Il nuovo Fognini riparte da Flavia (Piccardi), Federer e Djokovic, paperoni contro. Un duello da 100 milioni di dollari (Semeraro), Serena non perde il vizio si ritira anche a Perth (Mancuso), Frank Sedgman. Il tennista montanaro che fece grande l'Australia (Clerici)

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Il nuovo Fognini riparte da Flavia (Piccardi), Federer e Djokovic, paperoni contro. Un duello da 100 milioni di dollari (Semeraro), Serena non perde il vizio si ritira anche a Perth (Mancuso), Frank Sedgman. Il tennista montanaro che fece grande l’Australia (Clerici)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Il nuovo Fognini riparte da Flavia

 

Gaia Piccardi, il corriere della Sera del 5.01.2016

 

«Si è appena svegliato dalla siesta con una faccia… E’ sul divano alle prese con pane e nutella… Te lo passo». Giornata di scarico e influenza di stagione, a casa Fognetta’s. Con Flavia appena entrata nella meritata pensione, è Fabio a dover sbarcare il (ghiotto) lunario: domani s’imbarca da Barcellona per Auckland, dove decollerà la stagione del numero uno d’Italia. Dopo 15 anni, per la prima volta lei non andrà down under. Dopo due di relazione, per la prima volta Pennetta e Fognini si separano. Fabio, chi soffrirà di più la lontananza? «Io che vado a correre per 4-5 ore al giorno, con 40 gradi, dietro una pallina! Flavia manco guarda i miei match alla tv (lei, in sottofondo: «Non è vero! Starò su la notte!»). E se li guarda, mi insulta». Cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo Fogna? «Parto senza impormi obiettivi di classifica. So cosa valgo. Se faccio bene, mentalmente reggo, salgo e miglioro il mio best ranking (n.13 nel marzo 2014 ndr). Se stacco la spina, vado sulla nuvola». Tradotto: è meglio non sbroccare. «L’anno scorso mi sono portato dietro la brutta parte dei 2014, quella delle sfuriate. Ci ho messo un po’ a riconnettere e il meglio si è visto alla fine, tipo a Us Open con Nadal». Applicare il trattamento-Rafa (3 vittorie in 5 sfide nel 2015: a Rio, Barcellona e New York) anche ad altri top-players è possibile? «Magari… A Rafa ho rosicchiato qualcosa nel tempo, fino ad arrivare ad annullare i suoi punti forti. Certo per migliorare è necessario battere tutti. La partita all’US Open…..La vita è la sua, è contenta così: adesso lasciatela tranquilla rimasta impressa (Flavia: «Fabio aveva il fucile in mano! Pazzesco! La palla camminava così veloce che me la perdevo…»), nella mia mente e anche in quella degli avversari, spero. Sono segnali». Iniziare sapendo di dover difendere il titolo Slam in doppio all’Australian Open è terrorizzante o eccitante? «E’ bello. Ma nessuno ci farà sconti perché io e Simone Bolelli siamo campioni in carica. A gennaio si riparte tutti da zero. Il vero obiettivo dell’anno in doppio sono le Olimpiadi: una medaglia per l’Italia sarebbe un sogno. Ci tengo». La priorità resta il singolo. «Sì, infatti con Simone a Melbourne bisognerà parlare. E’ un anno diverso e intensissimo, le energie andranno gestite con intelligenza: ogni tanto, forse, ci prenderemo pause». Va molto di moda farsi allenare dal grande ex (gli ultimi sono Ljubicic con Federer e Moya con Raonic). Nessuna tentazione? «No. Ho fiducia nel lavoro e nell’esperienza di José Perlas. Può darmi ancora tanto». Solo per gioco: chi sceglierebbe come coach tra le figurine dell’album del tennis? «McEnroe! John è l’unico che si comportava peggio di me! Il top. Ci divertiremmo». Quanto è importante Corrado Barazzutti? «Molto. Mi ha dato fiducia in tempi non sospetti: nel mio attaccamento alla Coppa Davis c’è anche il senso di riconoscenza per Corrado». E se, dopo Rio, un ciclo si chiudesse e Barazzutti lasciasse? «Con noi azzurri c’è un rapporto troppo forte ormai. Io mi sono fatto un’idea: Barazza lascia le donne e continua con noi maschietti». Flavia è pronta per la panchina di Fed Cup? (Lei: «N000000»). «Flavia è pronta per vedermi alzare un trofeo importante». A proposito: cosa ha pensato sul match point di Pennetta-Vinci a New York? «Che culo! (Lei: «E vero, me l’ha detto»). Premesso che per gli uomini vincere uno Slam è molto più difficile (Lei: «Ma la pianti?!»), una cosa così la voglio vivere anch’io cavolo». Quanta gente le ha chiesto, da allora, di farle cambiare idea sul ritiro? «Troppa, mi sono stufato. Flavia è contenta così, la vita è sua. Lasciatela tranquilla»….

