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Caso Djokovic: cosa ne pensano il New York Times, l’Equipe e le altre grandi testate internazionali
Per John Feinstein del Washington Post: “Nole a un bivio, rischia di essere ricordato come una barzelletta triste”. Il Guardian critica l’organizzazione: “Tiley rifletta sugli innegabili fallimenti di Tennis Australia e del governo vittoriano

Con il sostegno della Serbia intera alle spalle, Novak Djokovic aspetta lunedì il verdetto dei tribunali australiani sulla sua esenzione, il suo visto cancellato e la sua espulsione. Intanto, Matthew Futterman sul New York Times ragiona stamattina sul declino di popolarità e la fine del sostegno popolare a quei campioni così tanto new age.
“In un’epoca meno pericolosa – scrive – un pubblico più indulgente vedeva le visioni non tradizionali della scienza e della salute di Novak Djokovic come caratteristiche bizzarre di un ricercatore iperattivo, con convinzioni fortemente radicate su tutto, dallo sport alla spiritualità. Si è seduto all’interno di una capsula pressurizzata a forma di uovo durante i principali tornei, credendo che avrebbe migliorato la circolazione, aumentato la produzione di globuli rossi e liberato i muscoli dall’acido lattico. Ha sostenuto il concetto che la preghiera e la fede possono purificare l’acqua tossica. Djokovic e altri atleti di alto profilo con approcci alla salute non ortodossi, sono stati fonte di domande per un pubblico che, nel bene e nel male, li ha trattati a lungo come modelli di ruolo. Erano stranezze apparentemente innocue, come la ciotola di gelato all’avocado del quarterback Tom Brady. Ora non più. L’ultima ondata di casi di coronavirus e la lotta in corso per uscire dalla pandemia hanno spostato le percezioni pubbliche: gli atleti iconoclasti che una volta erano visti favorevolmente, stanno incontrando ostacoli ora che vogliono giocare con regole diverse rispetto a tutti gli altri”.
Michael Lynch, ex direttore del marketing sportivo per Visa e consulente di lunga data dell’industria sportiva, ha detto al quotidiano americano che «il pubblico in generale continua a rispondere positivamente se un atleta parla di argomenti che fanno la differenza nella società e migliorano la vita delle persone. Ma se qualcuno prende una posizione che mette a rischio la vita, allora la reazione diventa molto negativa».
Futterman sottolinea come “la fama che deriva dal successo atletico ha fornito a Djokovic e ad altri atleti di spicco che si oppongono ai vaccini contro il coronavirus – come il quarterback NFL Aaron Rodgers e il giocatore di basket Kyrie Irving – piattaforme per promuovere cause in cui credevano e raccogliere milioni di dollari. Ma negli ultimi mesi, i loro profili sono diventati controversi, poiché il loro comportamento e le loro opinioni hanno supportato la disinformazione e messo a rischio la sicurezza pubblica. Per le organizzazioni sportive e le leghe, la posta in gioco è alta. Per più di un decennio, l’accesso ai social media ha dato alle star dello sport la possibilità di avere un grande impatto. Finché ciò che dicevano non era offensivo o polarizzante, hanno fatto pubblicità gratuita e per lo più positiva ai loro sport, alle loro cause e ai loro marchi. La questione della vaccinazione ha cambiato i termini dell’equazione”.
In un intervento per il Washington Post, John Feinstein scrive che “nessuno ha lavorato più duramente di Djokovic per essere preso sul serio come grande campione. Ora è diventato una barzelletta triste. È il tennista numero 1 al mondo e potrebbe diventare il più grande giocatore di tutti i tempi. C’è chi pensa che lo sia già. Ma ora è anche a un bivio, a un punto dove pochi atleti veramente grandi sono mai arrivati. Aaron Rodgers ha fatto del suo meglio quando è stato sorpreso a ingannare il pubblico sul fatto che fosse stato vaccinato per il coronavirus, Antonio Brown ha fatto un ulteriore passo avanti quando ha presentato una falsa tessera di vaccinazione.
