Indagine esclusiva: il tennis ha un problema di inclusività nei confronti della comunità LGBT+?

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Indagine esclusiva: il tennis ha un problema di inclusività nei confronti della comunità LGBT+?

È solo una coincidenza il fatto che nel circuito maschile non ci siano giocatori che abbiano fatto coming out, oppure c’è una ragione più significativa con cui il mondo del tennis dovrebbe fare i conti?

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Alison Van Uytvanck - WTA Budapest 2019 (foto via Twitter @HUNgarianTENNIS)
 

Il tema dell’inclusività continua ad essere centrale nella conversazione tennistica. Per questo motivo abbiamo deciso di riproporre in italiano un’intervista di inizio 2021 di Adam Addicott a diversi addetti ai lavori su questo tema. Seguirà nei prossimi giorni la traduzione di un altro articolo comparso su Ubitennis.net, nel quale abbiamo approfondito le modalità tramite cui l’ATP si sta muovendo per rendere l’ambiente più accogliente per gli appartenente alla comunità LGBT+.

Qui potete leggere l’articolo originale di ubitennis.net

Il tennis ha una reputazione illustre nel campo della rappresentatività LGBT+ rispetto ad altri sport. Billie Jean King, il cui orientamento sessuale è stato reso pubblico dai media nel 1981, ha giocato un ruolo determinante nella creazione del circuito WTA e nella campagna per la parità dei montepremi, sottolineata dal suo famoso match contro Bobby Riggs, la “Battle of the Sexes”. Sempre nel 1981, Martina Navratilova ha fatto coming out; nonostante fosse una delle più grandi star del tennis, la pluricampionessa Slam ammette di aver perso contratti di sponsorizzazione per via del suo orientamento sessuale. Oggigiorno la situazione e la promozione di giocatori LGBT+ sono migliorate, ma è necessario fare qualcosa in più?

Negli ultimi anni il tennis ha aderito in maniera incostante alla campagna Rainbow Laces, con il forte sostegno della British Lawn Tennis Association. L’iniziativa è nata dall’associazione LGBT+ Stonewall ed era inizialmente rivolta nello specifico alla Premier League. L’idea è di far indossare ai giocatori lacci delle scarpe color arcobaleno così da sensibilizzare sul tema della rappresentatività LGBT+ nello sport. L’efficacia nel contrastare l’omofobia rimane discutibile.

“Nel Regno Unito le squadre hanno supportato Rainbow Laces per gli ultimi sette anni, eppure il linguaggio omofobico rimane diffuso. Due terzi dei calciatori adolescenti e quasi metà dei rugbisti maschi hanno ammesso di aver usato recentemente linguaggio omofobo verso i compagni (ad esempio, frocio [fag nell’originale, NDT]) che in genere fa parte del loro gergo e senso dell’umorismo. A livello amatoriale, gli uomini gay e bisessuali rimangono invisibili”. Così scrive in una relazione Erik Denison del Laboratorio di Ricerca delle Scienze Comportamentali dell’università Monash. “Comunque, ricerche recenti suggeriscono che spostare l’attenzione dell’attuale campagna Rainbow Laces, che è ancora in corso, dalle squadre professionistiche allo sport amatoriale potrebbe aiutare a risolvere questi problemi. Dobbiamo anche cambiare qualcosa nell’istruzione che viene impartita”.

È importante prendere con le pinze la conclusione di Denison visto che il suo giudizio si basa solamente su sport di squadra e non sul tennis. Alcune delle sue conclusioni potrebbero ovviamente essere applicabili al tennis, ma non si sa chiaramente fino a che punto. Se l’approccio di Rainbow Laces non aiuta in qualche modo la comunità LGBT+ e quindi i giocatori che tengono nascosto il proprio orientamento, i vertici del tennis dovrebbero fare di più per promuoverlo? Ubitennis ha contattato tre organi di governo per raccogliere i loro punti di vista, e tutti e tre si sono detti a favore della partecipazione dei giocatori.

