Djokovic, record al contrario Passa con 100 errori gratuiti! (Crivelli), Djokovic imbattibile anche se gioca male (Semeraro), Nole, il gentleman che non trova tifosi (Lombardo), I 100 errori di Djokovic: sbaglia, ma non perde mai (Azzolini), Djokovic col freno tirato, Federer passeggia (Giorni), Martina Navratilova, l'apolide del tennis che cambiò il gioco dentro e fuori il campo (Clerici)

Rassegna stampa

Djokovic, record al contrario Passa con 100 errori gratuiti! (Crivelli), Djokovic imbattibile anche se gioca male (Semeraro), Nole, il gentleman che non trova tifosi (Lombardo), I 100 errori di Djokovic: sbaglia, ma non perde mai (Azzolini), Djokovic col freno tirato, Federer passeggia (Giorni), Martina Navratilova, l’apolide del tennis che cambiò il gioco dentro e fuori il campo (Clerici)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Djokovic, record al contrario Passa con 100 errori gratuiti!

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 25.1.2016

 

La grande paura evapora quando a Melbourne è già scesa la notte e il campo di battaglia pub lasciare gli onori della vittoria a uno soltanto degli eroi, dopo un duello che segna carne e muscoli, una sfida infinita di corse allo spasimo e feroce determinazione. Sono trascorse quattro ore e 32 minuti, dal primo punto, quando Sua Maestà Djokovic pub finalmente alzare le braccia al cielo, per una volta umano tra gli umani, a lungo riportato sulla terra dalla ragnatela di quel satanasso di Simon, il francese linguacciuto che preferisce morire prima di concederti un punto. Per sfuggirgli, Novak finisce per sfiorare la pazzia, arrivando a 100 (avete letto bene) errori gratuiti e usando la palla corta senza criterio (16 volte, sbagliandone 12), tanto che a un certo… Certo, la striscia di 27 quarti di finale consecutivi nello Slam (da Parigi 2009, eguagliato Connors, davanti solo Federer con 36) ha rischiato davvero di frantumarsi contro il muro di papà Gilles, che dopo il numero 6 del mondo nel 2009 ha combattuto con fantasmi e infortuni, ritrovando serenità grazie a Timothée e Valentin, gli amatissimi figli. Simon, oggi numero 15, che aveva Chang come idolo perché fino a 16 anni era più basso di tutti i coetanei prima di allungarsi fino al metro e 83, in campo è sempre stato rognosissimo, quando il fisico lo sostiene, e fuori non le ha mai mandate a dire. NOIA E’ successo anche alla vigilia del match con Nole, quando ai giornalisti francesi ha rivelato che gli sarebbe piaciuto interrompere l’imbattibilità del serbo e così restituire brio ai tornei: «Non ho nulla contro di lui o contro i suoi atteggiamenti, lo dico solo per i risultati: quando c’è uno che continua a vincere, il tennis diventa una noia. Negli spogliatoi sono stato avvicinato da tanti giocatori che mi hanno chiesto di batterlo, così tornerebbe l’interesse». Dichiarazioni ovviamente subito rilanciate da ogni social network e che rinfocoleranno senza dubbio la fama di antipatico, ma non si pub negare che il nizzardo cresciuto poi nei dintorni di Parigi non possegga il coraggio delle sue idee. Come quando nel 2012 attaccò a tutto tondo le colleghe femmine: «Non mi sembra giusto che uomini e donne guadagnino le stesse cifre, soprattutto negli Slam. Noi giochiamo tre set su cinque, i nostri match sono molto più lunghi (che abbia voluto dimostrarlo anche ieri? ndr) e siamo più divertenti. E poi la vedete l’audience delle finali? E il costo dei biglietti non è diverso?». Gli replicò la Sharapova («Facciamo una scommessa: se sto giocando io e sta giocando lui, dove andrà la gente?»), ma la lingua di Gilles è sempre pronta a pungere e non ha risparmiato nemmeno uno degli idoli intoccabili di Francia, Yannick Noah: «E stato un grande uomo di tennis, ma quando ha vinto il Roland Garros io non ero ancora nato. Faccio parte della generazione che lo conosce soprattutto come cantante».

