Le supersfide di Ubitennis, "Meraviglie ad una mano": Kohlschreiber vs Almagro

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Le supersfide di Ubitennis, “Meraviglie ad una mano”: Kohlschreiber vs Almagro

La sfida di oggi mette di fronte due veri e propri maestri di uno dei colpi più affascinanti del tennis: il rovescio a una mano. Due giocatori non di primissima fascia, che non possono vantare grandi trofei, ma che sono capaci di momenti di tennis di eccellenza assoluta: il tedesco Philipp Kohlschreiber e lo spagnolo Nicolas Almagro

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Il rovescio ad una mano è uno dei colpi più ammirati del tennis, sarà per la sua bellezza estetica, sarà perchè sono sempre di meno i giocatori che non utilizzano la presa bimane, ma il suo fascino rimane inalterato. Troppo facile citare i vari Wawrinka, Gasquet o Federer come maestri assoluti di questo fondamentale, noi abbiamo preferito scegliere due giocatori che sembrano ormai aver dato il meglio di sè, due tennisti senza un palmares da sogno a cui spesso è mancato il famoso “30 per far 31″ ma comunque con più di 350 vittorie a testa sul Tour: Philipp Kohlschreiber e Nicolas Almagro.

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Kohlschreiber-Almagro

Philipp Kohlschreiber (di Luca Baldissera)

Il tedesco Philipp Kohlschreiber, bavarese di Augusta, trentaduenne, è un perfetto esempio di quelli che oggi sono giocatori di “seconda fascia” (oscilla stabilmente tra la quindicesima e la trentesima posizione del ranking), ma che sono convinto avrebbero potuto arrivare ben più in alto fossero nati appena una quindicina di anni prima. Mezza generazione in termini demografici, un’era totalmente diversa in termini tennistici. Penso a Philipp come penso a Nicolas Mahut, Michael Llodra e Sergiy Stakhowsky, per intenderci, gente dal tennis non a caso piuttosto simile, attaccanti a tutto campo con buonissima predisposizione al gioco di volo, quando non autentici specialisti del serve&volley, dotati di tecnica ineccepibile e gesti impostati in modo molto classico, a partire dal rovescio a una mano. Unico limite, e non è un limite da poco, la potenza e l’esplosività fisiche oggi imprescindibili.

Riguardando solo le ultime due stagioni, tornano alla mente almeno un paio di prestazioni eccezionali di “Kohli”, non a caso entrambe sull’erba di Halle, ovvero il combattutissimo primo turno perduto quest’anno al tie break del terzo set contro Roger Federer, e l’epica battaglia vinta contro Dustin Brown nei quarti del 2014, con “Dreddy” in formissima (aveva appena demolito Nadal al secondo turno), match chiuso 18-16 sempre al tie-break decisivo. Ma Philipp, giocatore di grande completezza tecnica, riesce a essere molto competitivo anche sulla terra rossa e sul duro, come testimoniano i suoi sei titoli ATP in carriera: quattro sul rosso (2 Monaco, Kitzbuhel e Dusseldorf), proprio Halle su erba e Auckland su cemento.

Il tennis di Kohlschreiber è fatto di pressione e anticipi da fondo, ottimo equilibrio tra i due fondamentali, servizio solido e vario, bella attitudine al gioco a rete, e soprattutto, come suggerisce il titolo di questa puntata degli “Oscar di Ubitennis”, uno splendido rovescio a una mano, tra i migliori di questi ultimi anni. Tecnicamente, il magnifico One-Handed Backhand di Philipp è paragonabile a quello di Stan Wawrinka e Gustavo Kuerten, per la capacità di generare un elevatissimo top-spin e di gestire molto bene in palleggio le palle alte e liftate da quel lato, oltre che di tirare la botta risolutiva. Questo grazie all’impugnatura estremamente caricata, oltre la eastern e tendente alla semiwestern di rovescio, praticamente uguale a quella che utilizzava il grande “Guga”. Caricamento esemplare con ampia ovalizzazione, impatti avanzatissimi, follow-through controllato con blocco del polso (senza arrivare quasi mai alla distensione posteriore-laterale completa, un po’ come il nostro Filippo Volandri): dal lato sinistro di “Kohli” non sai mai cosa potrebbe arrivarti, dal lungolinea definitivo quasi piatto al cross stretto carico di rotazione, passando per variazioni in slice e ottime palle corte, il tedesco è in grado di produrre qualsiasi traiettoria.

Come i suoi colleghi sopra ricordati, di quella che mi piace definire la “generazione a metà” (impostati e cresciuti per mezza carriera in un’era tennistica, arrivati alla massima prestazione e al culmine della potenzialità in quella successiva, dove però il loro tennis ormai non era più competitivo ai massimi livelli, e se non sei Federer è dura adattarsi), mi sarebbe piaciuto veder giocare Kohlschreiber negli anni ’90 invece che nel decennio successivo, perchè un talento del genere, adattabile a tutte le superfici, avrebbe senz’altro potuto fare risultati prestigiosi. Chiaro che non parliamo di Slam su Slam in saccoccia, ma se uno come Tim Henman è arrivato a essere numero 4 del mondo, ed è riuscito a fare 4 semifinali a Wimbledon, una al Roland Garros e una allo US Open, non vedo perchè non avrebbe potuto riuscirci Philipp, che all’inglese non ha nulla da invidiare dal punto di vista tecnico. Ormai anche “Kohli” è verso la fine della carriera, continua a essere capace di alti picchi di rendimento (nel 2015 bella vittoria a Kitzbuhel battendo tra gli altri Fognini e Thiem, Federer portato al terzo set a Basilea e come detto a Halle, finale tiratissima a Monaco persa da Murray), ma sarà ovviamente difficile che continui ancora molto a lungo. Godiamoci il suo rovescio fichè dura.