 

Federer e Djokovic, paperoni contro. Un duello da 100 milioni di dollari

 

Stefano Semeraro, la Stampa del 5.01.2016

 

Novak Djokovic è il segugio, Roger Federer la volpe. Il numero 1 di oggi e quello di sempre sono in gara da anni, si sono sfidati e sorpassati in campo e nel ranking mondiale – il Genio a 3 4 anni suonati inizia il 2016 da numero 3 del mondo –, con Djokovic che prima della fine della carriera punta a sorpassare il rivale anche nel numero di Slam vinti: al momento il conto dice 17 a 10 per Roger, ma Nole solo nel 2015 ne ha vinti 3 mentre Roger è a secco dal 2012. In questo inizio di 2016 si battono però anche per un primato meno nobile ma molto goloso. Tutti e due, infatti, a scanso di flop o infortuni catastrofici supereranno la barriera dei 100 milioni di dollari guadagnati in carriera in soli montepremi che finora nessun tennista è mai riuscito a raggiungere. Resta da capire chi ci riuscirà per primo. Federer è in testa con 96,5 milioni, il Joker, di sei anni più giovane, lo incalza a 93,7 e qualche spicciolo. Lo svizzero nel 2015 ha messo nel suo già fornitissimo caveau 8,6 milioni di dollari di montepremi, il serbo ben 21,5. Per evitare di piantarsi alla Bitossi a un pugno di dollari dal traguardo a Federer basterebbe, si fa per dire, mettere le mani sull’agognato 18esimo Slam agli Australian Open che partono fra due settimane e mettono in palio per il vincitore ben 3,75 milioni di dollari (americani). Di mezzo però ci sono quindici giorni di match sotto il torrido sole australiano e lo stesso Djokovic, che del torneo è il defending champion. Macchine da sol di In realtà, come qualcuno si è preso la briga di fare, calcolando l’inflazione e la conseguente rivalutazione dei premi, Federer, che ha iniziato a fare cassa nel ’97, il traguardo lo avrebbe già sorpassato, attestandosi a 108,6 milioni, contro i 98 di Djokovic (e gli 81,2 di Nadal, buon terzo anche senza ricalcolo a quota 75). Tralasciando gli algoritmi da mercato valutario resta impressionante il ritmo di guadagni dei due Paperoni della racchetta. A meno di escludere dalla classifica la boxe, con Floyd Mayweather capace di intascare fino a 120 milioni per una sola «borsa» (quella contro Manny Pacquiao), e il golf, con l’imprendibile Tiger Woods arrivato a 156,2 milioni in soli montepremi (se aggiungiamo i contratti pubblicitari si sfora di parecchio il miliardo…) i due sono le due più impressionanti macchine da soldi dello sport mondiale, a cui probabilmente guardano con grande invidia anche campionissimi del passato come l’immenso Rod Laver (1,5 milioni di dollari fra anni ’60 e ’70) John McEnroe (12,5) o Pete Sampras (43) o colleghe contemporanee – vedi Serena Williams che ristagna, beata lei, a quota 75. Roger n.1 per popolarità Se ai premi si sommano i contratti pubblicitari Federer, nonostante l’età e i risultati in declino resta di gran lunga in vantaggio: la stima di Forbes per il 2015 parla di 58 milioni ricavati da quella voce, una cifra che lo piazza al quinto posto fra gli sportivi con il maggior valore dietro i già citati Mayweather (300 milioni, dei quali 285 in premi) e Pacquiao (160, di cui 148 in premi), Cristiano Ronaldo (79,6) e Messi (73,8), mentre Djokovic è fermo a 31. Purtroppo per Nole resta una ulteriore classifica in cui raggiungere Roger è impossibile: quella della popolarità e dell’affetto dei fan. Ma lì davvero il Genio non ha rivali.

