Benedetta erba, finalmente ti ritrovo. Ti amo alla follia... o no?

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Benedetta erba, finalmente ti ritrovo. Ti amo alla follia… o no?

Le emozioni per le partite e le giocate più belle che solo l’erba di Wimbledon può regalare non possono che spingere l’amatore a cimentarsi anche lui col gioco sull’erba. Con risultati un po’ diversi da quelli di Sampras e Federer…

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Ah, benedetta erba, finalmente ti ritrovo! Non sai quanto mi sei mancata, come le donne più affascinanti sai quanto sei agognata e e ti fai desiderare come non mai: solo un mesetto l’anno, poi sempre cemento e terra, tutto bello ma tu, erba verde, cambi colore allo sport della racchetta e ne esalti i giocatori con talento. I Pete Sampras, i Pat Rafter, i Tommy Haas (caspita che ritorno Tommy! Vogliamo rivedere quella demi-volèe in tuffo?), i Roger Federer e tutti gli altri prima e dopo. Benedetta erba, quante emozioni mi hai regalato: volèe superbe, tocchi d’altri tempi, back, chop di dritto, palle che rimbalzavano bassissime, che meraviglia!

E che partite: negli anni Ottanta ero piccolo e ignorante, non conoscevo il tennis e nel 1980 ancora dovevo palesarmi al mondo, così mi sono perso la leggendaria finale Borg-McEnroe del 1980, con quel tie-break incredibile: una folle geometria nella successione dei punti, prima lo fa Bjorn, poi lo fa John, e così via tra set-point e match point come se piovesse, fino al 18-16 finale per lo scavezzacollo americano (“Il lungo poema di Wimbledon. Il tiebreak Borg-McEnroe”). E poi che succede? Che alla fine vince Borg, lo svedese d’acciaio (nel fisico, nei nervi, nelle emozioni, in tutto) che dimentica in un amen la fatica la delusione per un tie-break così dispendioso e riprende imperterrito il suo gioco.

Poi le prodezze di Stefan Edberg, Boris Becker, Pete Sampras, succedutisi nel dominio del gioco al volo e quella finale del Demonio del 2001 tra Goran Ivanisevic e Pat Rafter (“La più bella finale di sempre?”). Goran veniva da tre finali perse ed era partito con una wild card, ma un passo dopo l’altro aveva stupito il mondo e aveva raggiunto la quarta finale della carriera. “Ora o mai più”, sapeva bene il croato, ma dall’altra parte della rete c’era l’australiano, bellissimo esteticamente in tutti i sensi, sia per le tifose sia per gli appassionati, il suo serve & volley, le sue volee perfette, il modo con cui prendeva la rete. Anche lui meritava la vittoria a Wimbledon, il torneo dei tornei, che premia solo i più grandi. Ma poteva vincere uno solo, nel tennis il pareggio non esiste. Non poteva che finire al quinto, con Goran che piazza la zampata vincente, piange lacrime figlie di sacrificio ed incredulità e Patrick che, da gran signore e grande sportivo, lo abbraccia a rete e vive la sconfitta con serenità. Per poi sbalordirmi nelle interviste: “A un certo punto non riuscivo più a giocare fluido, riuscivo solo a mandare la palla di là dalla rete”. Solo di là dalla rete, Pat? Ma se ogni tuo colpo era poesia, ogni recupero di Ivanisevic un miracolo! Niente da fare, gli Dei non ragionano come noi mortali, per loro un gran colpo, se non sortisce l’effetto desiderato, è solo uno dei tanti che ha superato la rete. E allora sai che ti dico, Pat? Avresti potuto vincere molto di più, ma il tuo carisma, la tua eleganza, la tua ricerca della perfezione ti fanno entrare di diritto nell’Olimpo del tennis. In questo senso mi ricordi Gilles Villeneuve, che con te magari non c’entra troppo, ma anche in lui vedevi il campione che vinceva poco, le vittorie le lasciava agli altri, ma per l’estro e il talento con cui correva, per la ricerca della vittoria a ogni costo, ha fatto molto di più che vincere, ha reso popolare il suo sport, la Formula 1. Quella stessa Formula 1 che oggi è appiattita sull’ingegneria elettronica e sulle processioni a 200 km all’ora. Pochissimi acuti, pochi piloti che fanno vibrare le corde delle nostre emozioni. Ci vorrebbe un nuovo Villeneuve, come nel tennis di oggi ve lo immaginate un nuovo Rafter? Ogni discesa a rete o una magia o un passante che lo trafigge: comunque vada, solo pernici!