Un portavoce ATP ha dichiarato a Ubitennis che “il lavoro che la Premier League e Stonewall stanno facendo per aumentare la consapevolezza verso l’inclusione LGBT+ dà un grande esempio, e noi supporteremmo assolutamente qualsiasi giocatore ATP desideroso di sostenere un’iniziativa del genere o di esprimersi personalmente. Crediamo che il tennis giochi un ruolo importante nella promozione dell’inclusività nello sport e in tutta la società, e nel 2020 Tennis United è stato uno strumento attraverso cui l’ATP ha dato spazio alle opinioni su questo importante tema. L’ATP ha indirizzato i suoi sforzi per un cambiamento positivo con il programma ATP Aces For Charity, che si occupa di varie cause, e al momento stiamo valutando il nostro approccio complessivo su questo tema”.

Al contrario della controparte femminile, al momento non c’è alcun giocatore apertamente membro della comunità LGBT+ nel circuito ATP, e nella storia ce ne sono stati pochi. Bill Tilden, vincitore di 10 titoli del Grande Slam negli anni 20, ha lottato con la sua sessualità in un periodo in cui il sesso tra gay era illegale e non tollerato dalla società. Più recentemente l’americano Brian Vahaly, ex top 100 nei primi anni 2000, ha fatto coming out ma solo dopo il suo ritiro dal tennis.

La WTA fa notare di aver lavorato con l’ATP nella scorsa stagione e di aver affrontato le questioni LGBT+ durante lo show “Tennis United trasmesso online. Un comunicato afferma che “la WTA è stata fondata su principi di uguaglianza e pari opportunità, assieme al progresso e alla positività, e supporta e incoraggia con tutto il cuore l’impegno verso iniziative LGBT+ di giocatori, membri dello staff, partner e appassionati. La WTA sostiene progetti LGBT+ degli Slam e degli altri tornei sia dal punto di vista finanziario che logistico, fa sentire le voci delle nostre atlete sull’argomento grazie alle piattaforme globali del circuito, e ha sensibilizzato incorporando lo spirito LGBT+ nella nostra identità aziendale a giugno, su tutte le nostre piattaforme globali. Nonostante le sfide del 2020, quest’anno abbiamo celebrato il mese dell’orgoglio LGBT+ con una serie di podcast e articoli sul web, abbiamo intervistato ospiti provenienti dalla comunità LGBT+ durante lo show virtuale Tennis United di WTA e ATP, e attraverso la collaborazione di WTA Charities con You Can Play, abbiamo donato equipaggiamento e fatto donazioni, mentre le giocatrici hanno partecipato ad un gruppo di discussione virtuale”.

L’ITF è responsabile per la supervisione della gestione del circuito juniores, della Coppa Davis, della coppa Billie Jean King (la vecchia Fed Cup) e del torneo olimpico. Un portavoce ha dichiarato che la ITF supporterà qualsiasi campagna contro le disparità nel tennis facendo riferimento alla campagna Advantage All, che punta a “sviluppare e sostenere il tennis come uno sport a vantaggio equo per tutti”: “Il tennis ha una lunga e illustre storia di atleti in prima linea come portavoce di cambiamenti sociali positivi, che hanno usato la loro voce e i loro canali di comunicazione per sensibilizzare. Noi sosterremo le iniziative che ribadiscono il messaggio positivo che il tennis è uno sport equo, aperto a tutti”.

È NECESSARIO FARE DI PIÙ?

Visto che ATP, WTA e ITF sembrano incoraggiare entusiasticamente campagne come Rainbow Laces o simili, c’è una domanda chiave: il tennis deve lavorare di più sulle sue politiche di inclusione LGBT+?

