenuta una delle tenniste che più hanno ispirato le generazioni a venire. Impossibile da imitare la sua antagonista, rivale e nemesi Martina Navatilova. Tennis estroso e capriccioso il suo, ben presto affinatosi in un serve and volley di classe e potenza mai eguagliata in campo femminile. Evert la lineare elegante compostezza, Navratilova il frastuono del genio. Melodia vs Jazz Core. Si incontrarono 80 volte, 43 a 37 per Martina, 18 Slam a testa, la più grande rivalità che il tennis femminile ricordi. La differenza di stili, volée contro passante, attaccante contro regolarista, la sceneggiatura del match perfetto. Kubrick, Lynch, Kurosawa o Tarantino? Bolognese o genovese, fiorentina o milanese? Bianco o rosso? Londra o Berlino, Borges o Calvino? La mamma o il papà? Gassman non volle bene a Carmelo.

Martina Navratilova e Chris Evert – Wimbledon 1978 (foto via Twitter, @Wimbledon)

Dove non arriva il divino sopperisce il lavoro. Roger Federer diede il buongiorno al mondo agitando una racchetta. Nessuno ebbe dubbi sul suo futuro. Tennista immenso, collante tra il tennis che era e quello che sarebbe stato, avrebbe potuto essere ancora di più se per una parte della sua carriera non avesse dovuto competere con avversari che non lo hanno spinto a migliorarsi per manifesta inferiorità. Il Dio del tennis per non sprecare simil talento gli mandò Nadal. Rafa nacque destro, ma lo zio lo impostò tennisticamente mancino. Gli creò una uncinata di diritto che mandava i destri a giocare nei teloni sul lato del rovescio. Fisico ipertrofico, atteggiamenti e agonismo da lottatore, mano comunque educata che con allenamento ed esperienza sarebbe diventata negli anni sempre più una caratteristica non secondaria del suo gioco. I due avevano tutto per dar spazio ai media per costruire una rivalità.

Personalità e tecnica agli antipodi. Roger elegante nei gesti e nel vestiario, fisico del tennista perfetto, magro, muscolato il giusto, leggero ed elastico. Da decatleta il fisico di Rafa come appariscente i gesti e il look. I match tra i due agli inizi avevano uno schema fisso: Nadal che schiaccia nell’angolo Federer martellandogli il rovescio e questi che si intestardisce ad affrontarlo frontalmente finendone sommerso. Roger avrebbe poi capito che fare a pallate con Rafa aspettando lo spiraglio per lasciare andare il diritto e venirne fuori era dare testate ad un muro. Messa a punto la sua versione di tennista contro balzo-rete, avrebbe risistemando gli equilibri, dando vita a match decisamente meno scontati nelle dinamiche e spesso memorabili, come la finale agli Australian Open del 2017.

L’abbraccio tra Roger e Rafa dopo la finale a Melbourne del 2017

In questa rivalità non è riuscito ad infilarsi Djokovic pur essendo dei tre quello con più vittorie all’attivo negli scontri diretti e con buone possibilità di battere il loro record di vittorie negli Slam. Non che non abbia titoli, personalità e qualità, Djoko, o che si possa negare una rivalità con gli altri due, ma quella di Fedal è troppo radicata da poter essere in breve tempo estirpata o ammetterne altre di pari grado. Il tempo metterà forse le cose al proprio posto. L’uomo ha bisogno di eroi e abbattere i totem non è mai facile insegna Freud. Federer e Nadal sono anche amici, la rivalità è essenzialmente costruita e alimentata ad arte dai media. Scatenare tifoserie è utile al marketing e al sistema tennis tutto. Indubbio è che la presenza dell’uno abbia aiutato a fare dell’altro un tennista migliore.

