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US Open, Medvedev: “Djokovic mi ha battuto grazie al serve and volley”
Il rimpianto del numero tre del mondo è tutto in un passante: “Avrei dovuto vincere il secondo set. Il lungolinea era completamente aperto, ma ho sbagliato la scelta”

Il seguito del video è presente sulla sezione dedicata allo US Open 2023 del sito di Intesa Sanpaolo, partner di Ubitennis.
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La posizione in risposta di Daniil Medvedev è tra le più estreme a livello ATP, un vero e proprio marchio di fabbrica.
Parte lontanissimo dalla linea di fondo, e di base funziona. Ma nel corso della finale dello US Open quella comfort zone russa si è trasformata in un nervo scoperto, in un vero e proprio bancomat per Novak Djokovic, pronto a prelevare punti sicuri, in particolare con lo slice da destra.
Nella conferenza stampa post-partita il numero tre del mondo ammetterà di essere stato troppo testardo, rimanendo ancorato ai tabelloni pubblicitari per l’intero match, senza mai cambiare strategia.
Djokovic nel corso di tutto il torneo aveva giocato giusto una manciata di serve and volley (sei).
In finale sono stati ventidue, praticamente sempre vincenti: la classe del campione, l’improvviso nervo scoperto dello sfidante. E poi quel passante…
Domanda: “Il secondo set è stato decisivo. Hai qualche rimpianto?”
Medvedev: “Sì, certamente. Avrei dovuto vincerlo. Penso in particolare al passante sul set point, avevo tutto il lungolinea aperto, ma ho scelto di giocarlo in cross, e ho preso la decisione sbagliata. E in generale, al di là di quel punto, è stato il mio miglior set, forse se l’avessi vinto sarebbe potuta cambiare la partita. Ma il tennis è così, la prossima volta cercherò di essere più bravo”.
Domanda: “Nel secondo set lui sembrava in difficoltà dal punto di vista fisico, al termine degli scambi più lunghi quasi faticava a respirare. Hai pensato stesse davvero traballando?”
Medvedev: “Sicuramente in quel momento era stanco. Ha sbagliato qualche colpo non da lui al termine di scambi durissimi e di conseguenza ho pensato fosse attaccabile, debole. Ma allo stesso tempo ero consapevole che quello era Novak: non crolla mai, resta sempre lì.
Per certi versi nei quarti di finale con Rublev era successa una cosa simile, eravamo entrambi distrutti, quasi non ci reggevamo in piedi, eppure andavamo avanti a giocare dei punti incredibile, non mollavamo niente.
Però, a proposito di rimpianti, nel secondo set avevo la sensazione di avere il controllo del match, io stavo giocando bene, lui sembrava a corto di fiato: peccato. Probabilmente avrei dovuto fare qualcosa in più, ad esempio sono stato troppo testardo in risposta, avrei dovuto cambiare la mia posizione. Però avevo bisogno di certezze, quella è la mia classica posizione in risposta, e oggi stavo rispondendo un po’ peggio rispetto alla semifinale con Alcaraz.
Alla fine ho avuto la mia occasione, un passante, un solo colpo, un solo punto, ho giocato in cross e avrei dovuto giocare lungolinea…. Il tennis a volte sa essere crudele”.
Domanda: “Cos’è cambiato rispetto al match con Alcaraz? Come mai non sei riuscito a ripetere una prestazione del genere?”
Medvedev: “Sì, stasera ho giocato peggio. Ma quello con Alcaraz è stato semplicemente uno dei migliori match della mia carriera, così come quello con Djokovic in finale proprio qui nel 2021. Stessa categoria.
E non è facile replicare partite del genere. Nel secondo set il mio tennis è stato di quel livello, ma solo nel secondo set”.
Domanda: “Il serve and volley di Novak è stata la chiave della partita, non sei riuscito a trovare le giuste contromisure”
Medvedev: “Sono d’accordo. Per questo motivo avrei dovuto cambiare la mia posizione in risposta. Ma sono stato testardo, e ho deciso di rimanere sempre lontano dalla linea di fondo. Avrei dovuto fare qualche passo in avanti.
Però quella è la mia zona preferita, e oltretutto con Alcaraz avevo risposto benissimo partendo da lontano.
Ma oggi proprio non ha funzionato, ho sbagliato tantissime risposte, e anche quando la mettevo in campo spesso quella palla non atterrava dove volevo. Ho provato un pochino ad avvicinarmi nel corso del terzo set, ma la partita era già finita.
E’ stato frustrante. E poi ovviamente Novak ha davvero giocato molto bene al volo”.