Nicolas Almagro (di Tommaso Voto)

Spesso quando si parla di alcuni giocatori del circuito ATP si sente dire: “Se mettesse la testa a posto sarebbe tra i migliori”, beh questa frase descrive plasticamente il profilo e la carriera di Almagro.

Il 30enne di Murcia, in 8 anni di professionismo, ha conquistato ben 21 finali in carriera, vincendo 12 titoli di cui 2 ATP 500, entrambi ad Acapulco. Il dato che accomuna questi successi è la superficie, ovvero la terra battuta, che, infatti, resta l’habitat più adatto al gioco del tennista iberico.

Nico avrebbe nelle corde – e nel braccio – la possibilità di essere un giocatore capace di stazionare stabilmente nella top ten, che del resto ha raggiunto nel 2011 quando divenne n.9, ma le debolezze caratteriali e le difficoltà fisiche hanno certamente minato la sua carriera, che poteva essere (ma mai mettere limiti alla Provvidenza) di ben altro spessore.

Negli Slam i suoi risultati sono di tutto rispetto:  quarti di finale in Australia nel 2013, quarti al Roland Garros nel 2008, 2010 e 2012, ottavi agli US Open nel 2012. Male a Wimbledon, dove non si è mai espresso a grandi livelli, trovando solo un terzo turno in 4 delle ultime 5 edizioni a cui ha preso parte. Del resto l’erba è un terreno ostico per i giocatori che hanno difficoltà con il gioco di volo, vero e proprio tallone d’Achille del murciano. Nei Masters 1000 la prestazione migliore resta a Cincinnati nel 2007, quando perse nei quarti di finale da Federer, ma in quella occasione riuscì a strappare un set allo svizzero.
Negli ultimi due anni gli infortuni sono stati il vero problema dell’iberico, che ha dovuto saltare buona parte della stagione ed il suo ranking ne ha sofferto, oggi è appena  n.73 delle classifiche. L’intervento chirurgico subito per curare la fascite plantare è l’ultimo tassello di un periodo negativo, ma qualche parvenza di ripresa è già stata visibile in questa stagione.

Almagro è uno spagnolo atipico, perché possiede caratteristiche tecniche per fare la differenza anche sui campi veloci. Nel suo repertorio troviamo un servizio potente e vario, un diritto robusto e un rovescio ad una mano di rara bellezza, che rappresenta il marchio di fabbrica dello spagnolo. Un colpo stilisticamente perfetto e letale, con il quale Nico è capace di trovare il vincente anche quando è due metri fuori dal campo. L’ex top ten, che ha dei limiti fisici evidenti (dovrebbe e potrebbe essere più preparato atleticamente),  sopperisce con il talento cristallino a questo “handicap”. Il suo tennis è privo di qualunque tattica attendista, in quanto cerca di accorciare lo scambio alla prima occasione utile. A queste “doti” tecniche Nico associa un carattere decisamente “fumantino”, infatti durante l’arco degli anni è spesso caduto in atteggiamenti poco sportivi: come il famoso colpo a Berdych (per molti non involontario) agli Australian Open del 2012, che porterà i due ad una polemica evidente ed alla mancata stretta di mano a match concluso.  Queste debolezze caratteriali sono proprio il limite intrinseco di Almagro, che pecca di continuità e di freddezza, elementi che in un tennista devono essere connaturati per poter aspirare a restare al top, perché quella è la parte più difficile da raggiungere.

Lo spagnolo resta per tutti un enigma di difficile soluzione, perché è capace di giocare partite straordinarie e di battere top 10 e poi crollare miseramente contro avversari di secondo livello. Emblematico è il caso del torneo di Barcellona del 2014, in cui Almagro supera Klizan e Verdasco ed approda ai quarti di finale. L’avversario è di quelli proibitivi, ovvero Nadal che, pur nella sua versione acciaccata, resta un “cliente” scomodo sul mattone tritato. Dopo aver perso il primo set 6-2 sembra ripetersi lo stesso copione dei precedenti, ma stavolta Almagro mette in scena tutto il suo repertorio: servizio efficace, rovesci da “copertina” e un diritto solido e potente. Alla fine lo score premia l’ex top ten che, per la prima volta in carriera, riesce a battere il Re di Parigi. Tuttavia Nico non dà seguito a questa prestazione ed il giorno successivo, in semifinale, perde da Giraldo in modo netto. Contro il colombiano va in campo la versione 2.0 di Almagro, ovvero quella svagata e distratta.

Pur con tutte le sue contraddizioni Nico è un tennista importante per il circuito, perché non solo è uno dei pochi interpreti del rovescio ad una mano, ormai un colpo quasi estinto, ma soprattutto perché le sue partite sono divertenti da vedere, in quanto non sai mai cosa aspettarti e quali sorprese è in grado di riservare lo spagnolo agli spettatori presenti sul campo ed in TV.

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