Ma nessuno di loro è stato arrestato dai funzionari di frontiera in Australia e trattenuto in un hotel in attesa di un’espulsione. Come Rodgers e Brown, Djokovic si è messo in un pasticcio imbarazzante perché pensava di essere al di sopra delle regole della decenza e si è rifiutato di ottenere una vaccinazione di cui la maggior parte delle persone capisce di aver bisogno. Djokovic non è stato certamente il solo a creare la debacle di Melbourne. Se credete che a Djokovic non fosse davvero stato concesso un privilegio speciale, allora Craig Tiley ha un terreno di fronte all’oceano che vorrebbe vendervi. Il primo ministro australiano Scott Morrison chiaramente non ha accettato la richiesta di Tiley. Nei suoi giorni migliori – continua il Washington Post – Djokovic è intelligente e premuroso, secondo me pure simpatico. Al suo peggio è incredibilmente stupido per essere una persona tanto brillante. Ha spesso trattato il covid come chi insiste sul fatto che sia poco più di un raffreddore, nonostante i numeri terrificanti in tutto il mondo facciano capire che non è così. Ora l’ha anche trasformato in una questione politica, nella quale non sembrano esserci bravi ragazzi. Djokovic è diventato il protagonista di un incidente internazionale. Potrebbe ancora gareggiare a Melbourne, se lo farà il torneo rimarrà una soap opera con lui in campo. Oppure non giocherà e dovrà affrontare l’imbarazzo di essere espulso”.
Anche Simon Briggs, sull’inglese Telegraph, indaga nel passato da ricercatore di scienze alternative del serbo e lo fa partendo dalla lettura della biografia, spiegando “come uno scettico è diventato una pin-up per il movimento No Vax. Bisogna solo leggere Serve To Win per capire. Questo libro particolare è pieno di filosofia new age, con capitoli intitolati: – Come l’apertura della mia mente ha cambiato il mio corpo. Le nostre personalità, dicono, sono formate dalle storie che ci raccontiamo. È interessante vedere come Djokovic inquadra le sue. Menziona i bombardamenti della NATO su Belgrado durante l’infanzia, che è il modo in cui iniziano i documentari televisivi su di lui. Ma questi elementi della storia sono narrati come un fatto secondario rispetto ai disturbi fisici ricorrenti – allergie, difficoltà respiratorie, seni nasali bloccati – fino a quando ha rinunciato al glutine. Niente di particolarmente strano finora, finché non spiega come è stata diagnosticata la sua intolleranza. Un nutrizionista serbo, chiamato Dr Igor Cetojevic, ha chiesto a Djokovic di tenere il braccio destro ad angolo retto e di resistere alla pressione mentre lo spingeva verso il basso. Poi l’esercizio è stato ripetuto, solo che questa volta Djokovic teneva una fetta di pane sullo stomaco. “Ero notevolmente più debole”, scrive Djokovic, che aggiunge come “il test kinesiologico del braccio sia stato usato a lungo come strumento diagnostico dai guaritori naturali”. Sì, e i medium parlano con i morti. Ecco, Novak. Il cercatore della verità. L’amante della natura. Ecco l’uomo che spezzava le sue partecipazioni a Wimbledon con viaggi al vicino tempio Buddhapadipa per meditare in riva a un lago. Un uomo che due anni fa ha rivelato di avere un amico nei giardini botanici di Melbourne – “un fico brasiliano su cui mi piace arrampicarmi”. Lo spiritualismo da jet-set di Djokovic potrebbe sembrare affascinante di per sé. Ma il suo effetto collaterale è stata la credulità”.
L’editorialista del Telegraph dice che “Serve To Win descrive un cosiddetto ricercatore che prende due bicchieri d’acqua e dirige energia amorevole verso uno, mentre impreca con rabbia verso l’altro. “Dopo alcuni giorni – sono le parole di Djokovic nel suo libro – il bicchiere pieno di rabbia si tingeva di verde, l’altro bicchiere era ancora luminoso e cristallino”. Le eccentricità di Djokovic hanno ostacolato la sua carriera? – si domanda Briggs. Se Djokovic fosse solo un giocatore professionista, le sue convinzioni pseudo-scientifiche non sarebbero altro che una bizzarra nota a piè di pagina. Invece è un potente modello, in particolare nei Balcani. Migliaia di persone hanno probabilmente emulato la sua posizione sui vaccini. Alcuni rischiano di subire delle conseguenze. Non aspettatevi che cambi. È un personaggio testardo, abituato a fare a modo suo. Non rinuncerà facilmente alla filosofia che – nel bene e nel male – lo ha reso l’uomo che è”.