 

Djokovic imbattibile anche se gioca male

 

Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 25.01.2016

 

«Piantala con quelle smorzate, campione». «Mi spiace ammetterlo ma hai ragione, amico». Era uno di quei giorni lì, ieri a Melbourne, per Novak Djokovic. Uno di quelli in cui il bilancio stenta a quadrare e anche se sei il numero uno del mondo, Mister Imbattibile, devi fartene una ragione, tenere a bada l’orgoglio e accettare i consigli, persino quelli che ti piovono addosso da uno spettatore in tribuna. Del resto Mats Wilander, vecchio saggio che gli Australian Open li ha vinti tre volte su due superfici diverse, lo dice da sempre: «A Melbourne non vinci giocando sempre bene, ma portando a casa la partita anche quando giochi male». Ovvero quello che è uscito a fare in ottavi il Joker dopo 4 ore e 32 minuti e cinque set (6-3 6-7 6-3 4-6 6-3) di lotta torbida e faticosa con Gilles Simon, il 3lenne ex Top Ten francese (oggi è n. 15) specializzato nello sporcare il tennis altrui. “Gillou” ha fatto match pari nel primo set, si è preso il secondo e il quarto, nel quinto si è arreso ai suoi 31 anni farciti di infortuni e al talento di Djokovic per le evasioni. Dopo due turni facili facili, insomma, per il numero uno è arrivata la giornataccia – statisticamente memorabile, visti i 100 dicasi 100 errori gratuiti – e non è detto che sia stato un male. Piuttosto un utile campanello d’allarme, visto che nei quarti Djokovic è atteso da un Kei Nishikori in grande forma, capace di annullare in tre set lo-Wilfried Tsonga: il giapponese numero 7 del mondo è stato l’ultimo, due anni fa a New York, a sbarrare la strada a Djokovic in un torneo dello Slam prima Per la 271 volta di fila è nei quarti di uno Slam: ora deve vedersela con Nishikori della finale. «E stata partita da dimenticare», ha concesso Novak. «Non mi era mai capitato di arrivare nemmeno vicino a cento errori gratuiti, e Gilles mi ha impegnato molto fisicamente. Quando giochi contro uno come Simon vuoi accorciare gli scambi, così cerchi spesso un vincente, o una smorzata, e può capitare che ti si congeli il cervello, se posso dire cosa. Ed è quello che mi è capitato nel quarto set. Insomma, sono felice di avercela fatta». Con la vittoria contro Simon, Djokovic ha raggiunto Jimmy Connors a quota 27 quarti di finale consecutivi nei tornei dello Slam. Resta il favorito numero 1 ma attorno a lui sente crescere il tifo contro. «Djokovic in realtà è scarsissimo, la verità è che per via delle scommesse siamo costretti a perdere sempre con lui»….

 

Nole, il gentleman che non trova tifosi

 

Marco Lombardo, il giornale del 2.01.2016

 

La solitudine del numero uno è qualcosa che va oltre la comprensione di Novak Djokovic: è una sensazione inspiegabile, una colpa non dimostrabile. Non c’è campo che non lo applauda come si conviene al dominatore del tennis, eppure basta che vada un poco – pochissimo – in difficoltà e l’istinto si scatena. E questione di aurea, forse. E questione che il mondo non sempre sceglie di stare dalla parte del più forte, anche se il più forte cerca di conquistarselo con il sorriso. E una questione che fa di Novak il campione più tormentato della storia del tennis, perché – per dire – Fede-rer ha ancora oggi il suo eterno fan club e Nadal il suo popolo adorante. Djokovic no, e chissà perché. In questi giorni di Open sulle tv australiane va in onda a ripetizione uno spot in cui Novak sprizza simpatia. E in fondo, poi: non è lui il re delle imitazioni? Quelle fanno ridere, ed infatti la gente ride. Ma non basta. Eppure Djokovic è impeccabile, un signore sul campo e fuori, un perfetto esempio per ogni bambino, il marito e padre ideale, un gentleman dopo ogni vittoria e dopo le quasi inesistenti sconfitte. Mai una scusa, mai un atteggiamento fuori posto. Però… Però è accaduto. E dopo New York – dopo quel match di finale contro Federer dello scorso settembre in cui il tifo contro ha raggiunto livelli da arrossire – anche ieri Novak non ha detto nulla, ha scosso solo il capo infastidito. In campo, contro di lui, c’era il francese Gilles Simon, la reincarnazione moderna di Battone Mecir, il tennista che ti imbrigliava con la sua morbidezza. Servizio a livello di torneo femminile, colpi quasi mai vincenti, praticamente un muro. Simon si è trovato due set pari con il Più Forte, e non si era mai visto un campione così sbagliare tanto. A quel punto, di solito, scatta la solidarietà. E invece no: ad ogni errore non forzato di Novak – e alla fine saranno la stratosferica cifra di 100 – ecco l’esultanza. Così al quinto set, quando Djokovic ha fatto il break sul 2-1, recuperando dal 40-0 di Simon, sul suo volto si è letta un’espressione quasi un po’ disgustata. E alla fine, dopo 4 ore e 32 minuti, dopo l’ultimo punto vincente, Novak ha salutato quasi distrattamente la Rod Laver Arena, «ma ero solo scontento di come avevo giocato». Sarà in fondo è vero, non si è mai visto un giocatore vincere un match dopo aver fatto 100 errori gratuiti. Però non si è nemmeno mai visto un numero uno amato così tiepidamente….