Domanda: “Nel terzo set finalmente sei riuscito a breakkarlo (controbreak sul 3-1 Djokovic, ndr), però poi hai perso ancora il servizio, nel game successivo: era l’ultimo treno”
Medvedev: “Ci credevo ancora, volevo lottare fino alla fine. Ma non sono riuscito a giocare al livello del secondo set. A dire il vero cominciavo anche ad essere stanco e invece lui era ad un passo dal traguardo, pronto a fare l’ultimo sforzo. Nel terzo set ho preso troppe decisioni sbagliate, ho commesso troppi errori”.
Jacopo Gadarco
ATP
Asian Games, l’ossessione dei tennisti sudcoreani: Kwon distrugge la racchetta e si rifiuta di stringere la mano all’avversario
I retroscena della più importante competizione tennistica asiatica: racchette distrutte e strette di mano negate, quando l’oro vale più di una medaglia

L’Asia da prestazione. Che gli Asian Games siano per i tennisti orientali la competizione più sentita è fuori di dubbio: le migliori racchette cinesi hanno saltato i tornei della settimana per essere presenti a Hangzhou e, ancora più emblematico, vincendo l’oro i sudcoreani hanno diritto a saltare la leva militare (Son Heung-min, attaccante del Tottenham, ne sa qualcosa). Sumit Nagal – recentemente critico per le scarse finanze dei tennisti di bassa fascia – li preferisce ai tornei ATP 250 e 500: “È tutto magnifico qui, se non fosse per il cibo… (sorride, ndr)“. Tutti ne parlano, e non solo per il tennis giocato: ecco il fuoriprogramma che ha finito per diventare virale.
Dopo aver perso al secondo turno in un intenso testa a testa (3-6 7-5 3-6) con il tailandese Kasidit Samrej (n.636 del ranking), il giocatore della nazionale coreana Kwon Soon-woo (n.112) dapprima si è rifiutato di stringere la mano all’avversario e poi ha iniziato a sbattere violentemente a terra la sua racchetta, continuando a fracassarla fino a distruggerla mentre si dirigeva verso la sedia a bordo cambio. Nell’imbarazzo generale, il giocatore tailandese si è inchinato davanti agli spalti, ma – come ogni pubblico che si rispetti – l’attenzione in quel momento era tutta sul colpo di scena. Non ha tardato ad arrivare una fitta pioggia di critiche da parte dei media coreani: “Kwon dovrebbe essere penalizzato”, scrivono in molti.
La Korea Tennis Association prova a mettere una pezza, riferendo poco dopo le scuse del tennista: “Ha visitato il ritiro della Thailandia e ha chiesto scusa a Samrej aggiungendo parole di incoraggiamento per il prossimo match”. Ci riesce: niente ostracismo per Kwon, che gareggerà ora per la medaglia d’oro nel doppio maschile insieme a Hong Seong-chan. Se da una parte sembra che il tennista tailandese abbia accettato le sue scuse, la controversia in patria si spegne con più difficoltà: “Mi scuso sinceramente con tutti coloro che hanno sostenuto la competizione della loro squadra nazionale e con coloro che erano sugli spalti”, afferma Kwon. Parole che possono bastare per le scuse, meno per far riporre meno amaramente a una nazione intera la speranza di vittoria: due titoli ATP, un terzo turno al Roland Garros nel 2021 e posizione numero 52 del ranking mondiale nello stesso anno. Difficile da digerire.
Contro pronostico anche l’uscita al secondo turno del tandem indiano guidato da Rohan Bopanna – favorito per la medaglia d’oro –, battuto insieme a Yuki Bhambri dalla coppia uzbeka composta da Sergey Fomin e Khumoyun Sultanov. L’ex numero 3 di specialità si consola con una vittoria facile in doppio misto con Rutuja Bhosale. Almeno lui l’ha digerita meglio.
Tra le donne citiamo la bella prestazione della 18enne filippina Alex Eala, lo scorso anno vincitrice allo US Open junior. La numero 190 del mondo è alla quinta settimana consecutiva in campo nel tour ed è in semifinale agli Asian Games nel tabellone di singolare.
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Ljudmila Samsonova: “Una parte di me è sempre italiana” [ESCLUSIVA]
Da speranza azzurra ad allieva di Pizzorno e finalista Mille con (senza) bandiera russa: Ljudmila “Ljuda” Samsonova è già stata molte cose, e questo, forse, è solo l’inizio

Essere chiamati al doppio turno nella giornata conclusiva di un 1000 è certo un avvenimento quantomeno inusuale: e infatti a Montreal, uscita vincitrice da un match combattuto con la testa di serie numero tre, Elena Rybakina, Ljudmila Samsonova, russa, ventiquattro anni, è costretta ad arrendersi poche ore dopo a Jessica Pegula, racimolando un solo game alla sua prima finale 1000 (“fa male rendersi conto che agli organizzatori non importi nulla di noi tennisti”, ha dichiarato a margine dell’incontro).