L’Equipe dedica stamattina due pagine al numero 1 serbo, domandandosi se la sua carriera potrà proseguire regolarmente, senza vaccinarsi. Nel suo commento, Frank Ramella scrive: “Djokovic non è politicamente corretto. Djokovic vuole restare fedele ai suoi valori. Nonostante tutto il lavoro fatto sullo sviluppo personale, ribolle dall’interno verso l’esterno e non si trattiene. Questo è un po’ il motivo per cui è stato eliminato agli US Open 2020, quando il suo tiro furioso ha colpito accidentalmente una giudice di linea. Fu il primo sorprendente intoppo nella sua ricerca del record di Slam. Il numero 1 del mondo è anche convinto che il corpo porti dentro sé le capacità di automedicarsi. Ha ritardato per questo fino all’ultimo momento un’operazione al gomito, diventata indispensabile dopo i fallimenti delle soluzioni alternative. In questa prospettiva si deve intendere il suo categorico rifiuto del vaccino. Ed è per questo che potrebbe perdere l’occasione di aggiudicarsi un potenziale 21esimo titolo del Grande Slam. Un secondo incredibile intoppo nel suo cammino. Che storia!”.
Tumaini Carayol, firma del tennis per il Guardian dice stamattina che “il numero uno al mondo è spesso il peggior nemico di se stesso, ma non è l’unico da incolpare nel caos che si sta verificando a Melbourne. La sua abilità che lascia senza fiato sul campo, è abbinata alla sua frequente tendenza all’auto-sabotaggio. Si dice spesso dei migliori giocatori che i più grandi avversari siano loro stessi. Djokovic porta il ragionamento a nuovi livelli. Insegue la storia e il record di 21 titoli del Grande Slam, eppure è così preso dalla scienza alternativa da essere disposto a complicare le sue possibilità, arrivando non vaccinato al confine di uno degli Stati più rigidi al mondo. È arroganza, è l’ostinata fiducia in se stessi che guida il suo tennis, ma che spesso lo porta anche fuori strada. Le decisioni che prende, evidenziano la necessità di avere persone giuste intorno a dare consigli saggi. Sembra improbabile che Djokovic guarderà a questo episodio come a un’opportunità per crescere. Il più delle volte, le ingiustizie che sente di aver subito hanno avuto l’effetto opposto, rafforzando la sua determinazione, riaffermando la convinzione di essere un uomo contro il mondo. Mentre Djokovic continua a ricevere disprezzo, tutte le istituzioni coinvolte meritano critiche. Tiley rifletta sugli innegabili fallimenti di Tennis Australia e del governo vittoriano, con esenzioni mediche che non hanno avuto alcun effetto sulla politica federale alla frontiera. I fallimenti di Tennis Australia e del governo dello stato di Victoria non assolvono però il governo federale, nel battibecco tra enti locali e federali. Il giorno prima dell’arrivo di Djokovic in Australia, al primo ministro del paese Scott Morrison era stato chiesto in conferenza stampa cosa pensasse. Rispose che si trattava di un problema per lo stato di Victoria. In un giorno ha cambiato la sua posizione. Si potrebbe ragionevolmente concludere che solo allora si è reso conto dei punti politici che avrebbe guadagnato agendo con decisione. Ci sono 36 rifugiati nello stesso hotel di Djokovic. Alcuni sono bloccati in albergo da otto anni e da allora sono stati trattati in modo ripugnante dallo Stato australiano. Meritano l’attenzione e la compassione che il breve soggiorno di Djokovic sta generando”.
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Sabalenka tra passato e futuro: “Pensavo ai doppi falli e non riuscivo a controllarmi. Ora voglio vincere altri Slam”
La nuova numero uno del mondo si racconta a Tennis Magazine, dall’amicizia con Badosa alla sua passione per la velocità

Uscita dallo US Open senza quello che sarebbe stato il suo secondo titolo Slam, ma con in mano lo scettro di nuova regina del tennis mondiale, Aryna Sabalenka ha ancora davanti qualche giorno di riposo e allenamenti prima di rientrare nel circuito. La bielorussa ha infatti deciso di saltare il 1000 di Guadalajara e ha optato per la stessa soluzione anche in relazione al 500 di Tokyo. Il suo primo match da numero uno del mondo sarà quindi a Pechino, nell’ultimo ‘mille’ della stagione femminile. Così, nel frattempo, Aryna ha concesso un’intervista a Tennis Magazine in cui ha affrontato argomenti tennistici e non. Innanzitutto, la campionessa dell’ultimo Australian Open ha ribadito ancora una volta la sua fame di Slam, scoperta proprio dopo la vittoria a Melbourne: “E’ stato il risultato più importante della mia carriera fin qui. Le sensazioni provate dopo quel successo sono così meravigliose che non si provano in nessun altro ambito della vita, quindi voglio viverle di nuovo, molte altre volte”.
