Ecco come l’ATP sta creando un ambiente più accogliente per i giocatori della comunità LGBTQ+

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Ecco come l’ATP sta creando un ambiente più accogliente per i giocatori della comunità LGBTQ+

L’organo governativo del tennis maschile ha ricevuto grandi elogi per il suo approccio proattivo, anche grazie all’aiuto di una prominente associazione LGBTQ+ e di una delle migliori università di ricerca

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Guido Pella allo US Open 2021 (Manuela Davies/USTA)
 

Qui l’articolo originale di ubitennis.net

Nel corso della prima settimana dello US Open, abbiamo potuto notare una grande quantità di bandiere arcobaleno e di polsini, indossati sia dai giocatori che dagli spettatori, in onore del primo Open Pride Day della storia del torneo. L’intero Slam è stato parte del piano strategico Diversity and Inclusion ideato dalla USTA per includere sempre più tennisti nella discussione. Ricordiamo che le politiche del tennis in merito non erano state esenti da critiche, come sottolineato in un precedente pezzo. A differenza del tennis femminile, l’ATP non conta al momento giocatori apertamente omosessuali, e coloro che hanno deciso di fare questo passo anni addietro si contano sulle dita di una mano, nonostante le promesse di supporto da parte del resto del Tour. Tra questi si annoverano Stefanos Tsitsipas ed il fresco vincitore dello US Open Daniil Medvedev, i quali si erano espressi dopo i rispettivi match di secondo turno.

Il canadese Fèlix Auger-Aliassime ha invece rivelato che l’ATP in questo periodo ha indetto un sondaggio tra i propri atleti riguardo le problematiche della comunità LGBTQ+. “Ho da poco iniziato a condurre un sondaggio dell’ATP riguardo la comunità LGBTQ+”, ha affermato. “È importante in quest’epoca essere informati sul tema ed avere una certa apertura mentale, e c’è bisogno che l’ATP stessa sia in prima linea. Non so bene perché non ci siano gay dichiarati nel circuito, ma per quanto mi riguarda non ci sarebbe nessun problema. Credo che per la forza dei numeri qualcuno dovrà pur esserci, ma per il momento non sembra questo il caso”.

Stuzzicata dalle parole di Auger-Aliassime, Ubitennis ha approfondito il lavoro svolto dalla ATP in collaborazione con altri due enti. La decisione di supportare la LGBTQ+ è parte di un piano ad ampio respiro progettato dalla ATP, che include il delicato tema della salute mentale degli atleti e del proprio staff. A questo proposito, nel maggio 2020, l’associazione giocatori ha unito le forze con Headspace e Sporting Chance.

Il sondaggio a cui abbiamo accennato in precedenza è nato in seguito ad un contatto tra l’organizzazione e Lou Englefield, direttore di Pride Sports, un organismo con sede nel Regno Unito che ha il lodevole scopo di combattere la LGBTQ+fobia negli sport e migliorare le condizioni di accesso agli sport per gli atleti LGBTQ+. È stato in seguito contattato anche Eric Denison, un ricercatore di scienze comportamentali presso la Scuola di Scienze Sociali della Monash University, autore del primo studio internazionale sull’omofobia nello sport intitolato “Out on the Fields”.

Mi ha piacevolmente impressionato l’iniziativa dell’ATP ed il loro forte desiderio di combattere il comportamento omofobico non solo nei confronti delle persone gay, ma nei confronti di tutti i giocatori”, ha scritto Denison in uno scambio di e-mail. “Nessun altro sport ha assunto questo tipo di atteggiamento nei confronti delle problematiche LGBTQ+, né ha profuso questo tipo di sforzo per cercare soluzioni”. Denison afferma che la consuetudine per anni è stata di affrontare la questione soltanto in seguito a pressioni ricevute dal movimento LGBTQ+. A supporto di questa affermazione, le ricerche che ha condotto nel suo studio hanno documentato almeno 30 casi di discriminazione nei confronti di atleti LGBTQ+ bellamente ignorati dagli organi competenti.

