Yannick Noah: "Kyrgios il mio erede. Rafa di gran lunga il numero 1, ha vinto tanto e resta umile" - Pagina 3 di 3

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Yannick Noah: “Kyrgios il mio erede. Rafa di gran lunga il numero 1, ha vinto tanto e resta umile”

Il passaggio dalla carriera di tennista a quella di cantante: “In campo mi sentivo dentro una gabbia, a lungo andare mi ha sopraffatto. La musica ha rappresentato per me una forma di terapia” Sui Big Three: “Federer un artista, Nadal il migliore perché è rimasto lo stesso ragazzo umile di sempre. Djokovic non mi attrae, gli altri due hanno più carisma”

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Yannick Noah - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
 

Perché i tennisti francesi non riescono a prendere il suo testimone nello Slam di casa, la risposta di Noah

Oggi a Parigi e nel resto della Francia il tennis è diventato uno sport a cui dedicarsi esclusivamente nel tempo libero. Abbiamo accademie, abbiamo un sistema di formazione, avremmo tutto quello di cui necessiteremmo per costruire un vincitore del Roland Garros. Ma credo che il problema affondi le proprie radici molto più in profondità. Avevamo uno spirito in passato, come francesi e di conseguenza come sportivi in tutte le varie discipline, di perdenti felici che vivevano in una sorte di ambiente amatoriale, fino a quando è arrivata la mia generazione. Quella di [Michel, ndr] Platini, del ciclista Bernard Hinault… Nella nostra educazione da sempre ha ricoperto un ruolo primario, più della ricerca del successo, l’importanza del competere e del partecipare, come sosteneva il fondatore dei Giochi Olimpici moderni Pierre De Coubertin. Quello spirito amatoriale quantomeno sopravvive, ma non siamo più vincenti. Abbiamo dei campioni? No, ma non è questo il punto. Prendiamo l’esempio del calcio: quando ho visto l’ultimo Mondiale e ho fatto attenzione a quello che succedeva fuori per strada, ho scoperto che a vivere le partite con la maggiore energia fosse il popolo argentino e che perciò la squadra argentina avrebbe dovuto vincere proprio per la sua gente. In Argentina senti che la tua famiglia è dietro di te, hai sempre persone che ti spingono in ogni momento. Quando vinciamo in Francia, sì… ci sono migliaia di ragazzi sugli Champs Elysées, ma è una situazione diversa, una sensazione diversa. Guarda anche il Marocco al Mondiale, per esempio, i tifosi sono sempre stati al fianco dei calciatori. Quando abbiamo vinto la Coppa del Mondo in Russia è stato qualcosa di grande, ma ribadisco differente da come l’avrebbero vissuto in altre nazioni. Andavo a Barcellona quando giocava la squadra di Pep Guardiola, giravi vicino allo stadio e vedevi che tutti per strada sapevano che quel giorno giocava il Barça. La gente vede il Paris Saint-Germain al Parc des Princes, ma in un altro modo: non si avverte lo stesso sentimento e trasporto“.

I Big Three Federer, Nadal e Djokovic

Odio essere l’ex giocatore che parla e spara a zero e sulle nuove generazioni. Non voglio esprimere giudizi definitivi. Per quindici anni abbiamo avuto tre dei dieci migliori giocatori di tutti i tempi. Ma da spettatore ero meno interessato perché la partita era sempre la stessa, le finali erano sempre le stesse, i protagonisti sempre uguali. L’emozione anche, sempre la stessa. E quando vado a vedere uno spettacolo, l’unica cosa che realmente mi interessa è l’emozione, l’atmosfera. In quelle circostanze, invece, non ho provato quel tipo di emozione durante la maggioranza di quelle le partite. Detto questo, sono tre personalità totalmente diverse. Federer era un artista. È molto difficile sopravvivere in uno sport diventato sempre più potente e veloce essendo un artista, che è stata la grande virtù di Roger. Questo è qualcosa che di lui ammiro profondamente. Ha fatto cose con la racchetta che non ho mai visto fare a nessun altro su un campo da tennis. Rod Laver ha fatto cose strabilianti, McEnroe altre immaginifiche…Federer però non solo ha fatto tutto quello che hanno fatto i più grandi ma anche di più. Per un allenatore di tennis sarà sempre il migliore. Rafa [Nadal, ndr] dei tre, è quello che mi piace di più perché rispetta i raccattapalle, gli addetti ai trasporti, tutte le persone dietro le quinte anche quando non ci sono le telecamere. Se pensi ad aspetti al di là di ciò che le persone effettivamente misurano, Rafa è di gran lunga il numero uno. Ha vinto 22 Slam e quando lo vedi è lo stesso ragazzo umile di sempre. Per questo, tra i tre, è il mio preferito. Djokovic? Non mi dispiace, non so perché però gli altri due danno la sensazione di avere più carisma. Non sono attratto da lui. Quando vince un match point non mi connetto con lui emotivamente. Vivo nel quartiere di Montmartre, sto camminando e qualcuno mi dice: “Ehi, Yannick, vuoi prendere un caffè con me?’. Vedo quindi che le persone vogliano connettersi sentimentalmente con me. Con Nole non so se accadrebbe“.

Sarà Alcaraz il futuro del tennis?

Non l’ho visto molto, vorrei vederlo di più prima di potermi esprimere ma penso che sia un mini Nadal. Io comunque sto ancora aspettando che nel tennis appaiano sei o sette giocatori che offrano qualcosa di nuovo. Sto cercando il Michael Jordan del tennis, con strumenti tecnici e fisici non comuni ma soprattutto con eccezionale carisma“.