Tra i temi extra-campo ma che comunque hanno punti di contatto con il tennis giocato c’è il grande rapporto di amicizia con Paula Badosa, alle prese con un infortunio alla schiena che ha già messo termine alla sua stagione. Le due hanno disputato alcuni tornei di doppio insieme e, in carriera, si sono scontrate quattro volte (con due vittorie a testa): “nessuna delle due si arrabbia e nemmeno esulta per un bel punto – dice però Aryna – durante la partita ci sono momenti in cui si pensa troppo, momenti in cui vorrei urlare, ma so che non devo farlo perché lei è mia amica e non voglio che si arrabbi con me. Continueremo a supportarci a vicenda, come facciamo sempre”.
A proposito di doppi, la bielorussa ha poi spiegato la scelta di ridurre drasticamente il suo impegno in questa specialità, in particolare durante i tornei del Grande Slam: “È molto difficile competere in entrambi i circuiti, anche mentalmente. Ci sono state volte in cui ho disputato singolare e doppio negli Slam, ma durante il doppio stavo lì a pensare al singolare del giorno dopo. Non sapevo se dare il massimo o meno, come gestire le mie energie. Pensavo troppo e poi perdevo il singolare. Nonostante i successi in doppio (ha vinto, in coppia con Elise Mertens, lo US Open nel 2019 e l’Australian Open nel 2021, oltre a due 1000 e altri tre tornei, ndr) il mio obiettivo principale è sempre stato il singolare. Ne ho parlato con la mia squadra e abbiamo deciso di smettere di giocare il doppio nella speranza che la mia concentrazione sul singolo migliorasse. Questo mi ha aiutato molto”.
Con un collegamento un po’ forzato, ci spostiamo dal doppio ai doppi falli, che hanno a lungo rappresentato un vero e proprio incubo per Sabalenka. Prima della svolta di fine 2022, Aryna, pur essendo riconosciuta da tutti come un’ottima giocatrice, doveva fare i conti con la poco onorevole nomea di regina dei doppi falli. Con grande abnegazione e capacità di lavorare su se stessa, la numero uno del mondo è però riuscita a mettersi alle spalle questo tormento: “Era una questione innanzitutto psicologica, mi sono successe molte cose negli ultimi anni, molte emozioni nella mia testa, e poi sono arrivati i problemi tecnici. Ho lavorato molto duramente per risolverli, individuando il problema. Ora ho cambiato la meccanica del servizio, sia il mio movimento, sia il lancio, sia l’atteggiamento. Ero in estrema difficoltà, era assurdo iniziare a commettere così tanti doppi falli. Ci pensavo così tanto che non riuscivo nemmeno a controllare il mio corpo o il mio braccio… era come se fossero staccati dal resto. Abbiamo lavorato molto sulla biomeccanica e questo ci ha aiutato”.
Infine, Aryna ha provato a descrivere brevemente la sua personalità fuori dal campo, non così simile a quella a cui siamo abituati: “[Nella vita di tutti i giorni] non sono esattamente come in campo… forse solo quando guido, amo le auto sportive e mi piace guidare veloce. Ma nella vita in generale non sono così impulsiva, mi piace divertirmi, sono abbastanza rilassata, non troppo frenetica. È un buon equilibrio, quindi quando mi ritirerò dovrò continuare a praticare sport per scaricare le energie”.
ATP
Nadal: “Sarebbe fantastico giocare la mia ultima Olimpiade in doppio con Alcaraz”
“Io presidente del Real? Mi piacerebbe, ma Perez è un grande. Djokovic il più forte nei numeri, ma il tennis non è solo questo”. Altra intervista del maiorchino

Il giorno seguente la sua apparizione video su Movistar+, Rafa Nadal rilascia la prima intervista alla stampa scritta a quattro mesi dall’annuncio del suo temporaneo ritiro. Il resoconto appare mercoledì 20 sul quotidiano sportivo madrileno AS, nel giorno dell’inizio dei corsi accademici all’Università Alfonso X il Saggio, con la quale collaborano sia l’asso di Manacor che il periodico in questione. Nadal si presenta in maglietta bianca, jeans e giacca blu e con la consueta affabilità risponde alle domande in merito alle sue condizioni e al suo futuro tennistico.