Un torneo in cui, in fila, “Ljuda” aveva eliminato la testa di serie numero due (Sabalenka), la dodici (Bencic), e la tre (appunto Rybakina) prima di arrendersi alla quarta forza del seeding. Il lunedì 14 agosto, Ljudmila si “accontenta” della posizione numero dodici, suo best ranking. Una classifica costruita nel tempo, da quel 2013 in cui, per la prima volta, scese in campo da professionista.
Probabilmente, il momento della svolta è stata l’estate scorsa, quella del 2022: fra Washington e Tokyo, passando per Cleveland, Samsonova si porta a casa tre tornei, due 500 e un 250. Se diamo uno sguardo alle sue principali affermazioni, è facile notare una particolare predilezione per il nord America. “Entrambe le volte che sono arrivata negli Stati Uniti in quel periodo avevo la testa libera: ho come resettato da zero il periodo precedente. È forse per la mia leggerezza in quel periodo che sono venuti fuori i risultati migliori.”
Samsonova, che mentre scriviamo è numero ventidue del mondo, si trova ora a dover confermare i risultati raggiunti, iniziando dalla difesa del titolo di Tokyo. Ora, però, riavvolgiamo un po’ il nastro.
“A casa non puoi non praticare un minimo di sport” sorride Ljuda: Samsonova proviene da Olenegorsk, una cittadina della Russia europea settentrionale, dell’Oblast di Murmansk. Insomma, il polo nord non è poi così distante. Tuttavia, lo sport è arrivato fin lassù, peraltro con ottimi risultati: il padre è stato campione europeo di Ping-pong, il nonno uno sciatore. “Penso di essere stata comunque fortunata ad essere una bambina dotata per lo sport; la mia famiglia mi ha trasmesso tanto anche in quest’ambito.”
Ljudmila, però, ci risponde in italiano fluente. Fa un certo effetto apprendere come Samsonova abbia vissuto diciotto anni in Italia, e si sia sentita, in tutta la sua giovinezza, una tennista azzurra. Al compimento dei diciotto anni, avrebbe dovuto ricevere il passaporto italiano. Ciò, tuttavia, non è avvenuto, ed oggi gareggia per la Russia (o meglio, gareggiava, ora è tennisticamente “apolide” a causa della guerra in Ucraina). A quanto pare, l’ostacolo sarebbe stato la mancanza di un “reddito certo”, carenza che avrebbe impedito alla Federazione di assegnarle il passaporto. Ljudmila, insomma, avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro: una condizione spesso non richiesta da molte altre federazioni nel mondo. Da quel 2017 sono passati sei anni, e Ljudmila oggi si sente “metà e metà: ho una parte di me a cui l’Italia, quando sono via, mancherà sempre, e un’altra che è invece molto legata alle origini; essendo cresciuta in una famiglia che ha sempre tenuto molto a mantenere le tradizioni e la lingua mi sento di far parte anche di quel mondo.”
La carriera di Samsonova ha dunque preso davvero il via da quel momento; solamente due anni fa, tuttavia (era il luglio 2021) Ljuda era appena entrata in top 100, e ancora non si delineava l’exploit che l’avrebbe portata alle vette della classifica mondiale. “È stato il coraggio a permettermi di fare il decisivo salto in avanti. Il coraggio che ho avuto nel fare determinate scelte, a credere sempre in me stessa nonostante prendessi batoste in continuazione, anche da parte di chi mi fidavo: è stata la mia determinazione a farmi arrivare qui, più di tutto il resto.”
Un forte legame con l’Italia Ljudmila l’ha, comunque, indubbiamente preservato: il suo coach è Danilo Pizzorno, torinese che ha acquisito una grande importanza nel panorama italiano e internazionale per il suo utilizzo metodico e “scientifico” della videoanalisi. “Penso che Danilo, oltre ad essere il miglior coach WTA, sia anche e soprattutto una bellissima persona; dopo le esperienze che ho vissuto, cerco di guardare prima al lato umano e poi a quello professionale.”
