La Coppa Davis 2021 si è conclusa a fine anno tennistico con lo stesso prevedibile risultato con cui si era aperto insieme con l’ATP Cup: la vittoria dello squadrone russo, il solo a schierare due top-five, Medvedev 2 e Rublev 5, un recente ex top-ten, Khachanov e un top-20 come Karatsev, N.18 (ma con un best ranking ancora ad agosto di N.15). Si tratta della terza vittoria della squadra della federazione russa dopo quelle del 2002 (3-2 alla Francia) e del 2006 (3-2 all’Argentina) con Safin e Kafelnikov prima, con Youzhny, Davydenko e Tursunov poi; il merito di quest’ultimo successo va ascritto soprattutto ad un Medvedev che ha vinto i suoi 5 incontri senza perdere un solo set. In cinque incontri la Russia ha perso solo due partite, ma una – quella del doppio ceduto ai tedeschi – a risultato acquisito, quando non contava nulla ed erano scese in campo le riserve Khachanov e Karatsev. “Avevo giocato una sola volta la vecchia Coppa Davis, ma insomma due anni fa qui l’aveva vinta Nadal, questa volta c’era Djokovic, a me sembra sempre una manifestazione di cui si può essere orgogliosi a vincerla”.
Forse davvero la sola squadra che avrebbe potuto competere per la vittoria poteva essere la nostra, se gli azzurri avessero potuto schierare sia Berrettini sia Sinner, perché sull’eventuale 1-1 il doppio russo non sarebbe stato imbattibile, chiunque lo avesse giocato.
La Madrid Arena di Casa de Campo – stadio praticamente riaperto per l’occasione dopo che un incendio avvenuto il 31 ottobre del 2012, quando si erano radunate 16.600 persone per una festa chiamata “Thriller Music Park”, aveva provocato la morte di 5 ragazze (3 di 18 anni) e 29 feriti gravemente nel disperato fuggi fuggi generale; è poi seguita una serie di azioni legali connesse all’assenza di un sufficiente numero di vie di fuga per tutta quella gente, e nel marzo 2018 Miguel Angel Flores, l’impresario ritenuto “responsabile” della festa e della mancata sicurezza, è stato condannato a 4 anni di reclusione – ha comunque registrato una più che discreta affluenza di pubblico nelle giornate finali, da 6.000 a 9.000 spettatori, nonostante la Spagna non fosse presente. Forse il De Profundis questa gara non lo merita. Semmai vedremo ad Abu Dhabi.
Questo mi fa credere che a competere per essere una delle quattro città prescelte a ospitare uno dei 4 gironi a 4 (e non più a tre) della Coppa Davis 2022 ci saranno nuovamente:
1) Madrid, perché è difficile che la Kosmos di Pique e soci ci rinuncino;
2) probabilmente Torino (o comunque un’altra città italiana, visto che Torino ha già le Nitto ATP Finals…però la situazione logistico-organizzativa resta favorevole e l’Italia ha una squadra super-competitiva in grado di vincere il proprio girone, salvo che ci sia un altro…Gojo che improvvisa dispetti o che la Slovacchia ci faccia lo sgambetto a Bratislava il 4-5 marzo);
3) quasi certamente Londra o Manchester (entrambe candidate nel 2019 a ospitare le ATP Finals)
4) chissà che la quarta non sia Mosca, cui certo non mancherebbero i mezzi economici per venire incontro alle pretese di Kosmos e ITF. Mosca, anzi, avrebbe potuto essere la candidata con più chances per poter ospitare anche la fase finale. Per i prossimi 5 anni la RTF sarà sempre fra le primissime squadre favorite per la riconquista della nuova Davis.
Tutto ciò ipotizzato, mi pare che la principale novità emersa dalla conferenza stampa del presidente ITF David Haggerty e del chief executive office della Kosmos Enric Rojas possa essere – quantomeno rispetto ai dubbi e alle prime critiche emerse a seguito delle indiscrezioni dei giorni scorsi e da noi riprese – sta nell’annuncio che anche i quarti di finale, le semifinali e la finale che si disputeranno in sede neutra, verranno giocati in uno stadio indoor.
Dalle prime indiscrezioni non era subito sembrato così. Era evidente che soltanto in stadi indoor si sarebbero potute ospitare in pieno inverno le fasi eliminatorie nelle quattro città europee che organizzeranno i 4 gironi da martedì 22 novembre 2022. E a tutti era apparso incredibile che si potesse pensare di fare giocare i gironi eliminatori per quasi una settimana al coperto per poi pretendere di far giocare invece le fasi finale su campi all’aperto.
Ciò anche se il clima consentirebbe ovviamente ad Abu Dhabi di giocare tranquillamente outdoor. Che sarà Abu Dhabi la sede della fase finale, checchè se ne dica, è però quasi scontato. Manca solo la firma. Non so perché ancora essa manchi, ma al momento non sarebbero emerse alternative serie…data la montagna di soldi che serve per accaparrarsi la fase finale della Coppa Davis nuovo formato per 5 anni. Come accennavo prima, forse solo la Russia potrebbe garantirne altrettanti (soprattutto ora che la Cina, dopo il caso Peng Shuai, con la presa di posizione della WTA ben più coraggiosa di quelle di ATP e CIO, sembra proprio fuori causa).
Comunque sia, questa notizia ci rassicura sul piano sportivo e cancella quella che a prima vista era apparsa una incongruenza tecnica intollerabile.
