Divino Clerici. Alla Cattolica di Brescia arriva la biblioteca dello Scriba

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Divino Clerici. Alla Cattolica di Brescia arriva la biblioteca dello Scriba

La moglie e i figli della storica firma de “Il Giorno” e “Repubblica” hanno donato all’Università di Brescia l’enorme archivio che il giornalista ha accumulato in un’intera vita. Libri, foto, appunti in cui è racchiusa la storia del tennis

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Cinquecento anni di tennis arrivano a Brescia, parafrasando il suo libro più iconico. In realtà sono molti, molti di più. Si è tenuta il 15 dicembre nell’aula magna dell’università Cattolica di Brescia il ricordo incontro su Gianni Clerici, con tanti amici e colleghi che hanno reso omaggio alla figura dello Scriba morto nel giugno dello scorso anno. Tra i tanti il nostro direttore Ubaldo Scanagatta, ma anche Elena Pero, Stefano Semeraro, Claudio Mezzadri, Carlo Annovazzi e Francesco Rognoni, che ha reso possibile tutto questo.

L’occasione che la Cattolica di Brescia ha colto al volo è stata quella di accogliere nel proprio Centro Documentazione e Ricerca Raccolte Storiche diretto dal professor Andrea Canova la biblioteca che Gianni Clerici ha collezionato in tutta una vita. Una casa del tennis, più di cento scatoloni contenenti libri rari, manifesti, diari, che la famiglia Clerici ha donato alla biblioteca – curata da Pierangelo Goffi – grazie alla mediazione del professor Rognoni.

“Gianni insegnava senza insegnare” dice Elena Pero, “ha accolto noi giovani insegnandoci con l’esempio, senza farci lezioni, senza superiorità”. “La generosità prosegue la prima voce del tennis di Sky Sport – è sicuramente uno dei suoi tratti distintivi. Non ci siamo mai sentiti a disagio, ma accolti”. Poi prende la parola Ubaldo Scanagatta che non riesce a scindere la figura di Gianni da quella di Rino Tommasi, storico sodale, compagno di mille telecronache. Due persone distanti ma vicine. Io non sono come Giotto con Cimabue, l’allievo che supera il maestro, a differenza sua io non sono stato all’altezza di nessuno dei due. Ma resto un privilegiato per aver vissuto mezzo secolo con loro”. Un’amicizia cementata dai tanti viaggi insieme quella che lega il direttore di Ubitennis a Clerici, tanti tornei, molte avventure, e tanta generosità.

“A 24 anni ho fatto il mio primo Wimbledon, senza un soldo. Lui mi ha ospitato in casa – l’appartamento al numero 86 di Church Road – e ogni giorno ci recavamo a Wimbledon, immancabilmente in ritardo perché Gianni si scordava tutto, da qui l’appellativo che gli diedi “falso allarme”, perché poi puntualmente trovava l’oggetto smarrito”. I ricordi si accavallano, episodi che tracciano i contorni di una figura che pare uscita dalla penna di Scott Fitzgerald, autore da lui molto amato.

A volte non sapevi dove finiva la realtà e dove cominciava la finzione. “Come i suoi incontri in ascensore a New York – prosegue Scanagatta. Ogni giorno incontrava un personaggio diverso da Venus Williams a John McEnroe. E non sapevi se crederci“. Gianni diceva sempre: “Io non dico bugie. Io dico falsità in cui credo” gli fa eco Stefano Semeraro. Carlo Annovazzi – capo redattore della Repubblica Milano – dice: “Lui ci ha fatto capire che bisogna inseguire la cronaca. Lo faceva già 50 anni fa, ed è una lezione valida anche oggi. I suoi articoli restano estremamente attuali anche a distanza di anni”.

Gianni è stata una figura molto amata e rispettata anche tra i giocatori. Nell’archivio sono disseminate dediche dei più grandi interpreti del tennis di ogni epoca. Da Federer a Djokovic, passando per i quattro moschettieri: Borotra, Brugnon, Cochet e Lacoste. Cosa rendeva così accattivante il suo stile lo spiega Claudio Mezzadri: “Quando capitava di fare un’intervista con lui non sembrava la classica domanda-risposta, ma più una piacevole conversazione. Nei suoi pezzo lui andava oltre, cercava nel profondo. Aveva una sensibilità rara, era un giornalista atipico. E questa sua atipicità si rispecchiava anche nelle sue telecronache in coppia con Rino Tommasi. Loro parlavano durante gli scambi, cosa impensabile oggi. Ma fatto da loro aveva un senso”.

A corollario Stefano Semeraro, giornalista de “La Stampa”, nonché direttore de “Il Tennis Italiano”, il quale, accodandosi ai colleghi, sottolinea “l’esempio di Clerici, un vero maestro. Ti insegnava portandoti in giro, vivendo”. I suoi articoli ne sono fulgidi esempi: un caleidoscopio di esperienze, di cose vissute, toccate con mano, poi restituite grazie alla sua lente d’ingrandimento sul mondo. Gianni mi diceva che un pezzo deve essere come un teatrino. Con la sua storia e i suoi protagonisti. Mi ha insegnato la musicalità della parola”. Certo negli ultimi tempi ha dovuto lottare per stare al passo con la tecnologia galoppante, lui figlio dell’epoca Olivetti 22. “A volte si lamentava che il pezzo spariva dal suo pc e noi andavamo in suo soccorso – chiosa Semeraro. “Ecco io oggi lo voglio ricordare così. Come uno dei suoi pezzi che misteriosamente spariva”.

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