 

I 100 errori di Djokovic: sbaglia, ma non perde mai

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 25.01.2016

 

Cento errori gratuiti equivalgono a uno zero al totocalcio, a uno scudetto perso a quota centodieci, a un secondo posto con un tempo che sarebbe stato primato del mondo. Brillano di una perversa magnificenza, rivelano una sostanza incantevole e insieme iniqua. Cento errori gratuiti senza perdere il match, è addirittura uri impresa, forse un record. Novak Djokovic ne avrebbe preferiti di altri, lui che gareggia con Federer per il primato della Storia, e ovunque si giri trova una classifica dominata dal suo dirimpettaio nel Club dei Fab Four che ha cosparso di imprese il Guinness del Tennis (ultima l’approdo alle trecento vittorie nello Slam, diventate 301 appena ieri con la facile vittoria su Goffin). Eppure, i cento errori gratuiti accuratamente lavorati e selezionati nel corso di uno dei match più noiosi che siano mai andai in scena in un ottavo dello Slam, finiscono per consegnarci un Numero Uno finalmente umano, forse troppo. Altruista e disponibile come mai lo avevamo visto, persino comprensivo nel rimettere continuamente in gioco Gilles Simon, francese pallettaro, soporifero ribatti-tore, «maîtreenru[yeux noioso padrone della linea di fondo», per dirla con i colleghi francesi, essi stessi sconvolti. Oltre 4 ore e mezza. Un match che ritroveremo il prossimo dicembre nelle liste degli incontri più lagnosi dell’anno: quattro ore e trentadue, infiniti scambi sulla diagonale del rovescio, cinque set a ritmi da gara di ballo sulla mattonella. Simon non è mai stato un fulmine, ma è un tennista intelligente, e alla decima sfida con Djokovic (nove perse, una sola vinta, la prima, quando Nole era un pupetto) ha pensato bene di non dargli appigli. Niente forzature, ma centinaia di palline senza peso, vuote nella velocità e nelle intenzioni, semplicemente rispedite di là. Che sia lui a confezionare i punti che gli servono, ha pensato Simon. E su quei vuoti a rendere, Nole si è incartato. ha spinto e ha spedito tutto fuori. F la accettato gli scambi prolungati, e ha scoperto che con quella tattica Simon poteva diventare ancora più pericoloso.. Me la sono vista brutta», ha ammesso, con la consueta onestà…..Un match di relativa crisi c’è stato in tutti gli ultimi Slam che ha vinto: a Wimbledon contro il sudafricano Kevin Anderson, che gli sfrecciò avanti di due set; e a New York con Bautista Agut e poi con Feliciano Lopez. «Sapersi adattare alle circostanze è una delle qualità di Nole», è stato il commento di Boris Becker, visto sussultare in tribuna e saltellare agile e felice al compiersi della vittoria del pupilla giunta al terzo match point Ora che ha perso non meno di cinque chili, se lo può permettere. «Certe partite vanno vinte», ha dettato ai cronisti tedeschi, «poi si può anche discutere degli errori e delle cose buone che si sono mese in campo. Una di queste è che Novak, in una giomata difficile, ha saputo condurre in porto l’incontro». Alla fin fine, l’unico dato negativo è che il match ha sporcato l’intonsa pagella del serbo, che prima di Simon mostrava solo voti alti e nemmeno un set perduto.

 

Djokovic col freno tirato, Federer passeggia

 

Alberto Giorni, il Giorno del 25.01.2016

 