Rafa torna ovviamente sulla questione delle sue condizioni e, riprendendo quanto già esposto nell’intervista precedente, parla del buon evolversi delle proprie condizioni fisiche ma anche delle incertezze legate al livello che riuscirà a raggiungere una volta che riprenderà con continuità in mano la racchetta. “La stagione potrebbe essere per me l’ultima, ma non è detto: dipenderà da quanto io potrò essere competitivo. Sinceramente non mi attira fare come Murray, ossia giocare e non vincere. Vedremo” – continua il campione iberico – “potrei anche non tornare del tutto se non mi riprendo davvero, ma spero proprio di no”.
Il discorso passa poi a due argomenti tennistici che stanno molto a cuore di Rafa: la Coppa Davis e le Olimpiadi. E qui il 22 volte campione Slam, ispirato dalle domande del giornalista, confessa un sogno “olimpico”. “Il mio paese è stato appena eliminato dalla Coppa Davis, altrimenti avrei potuto provare a farmi trovare pronto per novembre. Ma ovviamente così non sarà.
“Per quanto riguarda le Olimpiadi sì, terrei molto a giocarle, tutti sanno quanto io ami il clima olimpico e le sensazioni meravigliose che ho provato vivendolo. Per quanto riguarda un doppio con Carlos, premetto che né io né lui ne abbiamo parlato, ma sarebbe bellissimo poter giocare la mia ultima Olimpiade insieme alla stella nascente di questo sport”.
Il discorso scivola subito sulla finale di Wimbledon e il maiorchino parla con grande ammirazione del suo connazionale. “Ritengo” – è il suo pensiero – “che Carlos stesso non sia affatto stupito dei risultati che ha ottenuto fin qui. In questo momento è l’unico vero avversario di Djokovic, è un gradino sopra gli altri. Quando lui è in campo per il 90% delle volte tutto dipende dal suo talento. La grande notizia per questo sport è proprio il livello che Alcaraz riesce a raggiungere e il tempo che ha davanti a sé per tagliare nuovi traguardi”.
Lo spagnolo non si sottrae all’inevitabile domanda su un confronto con Djokovic su chi sia il più forte; lui riconosce il valore dell’asso serbo, pur andando oltre i freddi numeri dei titoli vinti. “Non c’è dubbio che se ci mettiamo a contare, lui ha vinto più di me e più di ogni altro. Non ho un ego così forte da negare l’evidenza. Mi complimento con lui, che da questo punto di vista è il migliore della storia.
“Tutto il resto possono essere considerazioni, come il numero maggiore di infortuni che ho avuto, e poi anche gusti personali, ispirazione, sensazioni ed emozioni che ognuno di noi trasmette e che raggiungono il cuore degli appassionati. Sicuramente” – chiude l’argomento – io sono pienamente soddisfatto di quello che ho saputo fare”.
Alla domanda sul suo non impossibile ingresso nel Real Madrid, Nadal non si nasconde ma nello stesso tempo glissa. “Concettualmente non mi dispiacerebbe essere il presidente del Real Madrid o avere un ruolo nel club ma questo non vuol dire che succederà. Soprattutto perché non sono certo il più preparato per il ruolo, che oltretutto oggi è ricoperto da uno dei migliori di sempre, Florentino Perez. Quindi la risposta è sì ma nello stesso tempo magari non accadrà nulla”.
Nel finale della chiacchierata con Nacho Albarran protagonisti sono i sentimenti. “La cosa più bella e più difficile da spiegare è quello che provo quando rientro a casa e vedo l’allegria sul volto di mio figlio. Inoltre” – racconta Rafa – “ovunque sia stato in questi mesi, ho trovato grande affetto. In Grecia, per esempio, non sapevo di essere così popolare. Anche alla mia Accademia ricevo tutti i giorni visite, tantissimi bambini e testimonianze di vicinanza. Per questo sono grato a tutti”.