Però alcuni difetti restano. E non sono pochi. Se è vero che il tennis di vertice da qualche anno è soprattutto europeo – a Torino gli otto “maestri” qualificati per le ATP Finals erano tutti europei, così come le due riserve – tutti i Paesi extra europei per i prossimi 5 anni non potranno vedere neppure un match casalingo di Coppa Davis, almeno per quanto riguarda la fase finale. Non è un difetto da poco lasciar fuori per un quinquennio Paesi dalle indiscutibili grandi tradizioni in Davis.
Come gli Stati Uniti che hanno vinto 32 Coppe Davis, come l’Australia che ne ha vinte 28. I due Paesi a lungo capaci di monopolizzare Challenge Round e grandi sfide non potranno più assistere per 5 anni a un match giocato in casa nelle fasi finali, quelle che più contano, davanti al proprio pubblico. Per loro saranno solo trasferte e zero promozione at home. Idem per le altre due nazioni extra europee che hanno vinto la Davis, anche se una volta sola: Argentina e Sud Africa.
Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato qui su Ubitennis le pesanti critiche di Lleyton Hewitt, di Isner e altri tennisti americani al nuovo format di questa coppa rimodellata nel 2019. Certamente adesso non avranno cambiato idea. Intensificheranno, semmai, i loro strali.
Direi che è soprattutto in Australia che la Coppa Davis ha continuato ad essere molto sentita, per via della sua grandissima tradizione – dal ’50 al ’67 con capitano Harry Hopman la vinsero 15 volte in 18 anni grazie ai formidabili Sedgman, Rosewall, Hoad, Laver, Newcombe, Roche, Emerson, Stolle – anche se poi gli aussies non l’hanno più vinta che per altre sole 6 volte dopo il ’67 (’73, ‘77, ’83 ,’86 e ‘99, l’ultima nel 2003, 18 anni fa, quando la finale la giocarono in casa vincendola 3-1 contro la Spagna).
In Australia l’ATP Cup potrebbe finire per avere il sopravvento sulla Coppa Davis nell’immaginario collettivo, anche per questioni meramente logistiche. Difatti quando la si è giocata ha avuto ovunque un notevole successo di pubblico. Anche all’Australian Open del resto, in tempi pre-Covid, la presenza straniera è sempre stata massiccia. Grazie a tanti appassionati desiderosi di trasferirsi al caldo abbinando spirito turistico, più i tanti emigrati che lavorano Down Under.
Continuando a riferirsi all’altra delle due potenze che più di tutte hanno scritto la storia della Coppa Davis, oggi come oggi nel Nord America la Davis sembra essere molto meno sentita che in Australia (e anche in Argentina). Media compresi. Si avverta dalla East alla West Coast una sostanziale indifferenza. Per anni i network americani hanno perfino snobbato l’acquisto dei diritti tv, anche perché il tennis USA non era mai protagonista.
Ero a Mosca quando gli USA di Sampras, Courier e Martin vinsero nel 1995 sui russi che, persa la finale dell’anno precedente con la Svezia con la complicità del presidente i Boris Yeltsin e del ministro dello sport Tarpishev, avrebbero fatto carte false pur di vincerla per la prima volta. Pete Sampras fu l’eroe di quei tre giorni. Vinse due singolari e il doppio con Todd Martin…ma soprattutto un singolare 6-4 al quinto contro Chesnokov su un lentissimo campo in terra battuta con un dritto vincente sul matchpoint… tirato il quale cadde vittima di crampi terribili, urlando come fosse ferito a morte. Pete uscì dal campo a braccia, trasportato dai compagni. Un finale drammatico. Ma proprio Sampras raccontò poi assai deluso, e lamentandosene non poco, che negli USA le sue tre epiche vittorie erano passate quasi inosservate, finendo nelle “brevi” dei giornali di maggior tiratura.
Forse anche per questo scarso interesse, oltre che per la crisi tecnica attraversata dal tennis americano dalla “scomparsa” agonistica del loro ultimo numero uno (per 13 settimane) Andy Roddick, gli USA hanno catturato la Davis l’ultima volta nel 2007 (con Roddick e Blake a Portland, nell’Oregon, proprio sulla Russia) dopo averla conquistata nel ’78, ’79, ’81, ’82, 90, e ’95. Insomma una sola volta negli ultimi 15 anni, dopo 31 trionfi ben più remoti.
E devono molte delle loro vittorie fra il ’78 e l’82 a John McEnroe, che adorava il clima di quella Coppa Davis e che a quell’epoca era uno dei più forti tennista del mondo, quasi…un Djokovic quanto ad amor patrio.
Quella del ’79, qualcuno anziano come me ricorderà, avvenne contro l’Italia: McEnroe, Gerulaitis, Smith e Lutz in doppio non lasciarono un set in 5 match a San Francisco agli azzurri Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli (ahinoi c’era anche il pachidermico tifoso Serafino con le sue urla a non farci fare una gran bella figura) dei quali abbiamo rivissuto in questi giorni una anticipazione della Docuserie firmata da Domenico Procacci in occasione del Torino Film Festival (che vedremo uscire su SKY verso aprile-maggio) e che non si limita a raccontare la contrastata spedizione 1976 nel Cile di Pinochet alla volta dell’unica vittoria italiana nella manifestazione creata da Dwight Davis nel 1900.