Dal punto di vista accademico ci sono stati pochi studi condotti in questo campo negli ultimi anni, ma un gruppo di ricercatori in Australia ha cambiato le cose: Ryan Storr, Jessica Richards e Gina Curro della Western Sydney University sono le menti dietro a “Game On”, uno studio di 31 pagine che esplora l’inclusione LGBT+ nel sistema del tennis australiano. Hanno concluso che “uno dei messaggi più chiari provenienti dai dati della relazione è che molti partecipanti hanno avuto esperienze iniziali negative nello sport, e hanno un forte desiderio di poter giocare e dedicarsi al tennis in un ambiente sicuro e proattivo”. Hanno inoltre scritto: “Quindi un messaggio chiave da tenere a mente per coloro che lavorano nel tennis e operano per facilitare l’inclusione LGBT+ è che quei giocatori, e gli uomini gay in particolare, non arrivano al tennis con un foglio bianco, ma bensì con esperienze ed emozioni negative quali paura del giudizio, vergogna e stigma, nonché poca autostima riguardo alle proprie abilità di gioco (ad esempio per via dello stereotipo secondo cui le persone omosessuali non sono brave negli sport)”.

La ricerca non riguarda il tennis professionistico, ma bensì quello amatoriale. Ad ogni modo, alcuni di questi punti chiave possono essere facilmente estrapolati per migliorare l’approccio ai giovani tennisti, in particolare quello dei giocatori adolescenti che intendono praticare lo sport a livello professionistico ma potrebbero nutrire riserve per via del loro orientamento sessuale. Uno studio condotto da un gruppo di accademici italiani ha rivelato che gli uomini gay hanno più probabilità di smettere di giocare per via di “un timore di essere vittime di bullismo e una maggiore pressione familiare a conformarsi a sport più mascolini”.

Queste “esperienze negative” sono state raccontate in precedenza dall’ex N.63 ATP Vahaly, che ha dichiarato ad atptour.com quanto segue: “Non ho mai sentito di avere persone nello sport con cui potessi parlarne, perché sapevo che era un ambiente iper-mascolino e intenso e sapevo che non avrebbero capito. Francamente è anche difficile essere vulnerabili davanti a giocatori con cui sei in competizione, perché stiamo combattendo per lo stesso assegno. È una cosa che ho dovuto inevitabilmente accettare”.

Il tennis è storicamente stato sempre un ambiente accogliente per esponenti LGBT+ e sono state condotte diverse campagne a riguardo. Fra questi, gli eventi di maggior successo sono quelli di LBGTennis di Nick McCarvel, in cui le persone possono discutere di argomenti legati alla comunità gay; sono organizzati in concomitanza dei maggiori tornei di tennis, e in passato hanno ospitato figure quali Kevin Anderson. “C’è un po’ di conservatorismo nello sport, e questo va bene, ma se hai la possibilità di essere il vero te stesso sul campo, negli spogliatoi, in sala stampa, nei corridoi degli stadi degli Slam in giro per il mondo – è una cosa veramente, estremamente importante”, ha dichiarato McCarvel a Ubitennis l’anno scorso.

Però sembra ancora esserci una certa distanza su questo argomento se si pensa agli enti governativi del tennis. Forse ci vorrà che qualcuno di essi prenda l’iniziativa per mettere in moto gli altri, una cosa che gli autori di “Game On” sperano possa accadere presto. Gli autori concludono che “Tennis Australia dovrebbe usare le sue piattaforme e mostrare alle persone LGBT+ in Australia e nel resto del mondo come il tennis sia uno sport in cui si può essere sé stessi, accettati e accolti per ciò che si è. Sii te stesso e gioca a tennis”.

COME ANDARE AVANTI?

Forse la direzione più giusta da prendere dovrebbe essere indicata dalle esperienze dei pochi giocatori dichiaratamente omosessuali che sono già nel circuito. Tara Moore ha come best-ranking il numero 145 al mondo, e ha vinto nove titoli ITF. Moore ha scritto per e-mail a Ubitennis che “quello che le squadre di calcio e la Football Association stanno facendo con Rainbow Laces e Rainbow Bands è una grande iniziativa, e mette in luce l’inclusività e soprattutto l’accettazione all’interno del loro sport. Nel tennis, anche se siamo accettati dai nostri colleghi, credo che la WTA e la ATP potrebbero adottare qualcosa di simile ai lacci arcobaleno e far parlare del tema i loro giocatori più in vista. Il fatto che negli sport maschili ci siano così pochi gay dichiarati parla chiaro, c’è ancora uno stigma a riguardo”.