E poi è arrivato il Re, Roger Federer, che prima domina, poi incontra sulla sua strada la sua nemesi, quel Rafael Nadal sovrano del mattone tritato ma capace di migliorare a tal punto da competere su tutte le superfici. Ah, benedetta erba, quella finale del 2008 chi se la dimentica? La perfezione di Rafa nei primi due set, il ritorno orgoglioso di Roger, il quinto set: alla fine ha meritato Nadal, ma chi dimentica quel rovescio in risposta di Roger? Rafa serve e il Re risponde con una traiettoria che sfida le leggi della fisica, parabola a uscire che rasenta la rete, tocca il campo e lo abbandona. Il pubblico che per un istante rimane interdetto, prima di esplodere (ma sempre con self-control britannico, siamo a Wimbledon, ci mancherebbe!) e Rino Tommasi che fotografa con la sua ironia la divinità del colpo: “No aspettate, riavvolgete il nastro e riguardiamo, non può essere successo davvero, la regia inglese ci sta prendendo in giro!”. Neppure il piccolo grande Robertino Lombardi non trova le parole: i suoi momenti d’inerzia, il suo occhio dominante, la sua rotazione del servizio non bastano per spiegare quello che è successo. Qua la fisica non è sufficiente, nemmeno la metafisica, non resta che la religione: le divinità in che altro modo vuoi spiegarle?

Basta, vorrei ricordare altri momenti leggendari (“Wimbledon story: 10 memorabili finali maschili”), ma non sto più nella pelle, anch’io, da amatore scarsissimo, voglio cimentarmi sull’erba, voglio vedere che si prova, voglio anticipare i colpi, buttarmi a rete come non ci fosse un domani. Piuttosto, perché diavolo ho aspettato così tanto?
Ah, benedetta erba, finalmente ci incontriamo davvero, mi sento fisicamente in forma e tecnicamente in fiducia per le lezioni sul GreenSet e sulla terra che hanno notevolmente migliorato il servizio e il rovescio, sono pronto. L’avversario lo conosco da tempo, è il solito amico che ti sta sempre una spanna sopra, ma che importa, è il mio debutto sull’erba!

Ecco la prima palla, mi sistemo coi piedi, eseguo perfettamente l’apertura e sono pronto per piazzare un dritto al fulmicotone, quando mi accorgo che la palla mi ha già superato. Ma come è possibile, che diavolo di rimbalzo è? Rimbalzo, poi, parliamone: la palla qui non rimbalza, schizza via e t’impedisce letteralmente di giocare. Sveglia, l’hai visto mille volte in tv che l’erba è così! Ok, è stato solo un punto. Calma e coraggio: torna la palla, stavolta sul rovescio, le vado incontro con le braccia e la racchetta già indietro  per eseguire solo l’ultima parte del movimento, il colpo è in canna e… la palla mi ha di nuovo superato. Ok, è colpa mia, evidentemente sul rovescio devo ancora lavorare molto, sono sempre in ritardo anche sulla terra, non posso certo appellarmi alla nuova superficie. Ecco, un nuovo colpo sul dritto, ora non c’è santo che tenga, gioco un anticipo alla Agassi (che modestia…): mi fiondo in posizione, carico sulla gamba destra, appena la palla rimbalza arriva l’impatto… ma quella, infingarda, non rimbalza, schizza via bassissima, e il mio colpo va letteralmente a vuoto, una cannonata sparata a salve. Mannaggia a me, me l’ero già detto che su questo terreno del diavolo non è corretto parlare di rimbalzo… la sfera gialla si è messa d’accordo con i ciuffi verdi: due colori tra i più allegri si mettono insieme, hai ammirato la sinfonia cromatica, mista al candore delle divise dei tuoi campioni, ma quando è toccato a te…  la partita diventa una Caienna, mi sembra di non aver mai giocato a tennis, non riesco neanche più a muovermi, fino a quando esasperato, non ce la faccio più e scaravento la racchetta a terra. Silenzio, sgomento, la raccolgo. Sembra tutto a posto, riprendo a giocare e lei, la tua amica di mille battaglie, comincia a vibrare. Sempre di più. La riguardo, si è letteralmente aperta… ecco, alla fine mi sono avvicinato a uno degli Dei di Wimbledon, vero Goran? Lo spettacolo alla fine l’ho regalato, era solo una Babolat da 200 eurozzi… eccolo qua, l’Ivanisevic senza talento, il Safin dei miserabili, dei derelitti… ah, maledetta erba!

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