E se la mitica Coppa Davis ritornasse al Challenge Round?

Editoriali del Direttore

E se la mitica Coppa Davis ritornasse al Challenge Round?

La finale di Coppa Davis rischia di rimanere confinata all’interesse dei paesi protagonisti. Il Challenge Round potrebbe essere la soluzione per far aumentare spettatori ed appassionati

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Nelle settimane scorse, a seguito di una Coppa Davis che mostra le sue rughe dopo 115 anni dalla sua creazione e che rischia di diventare la Coppa del Nonno se i più forti tennisti del mondo decidono di non giocarla più – ed in un mio recente articolo ho suggerito una serie di proposte innovative per rilanciarla e farla diventare importante nella sua fase finale come una Ryder Cup – ho pensato anche che una soluzione da non scartare potrebbe anche essere un… ritorno all’antico.

Come? Beh, con il ripristino del Challenge Round, che è poi la formula con la quale l’antica Coppa Davis – appunto – si disputò dal 1900, anno in cui Dwight Davis dopo aver acquistato nella famosa gioielleria di Shreve&Crump&Low di Boston la “Salad Bowl” d’argento, decise di metterla in palio fra gli Stati Uniti e le “Isole Britanniche”. Durò fino al 1971, anno della prima finale fra Stati Uniti e Romania,  l’era del Challenge Round, cioè l’era nella quale la nazione che aveva vinto la Davis aspettava a casa propria la nazione vincitrice e superstite fra tutti gli sfidanti.

La Coppa America di vela è rimasta così: lo Yacht Club che vince sceglie la sede, il tipo di barca, detta le regole, quasi sempre in maniera talmente e sfacciatamente “pro domo sua” che riuscire a strappare l’America’s Cup a chi la detiene è quasi una “mission impossible”. L’idea di ripristinare quel che fu nasce da un’obiezione che viene fatta a chi propone una sede neutrale per chi giochi la finale, o anche le semifinali e la finale (e non come avevo suggerito io recentemente, una fase finale a 8 cui approdino le sette vincitrici di sette gruppi eliminatori di 4 squadre di un world group di 28 nazioni, che diventano 29 con la squadra campione e ospitante). L’obiezione è questa: ci pensate se Belgio-Gran Bretagna anziché a Gand si fosse disputata a New York o a Tokyo? Chi sarebbe andato a vederla? Quale interesse avrebbe avuto, anche televisivamente? Questo significa però che oggi come oggi la finale della Coppa Davis interessa soltanto i due Paesi che la giocano. Anche se il teatro in cui entra in scena fa il tutto esaurito, sia essa lo Stadio di Siviglia nel 2004 per Spagna-Stati Uniti, il piccolo Palasport di Bratislava per Slovacchia-Croazia nel 2005, quello nuovo di Lille per Francia-Svizzera come quello di Gent per Belgio-Gran Bretagna. Ma solo perchè Roger Federer fu protagonista della finale di Lille fra Francia e Svizzera, che l’interesse per quella finale fu quasi planetario. Non c’è dubbio che l’atmosfera di tutte queste finali, per come è stata vissuta in quegli stadi, è stata fantastica, travolgente. Bellissima da vivere per chi c’era. Il problema è appunto lì: per chi c’era. E per chi non c’era?

Quale potrebbe essere allora il modo di far vivere comunque quella atmosfera? Far sì che la squadra campione ospiti la finale e ne sia protagonista, fino a rendere ancor più epica, quasi eroica e leggendaria, la conquista della Coppa da parte di una squadra “straniera” venuta all’arrembaggio. Purtroppo già una squadra di casa sconfitta in semifinale, finirebbe per nuocere all’atmosfera della finale disputata da due nazioni entrambe straniere. Si risolverebbe il problema di una programmazione meglio curata – e venduta – della fase finale, ma la finale potrebbe anche essere …moscia per gli spettatori, e di riflesso per i telespettatori che risentirebbero negativamente di un duello meno vivo, meno palpitante. Io resto dell’opinione che per creare un evento televisivamente all’altezza di un campionato mondiale, magari ogni due anni per assicurarsi la presenza di tutti i più forti giocatori del mondo – cedere ogni due anni quattro settimane al circuito ATP per organizzare suoi tornei potrebbe essere la moneta di scambio purchè i top-player fossero poi mandatory partecipanti della fase finale della Davis – sarebbe meglio radunare 8 squadre per due settimane nella sede della squadra campione (che godrebbe sia economicamente sia sportivamente di un bel vantaggio e avrebbe quindi buone chances di difendere vittoriosamente la propria Coppa), ma altrimenti un’altra opzione potrebbe essere proprio quella di rispolverare il vecchio Challenge Round.

Chi vince la Davis è qualificato d’ufficio per la finale, decide dove organizzarla e la prepara con ben diverso agio – avendo a disposizione un anno – di oggi che chi ospita la finale ha sì e no un paio di mesi per scegliere dove… e magari dove vorrebbe giocare quel palasport è occupato da altri eventi, sportivi come musicali fissati da molti più mesi. E sono sicuro che, tanto per fare un esempio, se fosse stato ancora in vita il Challenge Round la Svizzera di Federer e Wawrinka, che avevano vinto la Davis nel 2014, l’avrebbero sicuramente difesa anche nel 2015. E sarebbe stata tutta un’altra Coppa Davis, diciamoci la verità. Oggi invece la vince chi ha la fortuna di giocare più match in casa e magari affrontando Paesi che schierano le riserve delle riserve.

Insomma: se non si è favorevoli ad una sede neutra per 8 squadre, o per 4, si ripristini almeno il Challenge Round. E tutte le altre a lottare per conquistarsi la prestigiosa finale contro i Campioni che non restano tali per la miseria di due mesi scarsi, ma almeno per un anno!

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