Sergio Leone faceva del cavaliere solitario il proprio bounty killer. Sguardo fiero, sprezzante, magnifico Eastwood, come sprezzanti le pistole del punk della Westwood. Sampras comparve sulla scena del tennis facendosi affibbiare il nomignolo di “pistol” Pete. Facendo fuori prima Lendl e poi McEnroe, spazzò via i protagonisti del decennio precedente intascando uno Slam come taglia. Con calma avrebbe raccolto anche le taglie di Becker ed Edberg e della loro “volleatoria” rivalità, ben avviando una carriera che lo avrebbe portato a vincere 15 Slam. Ebbe come primo avversario Goran Ivanisevic, ma fu una brevissima rivalità. Goran lo seguiva a ruota per talento, ma la testa gli andava per fatti suoi. Sarebbe stato un avversario più credibile Jim Courier, ma la sceneggiatura aveva già il nome dell’antagonista: Andre Agassi.

Come avvenuto anni dopo per Federer e Nadal, Pete ed Andre erano agli antipodi in tutto: tipo di tennis, stile, look, atteggiamenti. Innescavano un immaginario completamente differente. Come sarebbe accaduto con Rafa e Roger, era quello più classico e sobrio apparente bravo ragazzo ad essere più estroso in campo. Agassi avrebbe avuto miriadi di imitatori, lanciato mode, idolo dei bambini e dei neotennisti come anni dopo Nadal. Pete ne ebbe decisamente meno anche per il suo tennis di difficile serialità. Uno di questi si chiamava Roger Federer che ne ebbe ammirazione tale da scegliere anche lo stesso modello di racchetta. Shapovalov e Tsitsipas ringraziano i due giganti di essere esistiti, come prima fatto da Dimitrov ed ora da Musetti. Che il tennis li abbia in gloria per non disperdere il filo di questa narrazione.

Sampras e Agassi – US Open 1990

“La Grande Bellezza” è figlia de ”La Bella Vita” o solo parenti o semplici amici? L’ambient moderno è nipote della musica da arredamento della prima metà del ‘900? Una epopea è riproducibile dando il ruolo di protagonisti a nuovi attori? Panatta e Barazzutti, Pennetta-Vinci barra Schiavone, Sinner e Musetti, il futuro italiano che sa di presente. Ingredienti a sufficienza per creare dicotomia. Esce veloce la palla a Sinner dai piedi veloci sulla linea di fondo, nuovo step di tennis moderno senza fronzoli, sbrigativo fatto di botte veloci ed anticipate. Non fa mai due colpi uguali di fila Musetti, prendendo quel che gli gira dal suo baule pieno del completo repertorio del tennis. Rovescio bimane Sinner, ad una mano Musetti, diversissimi anche esteticamente. Vinceranno cosa? Chi di più? E Berrettini? Divisi i tavoli dei bar dei circoli le fazioni. I due sono amici e si rispettano non disdegnandosi supporto e complimenti. I giovani han sempre qualcosa da insegnare.

John McEnroe e Bjorn Borg, la madre di tutte le rivalità. In realtà la cosa riguardava più John, Bjorn, avremmo scoperto poi, era già troppo impegnato a gestire la rivalità con se stesso. Borg era bello ed invincibile, icona assoluta del tennis, inscalfibile mentalmente, atleta perfetto. McEnroe gli si pose al cospetto da bambino capriccioso genio della racchetta. Il ritiro di Borg sarebbe stato per lui la fine di una parte di sé stesso. L’avrebbe salvato la rivalità con Ivan Lendl. I due si detestavano ed ognuno avrebbe preferito qualsiasi supplizio pur di non perdere dall’altro. Purtroppo per loro ognuno avrebbe dato e preso batoste e che nessuno mai nomini con McEnroe nei paraggi, la finale di Parigi del 1984.

Monica Seles contro Steffi Graf e la fine, momentanea, del regno della tedesca. Una rivalità che ha per ricordo indelebile l’accadimento che ne ha segnato la fine. Ad Amburgo Seles viene accoltellata mentre è seduta al cambio campo da un folle tifoso di Steffi. Era il 1993, Monica aveva appena 19 anni e già vinto 8 titoli Slam. Nessuno sa cosa sarebbe stato la sua vita se avesse evitato quel giorno, quanto ancora avrebbe potuto vincere in un campo da tennis e quanto diversa sarebbe stata lei, in quanto persona e donna, fuori. Testa o croce? Pari o dispari? Quale delle due Kessler? Impazzivano i nostri nonni. Non sapevano che le Kessler non erano due, perché 1+1 a volte fa UNO. Dadaumpa.

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