Tutte le strade degli Australian Open portano alla semifinale stellare tra Novak Djokovic e Roger Federer. Manca un turno e i percorsi dei due verso i quarti sono stati molto diversi: un tortuoso sentiero per il serbo, un comodo rettilineo per lo svii .ero. Djokovic ha sudato sette camicie per avere ragione di Gilles Simon, piegato in cinque set (6-3, 6-7, 6-4, 4-6, 6-3). Prestazione deludente del n.1 del mondo, che ha inanellato 100 errori gratuiti; ma i campioni sono tali perché riescono a spuntarla anche in una cattiva giornata. Il serbo ha centrato il 27 quarto di finale di fila in uno Slam (eguagliato Connors) e non dovrà sottovalutare Kei Nishikori, che ha dominato 6-4, 6-2, 6-4 Tsonga: «Non potrò giocare peggio di così — l’autocritica di Djokovic —, ho perso anche la calma: è un match da dimenticare». Il protrarsi di questo incontro ha costretto Federer a scendere in campo tardi e il re di 17 Slam ha chiuso dopo mezzanotte dando spettacolo (6-2, 6-1, 6-4) con il belga Goffin: ora se la vedrà con Berdych. Nel femminile, il quarto più nobile opporrà Serena Williams e Maria Sharapova: la statunitense ha maltrattato 6-2, 6-1 la Gasparyan, mentre la siberiana ha prevalso sulla Bencic per 7-5, 7-5. Intanto Andreas Seppi e Marco Cecchinato volano al terzo turno del doppio maschile superando Feliciano e Marc Lopez 1-6, 7-6, 7-5; nel misto, Fabio Fognini e Sara Er-rani (che potrebbero fare coppia anche alle Olimpiadi) vanno al secondo turno battendo 7-6, 7-5 lo stesso Marc Lopez e Parra Santonja.

 

Martina Navratilova, l’apolide del tennis che cambiò il gioco dentro e fuori il campo

 

Gianni Clerici, la Repubblica del 25.01.2016

 