 

Serena non perde il vizio si ritira anche a Perth

 

Angelo Mancuso, il messaggero del 5.01.2016

 

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Ci risiamo: la stagione è appena iniziata e Serena Williams colleziona un altro ritiro che fa discutere. Ieri sarebbe dovuta scendere in campo nella Hopman Cup, la tradizionale esibizione mista per nazioni organizzata dall’ITF a Perth, in Australia. Un’ora prima del via ecco la doccia fredda: non ha giocato per un’infiammazione al ginocchio sinistro spuntata fuori improvvisamente in allenamento. La 34enne campionessa americana è la n.1 da 151 settimane consecutive (274 in totale), ma il suo cammino trionfale si è bruscamente interrotto nella semifinale degli US Open per mano di Roberta Vinci, una sconfitta che le è costata il Grande Slam. Da quel giorno, era l’ll settembre, non ha più giocato partite ufficiali e stenta a ripartire. VOCI E SUSSURRI Negli ultimi mesi è stata al centro di tante illazioni, dalla depressione alla presunta maternità. Ora il ritiro a Perth nel percorso che la porterà a difendere il titolo conquistato lo scorso anno agli Australian Open. Al suo posto è scesa in campo la ventenne Duval, n.656 Wta, reduce da una battaglia contro il linfoma di Hodgkin. C’è rimasta male persino la sua avversaria, l’ucraina Svitolina, che ha vinto 6-4 6-1: «Mi sarebbe piaciuto giocare contro la n.!, erano giorni che ci pensavo e mi preparavo», ha ammesso delusa. Per la cronaca l’Ucraina ha battuto 2-1 gli Usa. «Sono dispiaciuta, ma il problema al ginocchio mi ha costretto a rinunciare», ha spiegato Serena. Oggi dovrebbe sfidare l’Australia Gold, il team di Hewitt e Gajdosova, ma ovviamente deciderà solo pochi minuti prima del match tenendo tutti con il fiato sospeso. FORFAIT IN SERIE La Williams è famosa, o meglio famigerata, per la sua spiacevole propensione ai ritiri. Anche se è comprensibile la preoccupazione di una giocatrice per la propria salute, in particolare alla vigilia di uno Slam (gli Australian Open cominciano il 18 gennaio), è giustificabile un ritiro per un semplice motivo precauzionale che delude televisioni, spettatori e organizzatori? Ne sanno qualcosa gli appassionati del Foro Italico: a Roma ha dato forfait a torneo in corso per tre volte. Lo scorso anno a tradirla è stato il gomito, nel 2008 e nel 2012 la schiena. Se si esaminano gli ultimi 14 anni di carriera della statunitense, si contano 24 ritiri a torneo iniziato. Un numero decisamente elevato. Per non parlare dei tornei saltati e dei lunghi stop a causa di infortuni vari. Anche questa rinuncia è destinata a sollevare domande.