Un circuito, quello WTA, che solo recentemente sembra incamminarsi verso una sorta di stabilità ai vertici, con il dominio di Iga Swiatek (interrotto ora da Aryna Sabalenka). Nel confronto con quello maschile, che ha vissuto di un triumvirato (ad eccezione, forse, di un effimero quadrumviro) per oltre vent’anni, non tutti vedono l’incertezza femminile come un qualcosa di positivo per la WTA. “Io invece credo che sia un bene – ci dice Ljudmila -. In questo modo c’è posto per più giocatrici: il livello si è alzato e chiunque può ambire a fare grandi cose.”
L’incertezza non è solamente tennistica: dal febbraio 2022, la guerra fredda, le cui fiamme pensavamo definitivamente spente da anni, si è riaccesa e porta con sé il pericolo di scatenare un grande incendio. Il primo focolare si è acceso in Ucraina, a causa dell’invasione russa. Come sempre, lo sport non può considerarsi del tutto scisso dalla realtà che lo circonda. È forse per quella chiamata di Hitler che il barone Von Cramm perse quella finale di Wimbledon. Riguardo a quale sia il suo ruolo in certi contesti, comunque, il dibattito è aperto e certo di non facile risoluzione.
La situazione è indubbiamente controversa: le atlete russe e bielorusse non possono più giocare sotto la loro bandiera, le loro nazionali non possono più partecipare alle competizioni internazionali. “Lo sport può mandare certi messaggi – dice Ljuda, che oltre ad essere russa è vissuta, lo ricordiamo, diciotto anni in Italia –, ma non credo possa avere un vero impatto, cambiare ciò che avviene nel mondo.”
Ljudmila ha solo ventiquattro anni; eppure ha già vissuto molto, fra l’Italia, il Polo nord e il tennis professionistico. Forse, però, il meglio deve ancora arrivare. “Il mio desiderio per il futuro è essere una persona felice e realizzata: nessun premio o classifica può essere tanto importante quanto lo stare veramente bene con sé stessi.”
Di Ljudmila “Ljuda” Samsonova, nativa di Olenegorsk, il cuore diviso fra Russia e Italia, sentiremo – non c’è dubbio – ancora parlare.
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Djokovic contro i bassi salari dei colleghi: “È un fallimento per il mondo del tennis”
Il giocatore più vincente di sempre scende dal trono per abbracciare per primo la causa comune dei tennisti oltre la top 100: l’attacco di Nole ai bassi salari

Il lavoro nobilita l’uomo. Il tennis professionistico è un lavoro. Il tennis professionistico nobilita l’uomo. Siamo sicuri? Novak Djokovic non sarebbe d’accordo. Da sempre attento ai diritti del mondo della racchetta, il campione serbo tuona sulla situazione dei salari per i colleghi al di fuori della top 100. E sì, perché né lui né Carlitos né tantomeno il nostro caro Jannik rischiano di restare con le tasche vuote: oneri e onori di aver scalato l’Olimpo del tennis e sedere sulla cima. Ma tutti gli altri?
“Sono stato al posto di tutti quei tennisti che ora hanno gravi difficoltà economiche. Capisco la loro fatica e le loro difficoltà, so i problemi che hanno nel dover pagare le trasferte, gli allenatori e i fisioterapisti”, dichiara Nole in un’intervista. “Alla fine, se non hai il sostegno di una federazione forte, avrai sempre grossi problemi. Io vengo dalla Serbia e non avevo aiuti. Ora ho una certa influenza e voglio utilizzarla per migliorare le condizioni degli altri“, asserisce convinto. Insieme al canadese Vasek Pospisil, il campione serbo è attualmente il principale esponente – oltre che fondatore – della PTPA (Professional Tennis Players Association), nata nel 2020 tra non poche critiche di divisionismo: tra le altre, quelle di un certo Roger Federer e di un altro che si chiama Rafael Nadal. Ma non roviniamo il panegirico a Djokovic, chiusa parentesi.
“Solitamente si parla di tennisti che partecipano allo US Open e che guadagnano tanto, degli altri nessuna traccia”. Ma ci sono, e sono tanti: molti di più di quelli (più) conosciuti, tifati e pagati. “Ci sono tantissimi tennisti che non riescono a guadagnarsi da vivere con il tennis: maschile, femminile o doppio. Solo quattrocento giocatori tra tutti riescono a vivere di tennis, il resto no. È una cifra bassissima per uno sport mondiale come il nostro, un vero fallimento per il mondo del tennis”, prosegue Nole. A mettere il dito nella piaga ci pensa Ons Jabeur che – coinvolta anch’ella nei progetti PTPA – sottolinea: “Prima nessuno mi prestava attenzione, ora che sono in top 10 tutti ascoltano quello che dicono. Questo non è affatto bello”. E neanche nobile, per rispondere alla domanda su.