I discorsi di Moore su un potenziale stigma causano preoccupazione in molti, incluso Ryan Storr, che sottolinea come un atleta che provi a nascondere la propria sessualità potrebbe avere un impatto negativo sulle sue prestazioni.  

Parlando con Ubitennis, Storr fa notare come il tennis sia uno sport popolare tra gli uomini gay nonostante la mancanza di giocatori gay dichiarati. “Una cosa evidente è la quantità di uomini gay nel campione, quindi sappiamo che gli uomini gay sono attratti dal tennis, ma ai livelli più alti non fanno outing”, ha commentato sulla sua ricerca per lo studio Game On. “Confrontiamoli però con le donne, tra cui ci sono moltissime giocatrici di punta dichiarate, sia presenti che passate (Demi Schuurs, Sam Stosur) rispetto a pochi uomini, sotto i riflettori soprattutto dopo aver fatto coming out. Jan-Michael Gambill posta regolarmente su Instagram riguardo al suo compagno, ma non ci sono molti articoli in cui parli della propria omosessualità. Brian Vahaly ne ha parlato e adesso ha anche una famiglia. Una cosa da sottolineare è che quando atleti professionisti uomini devono nascondere la loro identità e chi sono veramente, questo avrà senza dubbio un impatto sulle prestazioni”.

L’anno scorso la International Review for the Sociology of Sport ha pubblicato uno studio che ha rilevato come gli atleti tendano ad essere più felici e ad avere più fiducia in sé stessi dopo aver fatto coming out. Tali scoperte sono basate sulle testimonianze di 60 atleti che sono state pubblicate su outsports.com. Storr spiega che “quando i giocatori possono essere sé stessi e fare outing, c’è un impatto positivo sulle persone LGBT+ che può attirarle verso lo sport, visto che hanno la percezione che esso sia accogliente. Se gli organi direttivi vogliono far crescere il loro giro di affari, vendere più biglietti, attrarre più fans, e sviluppare un vero business case, devono mostrare di essere inclusivi, e i loro giocatori sono il maggior punto di forza per vendere. Dovrebbero fare tutto quel che è in loro potere per aiutare i giocatori ad essere sé stessi, pubblicizzarli adeguatamente e supportarli”.

Riguardo a quanto dovrebbe essere fatto, una raccomandazione per gli organi direttivi del tennis è di mettere in atto una strategia pensata nello specifico per le persone LGBT+ così da attirarle verso lo sport. Da qui l’importanza di una campagna come Rainbow Laces, almeno in una certa misura. Stanno perdendo per strada un gruppo di talenti LGBT+, se tali atleti non percepiscono il mondo del tennis come sicuro e accogliente. Ma consideriamo che dalle stime le persone LGBT+ risultano essere, nelle società occidentali, circa il 10-15 percento della popolazione. Da organizzazione sportiva globale non possono ignorare e non coinvolgere e promuoversi verso una così larga parte della popolazione”, spiega ancora Storr. “Ecco perché eventi come quello gestito da Nick McCarvel e l’Australian Open (il Glam Slam e la Pride Arena) sono così importanti per promuovere e in ultimo comunicare che il tennis, o qualsiasi organizzazione tennistica, sono accoglienti e vogliono che le persone LGBT+ si sentano coinvolte e sappiano di essere supportate”.

Ci sono oltre 1500 giocatori con un ranking professionistico nel circuito ATP, ma nessuno di essi è apertamente LGBT+. Forse, come con la Premier League, ci vuole una prima persona coraggiosa che faccia outing e inizi il cambiamento. Ad ogni modo, è chiaro che serva fare di più.


Traduzione a cura di Alberto Tedesco

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