 

Frank Sedgman. Il tennista montanaro che fece grande l’Australia

 

Gianni Clerici, la repubblica del 5.01.2016

 

MA allora ci sei riuscito! Hai imparato il grip!», sul bordo di uno dei campi del grande Kooyong, il Club di Melbourne, così esclamava un bel signore dai capelli bianchi, poggiato alla transenna che divide il court dal corridoio di passaggio. Il suo compagno ripeteva il mio gesto come farebbe Teo Teocoli nell’imitazione di un tennista. Aveva, sicuramente, un aspetto ironico, il mimo del vecchio Pancho Segura, uno dei primi bimani ad affermarsi, addirittura nella troupe Kramer, quando la bimanualità ancora costituiva una stravaganza, non la regola di oggi. E bravo Gianni» ripeteva l’altro spettatore, accarezzando l’aria con la mano tesa, nell’imitazione del mio povero gesto. «Ce l’hai fatta. Se vuoi, al prossimo campionato mondiale over 80, tra un paio d’anni, giochiamo il doppio insieme». Rimasi un istante incredulo. «15-30»? mi interrogo il mio amico avversario, Stefano Semeraro, bravissimo giornalista. «Credo» risposi. «Ma hai sentito cosa mi ha detto Frank Sedgman? Che giocherebbe i Veterani insieme a me, ora che ho imparato il diritto». Le aziende pagavano lui e gli altri per eludere il dilettantismo: gli Aussies strapparono la Davis agli americani aprendo un ciclo d’oro «Non è mai troppo tardi» rise Stefano. «Ma me lo fa, Sedgman, un autografo?». Mi ritornava alla mente la prima volta che avevo visto Frank Sedgman. In Costa Azzurra, nel 1952. Eravamo in campo, ad allenarci, e Frank era apparso d’un tratto ad un balcone di una stanza del Carlton, il Grand Hotel famoso tra i tennisti per aver ospitato, sui suoi campi , il così chiamato Match del Secolo, tra la somma Suzanne Lenglen e la sua rivale Helen Wills, nel 1926. Eravamo lì per giocare il nostro torneo, e aspettavamo giusto l’arrivo di quel nuovo fenomeno australiano, del quale avevo soltanto letto, sentito parlare, ma mai visto. In pigiama com’era, aveva dato un’occhiata ai campi che non conosceva, e poi si era piegato in una flessione, un’altra, un’altra ancora, sinché non era scomparso, dopo una decina di minuti, per apparire dopo mezz’ora su uno dei campi, chiedendoci gentilmente se potesse utilizzarlo: per correre lungo le righe e, dopo venti minuti di ginnastica, informarsi dove fosse la spiaggia lungo la passeggiata a mare, la Croisette, e scomparire sempre di corsa. A quei tempi non facevamo ginnastica, se non per sgranchirci, il mattino, e il nostro allenamento era tutto concentrato sui palleggi. Ci lascio perplessi ma affascinati l’allenamento di quel tipo *** che vedemmo poi con la racchetta in mano, per farci capire come avesse già battuto gente come il connazionale Bromwich, l’americano Seixas e addirittura Drobny. Dopo qualche settimana mi sarebbe accaduto di ritrovarmi contro di lui in un secondo turno agli Internazionali d’Italia, destinato da Carlo Della Vida sul numero 6, uno degli ultimi due situati nell’ovale del Foro Italico, uno dei due campi minori dei sei contigui, per non parlare del Centrale. Per qualche misteriosa ragione, giocavo al meglio delle mie capacità, quel pomeriggio, e la mia abituale tattica di attaccante, negativa sui lenti campi rossi, pareva un duplicato di quella di Sedgman, che avevo preso a chiamare Frank. Avvenne cos] che, game dopo game, seguendo i servizi, mi ritrovassi avanti 6 a 5 e, con l’aiuto degli Dei, a set point, sul 30-40 avverso. Non sono mai riuscito a dimenticare quell’istante, come non si dimentica una figuraccia, una bocciatura a scuola, un infortunio sentimentale. Col mio diritto misi la risposta quasi sotto la rete e, da quel trauma, iniziò un’altra