La Monash University ha inviato all’ATP una serie di domande con validità scientifica ai fini di scovare quei fattori che contribuiscono a creare una cultura ed un ambiente di lavoro scomodo per i giocatori gay o bisessuali. La metodologia seguita è molto simile a quella adottata da Denison nel 2020 in un’altra ricerca che si focalizzava sugli sport di squadra, specialmente sul rugby e l’hockey su ghiaccio. “Non crediamo che il tennis sia uno sport inconsciamente più omofobico di altri, ma abbiamo notato che c’è una disparità netta tra ciò che viene spesso professato dagli atleti nei confronti delle persone omosessuali (ad esempio, i tanti commenti a favore della comunità LGBTQ+ arrivati di recente) e il loro effettivo comportamento sul campo, come i tanti insulti o battute omofobiche” dice Denison. “Questo tipo di comportamento diventa consuetudine e contribuisce a creare un clima piuttosto ostile nei confronti degli atleti gay o bisessuali, che cercano quindi di nascondere la propria identità. La situazione è ancora più grave nel tennis giovanile o in quello non professionistico: le battutacce continueranno perché le persone pensano che siano innocue”.

La speranza è che in futuro sempre più tennisti si presteranno alle domande e agli studi condotti dai ricercatori al fine di capirne di più sull’argomento. I risultati saranno poi utili alla Pride Sports ed alla Monash University al fine di mettere a punto soluzioni al problema; chiaramente non sappiamo ancora quanto tempo dovrà passare perché ciò accada.

L’ex top-100 Brian Vahaly è uno dei pochi tennisti apertamente gay ad aver giocato ad alto livello. Tuttavia, è stato soltanto dopo il suo ritiro dalle competizioni, avvenuto all’età di 27 anni, che ha fatto coming out. In un’intervista con Ubitennis condotta quest’anno, Vahaly ci aveva parlato delle barriere che incontrano i giocatori gay in giro per il Tour. “È un ambiente estremamente competitivo e virile”, raccontava. “Non ci sono molti esempi di giocatori omosessuali in giro, se non nella WTA. Il mio problema all’epoca era la giovane età, non avevo di certo le spalle larghe da poter difendere la causa LGBTQ+, avevo bisogno di tempo per capire meglio anche me stesso. Per quanto mi riguarda, non ho mai avuto l’impressione di avere qualcuno che mi potesse capire o che stesse affrontando la mia stessa situazione”.

Da quel momento, l’ATP ha preso i contatti con Vahaly e le due parti hanno cominciato una sorta di collaborazione, grazie alla quale Brian ha avuto modo di conoscere Denison. Nella sua carriera pro, Vahaly si è spinto fino alla posizione numero 64 del ranking e ha vinto cinque Challenger. Dopo il suo ritiro è entrato nel CdA della USTA nel 2013. “Sono felice che finalmente l’ATP stia facendo qualcosa, e mi meraviglia in positivo l’approccio data-driven che hanno assunto”, chiosa.

L’ATP quindi ha deciso di rendere il circuito maschile un ambiente più accogliente e sicuro per gli atleti LGBTQ+ del futuro, e per coloro che minimizzano l’importanza di questo passo nel 2021, ecco alcuni dati demografici. Sportsnet riporta dei dati del 2019 che sono allarmanti a dir poco: il 26% dei teenager americani appartenenti alla comunità LGBTQ+, in particolare quelli della fascia d’età che va dai 16 ai 17 anni, ha contemplato il suicidio almeno una volta (un dato superiore di ben cinque volte a coloro che si identificano come etero). Tra coloro i quali sono stati apostrofati con termini omofobici, il 33% ha sviluppato atti di autolesionismo, e un ulteriore 40% ha avuto pensieri al riguardo. Con più di 2000 giocatori al mondo che hanno almeno un punto nella classifica ATP, sembra quindi necessario garantire degli aiuti a chi dovesse decidere di fare coming out.

Traduzione a cura di Antonio Flagiello

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