ATP
Matteo Arnaldi: “Dopo la sconfitta con Alcaraz ho capito che non sono distante dai top player”
Le parole dell’azzurro su ciò che resta della stagione: “L’esordio in Davis è stato positivo. Ma con la squadra al completo non c’è posto per me”. Per l’immediato furuto: “Punto ad essere testa di serie in Australia”

Sulla carta, stando ai calcoli del computer, è il n.4 d’Italia. Nella pratica, può essere definito pienamente in questo momento il n.2, per le emozioni suscitate e i progressi costanti mostrati. Matteo Arnaldi infatti sta compiendo una crescita vertiginosa, ma non precipitosa, bensì graduale, a piccoli passi. La prima vittoria ATP, prima vittoria su un top 10 (Ruud), primi ottavi in un Major, fino alla soddisfazione dell’esordio in Coppa Davis. Tutto questo in nove mesi scarsi, in cui ha saputo salire alla ribalta delle cronache, iscrivendosi a pieno merito anche nel tennis del presente, oltre che come speranza del futuro. Ma, nonostante le prestazioni, i grandi avversari affrontati, rimane sempre un ragazzo di 21 anni, in cui l’emozione sgorga facilmente, specie guardandosi indietro e rendendosi conto di dove sia arrivato. E, la Nazionale, come rivela in un’intervista a Tuttosport, per Matteo è l’ideale culmine di questo percorso.
L’emozione Davis non ha eguali
“Non so esprimere fino in fondo le emozioni provate nel giocare per il mio Paese“, spiega il n.48 ATP, “devo dire che mi piace giocare con la pressione del pubblico: bello sentire il tifo tutto per me, un’iniezione di energia. All’inizio non ero neppure convocato, poi essere io a condurre la nazionale alle fasi finali è una cosa pazzesca. Però è stato un lavoro di squadra, non solo merito mio“.
Umiltà e spirito di sacrificio, due elementi che sono parte fondante dell’essere di Arnaldi, il cui gioco è anche spesso contraddistinto dall’entusiasmo e la passione che sa mettere in campo, come dimostrato nelle vittorie contro Borg e Garin. Ma specie in quella sul cileno: “Le mie due vittorie sono state entrambe importanti, però se devo scegliere diciamo che la prima non si scorda mai…Una settimana veramente fantastica, ho giocato più di quanto mi sarei aspettato. Ma da un certo punto di vista penso di averlo meritato: venivo da New York dove ho disputato il miglior torneo della mia vita, avevo un buon feeling e abbastanza fiducia in me stesso“.
Anche dalla sconfitta si impara
Lo US Open ha lanciato Arnaldi in prima pagina, e soprattutto sull’Arthur Ashe, dove si è arreso, a testa alta, a Carlos Alcaraz. Una partita, seppur persa, che il sanremese considera un punto di svolta della sua giovane carriera: “L’avventura agli US Open mi ha permesso di vivere il debutto in azzurro con meno apprensione. Giocare nello stadio più grande del mondo, pieno di gente e contro il n.1, è stata l’esperienza migliore da portarsi dietro. E ne sono uscito con la consapevolezza di non essere distante dai top player. Certo, ci sono ancora tanti aspetti da migliorare, ma il match con Alcaraz è stato un punto di riferimento per capire ciò che questi campioni fanno meglio“.
Il primo obiettivo stagionale, grazie a questo e i tanti buoni risultati accumulati (vedasi la prima semifinale ATP), è stato raggiunto, con l’ingresso in top 50. Ma Matteo non si pone limiti, guarda sempre più in alto: “Sono uno che ha sempre aspettative alte su sé stesso, con continue sfide. La prima è appunto mantenere la top 50, difendo un centinaio di punti da qui a fine anno e non è un traguardo scontato. E uno degli obiettivi stimolanti può essere cercare di chiudere il 2023 in modo da essere testa di serie all’Australian Open“.
Senza dimenticare che c’è anche un’Olanda che ci aspetta in Andalusia, ad aprire il percorso delle Final 8 di Davis, dal 21 al 26 novembre. Un ennesimo scalino che sarebbe la realizzazione di un ulteriore sogno per Arnaldi, consapevole certamente della folta schiera da cui ha da scegliere capitan Volandri. “Nella squadra al completo non credo ci sia posto per me“, ammette con tranquillità e lungimiranza Matteo, “per il momento mi godo l’esordio. Malaga è tra due mesi e ci sono altri giocatori davanti a me in classifica“.
In fin dei conti ci spera, di poter essere nei rappresentanti di quella che potrebbe essere una storica Final 8 per i colori azzurri. E ha ampiamente dimostrato che, quando spera e crede in qualcosa, ben presto fa in modo di realizzarla.