partita e mi ritrovai, alla fine, di fronte agli spalti ormai vuoti di spettatori, e con soli tre games raccattati nel secondo e nel terzo set. Dopo quell’avventurato primo turno Sedgman avrebbe dominato il torneo battendo in finale Drobny, e sarebbe presto divenuto uno dei miei personaggi preferiti quando presi ad osservare i rossi palcoscenici dalle tribune, invece di calpestarli. Quel 1952, quell’amicizia, erano succedute a successi da me letti sui giornali, poiché già nel 1949 quel fenomeno era entrato tra i primi dieci del mondo. Nato montanaro, giusto sul Mont Albert, nel Victoria, figlio di due tennisti della domenica, era stato adottato da Harry Hopman, giornalista del Sydney Herald ma soprattutto coach. Il primo a dedicare maggiore attenzione alla preparazione atletica che a quella gestuale. Frank si era anche valso di un sotterfugio, che gli aveva permesso di non divenire professionista in tempi in cui era severamente proibito ottenere aiuti economici, nemici del dilettantismo olimpico. Le maggiori aziende di prodotti sportivi australiani, infatti, offrivano stipendi di comodo ai migliori tennisti, privilegiati dunque nei confronti degli altri che non fossero aristocratici o alto borghesi, o addirittura stipendiati dalle Federazioni, come avvenne ai Moschettieri Francesi. Confortato dunque da un superiore allenamento atletico- Hopman fu i] primo ad uscire dalle palestre e a correre sulle spiagge – e dalla tranquillità economica, Sedgman fece in modo da rovesciare una superiorità sin l] detenuta dagli americani, che avevano vinto, nell’immediato dopoguerra, 4 consecutive finali di Davis, lasciando agli aussies soltanto 2 match con Sedgman e il suo coetaneo Mc Gregor, gli australiani strapparono la Coppa nel 1950, e la tennero non solo sino a quando Frank divenne, nel 1953, professionista, ma addirittura, sempre capitanati da Hopman, la vinsero 14 volte tra il 1950 e il 1967. Si put) scrivere che, partendo dall’affermazione di Sedgman, gli australiani realizzarono due decadi di superiorità mondiale, come nella storia del tennis non avvenne nemmeno agli Stati Uniti. Per tornare al mio avversario di un’ora che non dimentico, e spero venga tollerata dal lettore aficionado, nel triennio 1950-1-2, Frank vinse, su 36 titoli del Grand Slam, 19, in 4 finali di singolo, 8 di doppio, 7 di misto, mostrando quindi una qualità atletica superiore a quella di un fenomeno odierno quale Djokovic. Nel 1952 di cui parlavo, raggiunse 11 finali Slam a disposizione su 12, nelle tre specialità del giuoco, e vinse in singolo il torneo più ambito, Wimbledon. Nel ’51 gli era riuscito il solo Grand Slam realizzato in doppio, insieme a Mc Gregor e nel ’52 la tripletta di singolo-doppio e misto a Wimbledon. Per chi non sia del tutto stufo di questo trionfo statistico, verificato dallo specialista Luca Marianantoni, ricordo ancora che, passato professionista nella Troupe di Kramer, Frank fu il primo a superare i centomila dollari di premio e la sua straordinaria qualità atletica gli permise di rimanere tra i primi prof sino al 1978. Il lettore più curioso si domanderà, forse, come mai, dopo l’occasionale incontro degli Anni 2010, non abbia profittato della proposta di Sedgman, per tentar di vincere alfine un torneo dopo una carriera difficilmente imitabile nelle sconfitte. Risponderò, se non con lo storico adagio di Orazio, che mi pare esista un tempo adatto a diverse attività, nella vita. E che i miei doppi preferiti, oggi, sono quelli con gli amici, che terminano sempre con una felice cena e un buon rosso, senza che ci importi di chi ha vinto o perduto.

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