Kyrgios è il Noah dei nostri giorni

Penso che il giocatore che mi assomigli di più sia Nick Kyrgios. Mi piace tanto come giocatore e anche per la sua peculiare personalità. Vorrei solo che avesse maggiore voglia di concentrarsi sul tennis e giocasse di più, perché quando succede si percepisce immediatamente che abbia qualcosa di diverso da tutti gli altri. Quando gioca contro ragazzi più calmi e tranquilli, lo spettacolo che ne scaturisce è differente, la vibrazione è diversa. Quando è al suo apice, dà qualcosa che gli altri non sono in grado di fornire. Se vedo Federer-Nadal è come guardare Rocky 15. Sono tutti film di Rocky, belli ma ripetitivi… quando invece vedo Kyrgios so che sta per succedere qualcosa di nuovo, di imprevisto. Ciò non può che procurare un’eccitazione diversa su tutti i campi centrali del mondo quando entra in campo Nick. L’unico altro giocatore che può fare certe cose è Gael Monfils“.

Nel 1981 Noah vinse un torneo a Richmond in Virginia, nella città natale di Ashe e a distanza di dieci anni da quando lo aveva scoperto in Camerun. Yannick fu premiato proprio da Arthur

Il mio viaggio nel tennis ha avuto diverse fasi e Arthur Ashe è stato molto più che il ‘solo’ tennis nella mia vita. In Camerun, da ragazzo, gli chiesi un autografo e lui mi regalò più di un sogno. Era sempre lì, si prendeva sempre cura di me. Immagina di vederlo per la prima volta in mezzo all’Africa, e dieci anni dopo te lo ritrovi a premiarti dopo aver vinto un torneo nella sua città. E’ estremamente difficile e complicato descrivere quello che ho provato in quell’istante, trovare le parole giuste per esprimere quello che ho provato. È stato gentile con me fin da quando mi ha conosciuto la prima volta ed ero un autentico sconosciuto. Quel giorno della finale a Richmond ero solo nello spogliatoio, in attesa di entrare in campo, e questo uomo di colore come me è apparso e mi ha detto: ‘Dai, figliolo, puoi farcela. Questa deve essere la tua giornata’. La mia storia con Ashe, dalla sua apparizione in Africa, al mio titolo nella sua città, potrebbe valere la stesura di un libro“.

Un mondo che non riconosce, il suo impegno politico libero dalle dinamiche istituzionali

Il mondo dei nostri giorni mi preoccupa e non poco. Voglio che i miei figli stiano attenti. Cerco di aiutargli il più possibile nell’istruzione. Perché credo che le migliori armi che un uomo possieda siano un libro e una penna. Il miglior regalo che si possa fare a un ragazzo è un libro. Non voglio essere pessimista, ma la mia attuale preoccupazione si palesa soprattutto quando penso ai miei nipoti. Sto vivendo il presente al massimo, la vita si sta muovendo molto velocemente e guardo ai ragazzi domandandomi dove e come saranno tra 50 anni. Sono stato già impegnato nel recente passato in questo campo, ma ora posso fare ancora più cose grazie alla mia fondazione che mi permette di raggiungere più persone. Ai politici interessa solo arrivare in cima, rimanerci per conservare la poltrona, e di conseguenza non possiedono l’energia per fare nient’altro. I politici sono logorati dal potere, e quindi non sono in grado di occuparsi realmente delle problematiche sociali. Parlo per esperienza personale, di persone che ho conosciuto prima che entrassero in questi meccanismi di potere e di come si siano letteralmente trasformate dopo esservi entrate. L’unico obiettivo è arrivare in alto, non c’è alcun valore aggiunto. Io al contrario non voglio perdere la mia anima, il mio spirito. Lavorare per la mia fondazione ha più impatto che essere un politico istituzionale “.

La musica, la nuova vita di Noah dopo il tennis

Ero preoccupato di sapere cosa avrei fatto dopo il tennis, quando ancora giocavo. Avevo bisogno di sapere quello che sarebbe stato il mio domani. E anche questa volta come per la mia carriera da tennista, devo ringraziare enormemente Arthur Ashe. E’ stato lui a dirmi: ‘Inizia a fare qualcosa che ami e lavora sodo per ottenerla‘. Era tutto quello che avevo bisogno di sentire, perché il mio secondo sogno era diventare un cantante. Come tennista mi sentivo dentro una gabbia a causa degli arbitri, delle linee, dei punti, della classifica, delle conferenze stampa, delle bandiere francesi. Tutto ciò mi ha sopraffatto a lungo andare. Ho visto, invece, che i cantanti erano liberi e non avevano quella pressione. Mi sarei potuto esprimere liberamente attraverso parole e sentimenti, senza essere costretto da nessuno a dire una determinata cosa anziché un’altra. E poi mi accorsi che ero già ben instradato su quella via. Quando ero un giocatore di tennis, infatti, il mio linguaggio del corpo da guerriero possedeva già in sé quell’attitudine naturale al rock and roll. E così ho perseverato, seguendo un’altra mia grandissima passione. Da giocatore mi dicevano che non dovevo mai entrare in un campo portando con me le emozioni e la mia sensibilità: ‘non puoi piangere, non puoi essere debole, non puoi urlare’. La musica, dunque, ha rappresentato per me quasi una forma di terapia e stare in uno studio con una band è stato sensazionale. Chiaramente poi non ho incontrato nessun problema nel relazionarmi al pubblico, lo avevo già sperimentato in campo. Cantare è poter esprimere l’arte che avevo avuto sempre dentro di me, è stata una sensazione straordinaria. Mi piace così tanto cantare e recitare che se avessi un concerto domani sentirei ancora gli stessi brividi del mio primo in assoluto. È così che vivo“.

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