La Madonna!!! Non era la mia una preghiera, ma un’esclamazione che certo mi avrebbe causato una penitenza, in confessionale, se non mi fossi invece trovato sui bordi di una magnifico campo verde, e privo di testimoni. Come sempre il ricevimento pomeridiano dell’ Hurlingham Club, lungo il Tamigi, precedeva il primo giorno di Wimbledon 1973. Senza far parte, ormai, dei tennisti invitati, avevo portato con me i panni bianchi, che avevo indossato, e la racchetta, nella speranza di riuscire un palleggio, un set, con qualche benevolo giocatore, o un vecchio socio. Chi aveva provocato l’esclamazione era una ragazza, capelli corti, bel visuccio, mento volitivo, corpo atletico ma asciutto, belle gambe che fuoruscivano da un paio di calzoncini cortissimi. La sua partitina doveva essere finita e, vincendo la mia residua timidezza, le chiesi di fare due palle. Ritornò verso la linea di fondo, tirò la palla, gliela rimandai, ma subito, col diritto, la mise fuori dalla mia portata, mentre mormorava «Sorry. E’ il diritto di una campionessa del mondo», risposi, e lei scosse la testa, e sorrise, come qualcuno che ascolta una iperbole. Palleggiammo cinque minuti, poi arrivarono in quattro, tutti giocatori di Wimbledon, e dovemmo uscire. La ringraziai, e le dissi che non avrei mancato il suo esordio, a Wimbledon. La vidi, nuovamente in tutto quel suo fascino mascolino, battere una ex, l’inglese Christine Truman, vincitrice del campionato italiano fuoriporta ma anche del Roland Garros 1958, ma sposata e soddisfatta. Da quel giorno, la curiosità umana, non solo professionale, continuò a crescere, e mi mise sulle tracce di una storia che avrebbe portato un bravo regista, un amico quale Duccio Tessari, e a farmi tracciare un, ahimè, vano copione. La ragazza che avevo ammirato colpire la palla come una futura campionessa si rivelò la figlia di tale Miroslav Subert, quindi a 3 anni il divorzio della mamma e un nuovo matrimonio la fece divenire figlia adottata di Mirek Navratil, e dunque, da Subertova, Navratilova. Nella sua prima biografia, scritta dal mio amico George Vecsey del New York Times, c’è una pagina importante per disegnare sin da piccola l’inclinazione omosessuale di Martina: «Ero stata l’ultima della mia classe ad avere le mestruazioni. Avevo le orecchie grosse, un nasone. Sarò sempre uguale a un ragazzo dissi piangendo». Il nuovo papà la incoraggiò. La fece giocare a tennis, sul campo che era stato della famiglia di Martina, di fronte a una villa dove nonna Agnes Semanska giocava a tennis da prima categoria, una casa della quale avevano conservato un pezzettino poiché, com’è noto, dal 1948 la proprietà privata divenne un furto, in Cecoslovacchia. Nel nostro copione fallito, Tessari e io avremmo sottolineato, in un’altra scena copiata dalla biografia, l’incontro tra Martina e suo padre, quando la tennista trovò il coraggio di sfuggire ai comunisti, e si rifugiò negli Stati Uniti , dove i genitori la raggiunsero grazie a un visto concesso con gravissimi rischi per gli altri parenti, nel caso di non ritorno. Navratil si sorprende, dapprima , perché la casa che Martina, a Charlottesville (Virginia) gli ha acquistato, non è la stessa nella quale vive, con la sua compagna, la scrittrice Rita Mae Brown, che ha sostituito un’altra donna famosa, la cestista Nancy Lieberman. Alle spiegazioni di Martina, il padre insorge, e afferma che tutto è accaduto a causa del primo fidanzato. «Fossi stato io, al suo posto, non saresti diventata quella che sei.. Quasi non bastasse, viene dichiarato alla poveretta il nome del suo vero padre, accompagnato da ricordi negativi. Una simile vicenda dovette essere arcora più crudele del fatto che, quando Martina, nel 1978 vinse il primo Wimbledon dei suoi 9 Wimbledon, apparvero, sui giornali di Praga, tre righe, in cui si diceva che una cecoslovacca, senza citarne il nome, aveva vinto il torneo inglese. Che altro dire, se non ricordare l’assuefazione a una vita diversa da quella per la quale Martina sembrava nata, e la difficoltà ad essere dapprima apolide, poi americana, e insieme omosessuale, con un’indubbia, eccessiva notorietà di quelle che furono le sue compagne, Nancy Liebermann, Mae West e infine Judy Nelson, che profittò della notorietà della tennista per pubblicare un libro scoraggiante. Rimane, nel ricordo di chi l’ha ammirata, senza conoscerla almeno un tantino, come mi è avvenuto, quella che fu la storia di una rivalità e di un’amicizia , con l’altra grande giocatrice dei suoi tempi, Chris Evert. Si direbbe che, nel dna delle due tenniste, già fossero pronti i geni per condurle al successo sportivo, quanto a una vita di amori mutevoli e spesso infranti. Se Manina aveva avuto una nonna tennista, Chris Evert aveva – ha tuttora – il padre allenatore, Jim. Fu lui ad insegnarle quel rovescio bimane, che la contraddistinse quanto il serve and volley di Martina, e a prepararla per una lunga catena di scontri che terminò quasi in parità. Quanto Martina apparve amazzone Chris, pur nella sua determinazione, sembrò una grande bambina, e chi scrive non può far altro che augurarle una maturità e una salute felici. Non posso far altro che ricordare come i match tra le due si potessero definire tra attaccante e difensore, sinchè venne il momento in cui Chris capì che la sola difesa non era sufficiente contro una simile rivale, e prese a trasformare il suo eccezionale colpo bimane da passing shot in backhand d’attacco. Alla fine del 1988 – Martina 32 anni, Chris 34 – Navratilova conduceva 43 a 37. Sull’amica terra Evert stava avanti 11 a 3. Sul nativo cemento era stata raggiunta e superata 7 a 9, così come sull’erba 5 a 10, e sotto i tetti indoor 14 a 21. Da un vantaggio iniziale di 20 match a 4 per la Evert dal ’73 al ’77, dopo un quasi pareggio nel ’78, iniziava la supremazia per Martina con un 37 a 14, dei quali un 15 a 1 dall’82 all’85. Che cosa sarà mai accaduto, nei loro cuori, per spiegare simili improvvisi scarti, in punteggio finale quasi in parità? Temo ci vorrebbe un librone, e non un tentativo, certo insufficiente, su un giornale. Per terminare simile storia, un po’ troppo simile ad un elenco, vorrei ricordare i 9 Wimbledon di Martina (battuta la grande americana Helen Wills), i 4 US Open, i 2 Roland Garros, e i 3 Australian. Riguardo a questi, mi si permetta di citare una vicenda, che raccontai un giorno a Martina, sentendomi in qualche modo colpevole. Nel 1983, dopo aver perduto al Roland Garros da Kathy Horvath, Martina vinse gli altri tre Slam – ultimo tra questi lo Australian – che allora si giocava a dicembre. Quando, l’anno successivo, riuscì a vincere sui lenti campi di Parigi, che non amava, una ricca ditta coinvolta con il tennis lanciò l’idea e il titolo di Grand Slam Biennale, e molte agenzie, e cronisti impreparati e foraggiati, diedero rilievo al fatto. Fui io allora che, per una volta, scelsi un ruolo pubblico, e chiesi a tutti i colleghi presenti a Parigi di stilare una democratica votazione di favorevoli e contrari. I contrari batterono i favorevoli 90 a 10, e l’ipotesi pubblicitaria dello Slam Biennale svani. Lo stesso anno Martina si sarebbe in seguito aggiudicata Wimbledon e lo US Open, arrivando tosi un’altra volta a 3 vittorie Slam ma perdendo la finale australiana contro Vera Sukova, cecoslovacca di passaporto, mentre la nostra eroina era divenuta ormai americana (1981).

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