La paura di Nole contro Nishikori, oggi c'è Murray (Clerici). Nole-Andy, che finale! (Crivelli). Williams-Keys, è l'ora del derby (Grilli). Fognini: “A Parigi vedrete il vero Fabio” (Cocchi). Panatta: “Il Foro, la Coppa Davis, un anno magico (Grilli)

Rassegna stampa

La paura di Nole contro Nishikori, oggi c’è Murray (Clerici). Nole-Andy, che finale! (Crivelli). Williams-Keys, è l’ora del derby (Grilli). Fognini: “A Parigi vedrete il vero Fabio” (Cocchi). Panatta: “Il Foro, la Coppa Davis, un anno magico (Grilli)

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La paura di Nole contro Nishikori, oggi c’è Murray (Gianni Clerici, La Repubblica)

Sara la mia innata bontà, ma dimentico il nome di quanti la mia nipotina definisce “i cattivi”. Non ricordo, l’ombrello aperto, il nome dell’assessore romano che intervistai al telefono, e mi disse: “Non sono stato io a peggiorare le strutture dell’Olimpico. Rifiuterò di peggiorare quelle del tennis”. E addio tetto. Non fosse stato per l’inventore dell’ombrello, avremmo passato una giornata ancor più simile a quella storica del 15 maggio 1985, in cui, oil man dilettante, fui costretto a dar fuoco a un mastello di benzina sul Centrale marmoreo, e il giornale, invece di licenziarmi, titolò: “Davanti a lui bruciava tutta Roma”. Per fortuna, in un momento di pausa di Giove Pluvio, è sceso in campo Lucas Pouille, il semifinalista più paradossale della storia degli Internazionali. Un lucky loser – perdente fortunato, antinomia paradossale – capace di issarsi per vie mai praticate alla semifinale. È bastato un Murray dei giorni feriali, sin qui il più in forma del torneo, per rimandare alla natale Dunkerque qualcuno che, temo, non si sostituirà alla fama per cui quella città è nota storicamente, grazie allo storico sbarco angloamericano. A proposito di americani, la nuova star abbronzata, come direbbe il presidente del Milan (chissà se avrebbe trovato un acquirente cinese anche per l’Italia) Madison Keys, sarà impegnata in una battaglia generazionale che potrebbe non perdere, contro la peggior Serena vista da tempo. Madison, mi ha detto la bella americana, è un personaggio del film Splash che porta il nome di una Sirena. Affermazione corretta dal mio collega americano Rothenberg, che ricorda come Madison fosse il nome del quarto presidente, James Madison. L’inizio della semifinale serale pareva confermare la sindrome Bellucci di un Djokovic per di più zoppicante per una autopunizione con racchetta alla caviglia. Dall’altro lato Nishikori pareva un copia carbone di Agassi, secondo la definizione di Bollettieri, non meno obsoleto delle Scriba. Con un numero vergognosamente insolito di vincenti (5) Nole riusciva nell’impresa di subire un 6-2 che lo faceva credere (agli inesperti) diminuito atleticamente. Era invece in corso una sorta di riscaldamento agonistico che avrebbe via via condotto Nole ad assomigliare al miglior se stesso, a un fenomeno che aumenta la propria qualità man mano che la finale si fa più vicina. La vicenda si concludeva con un tie-break nel quale un pareggio, in una serata tanto crudele, sarebbe stata forse una fine insolita ma più veritiera. Sarà sufficiente iniziare dopo un’ora un match contro Murray, così com’è avvenuto sin qui?

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Nole-Andy, che finale! (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

A pochi giorni di distanza, Madrid e Roma si offrono la stessa finale: Djokovic contro Murray, i gemelli diversi nati a una settimana di distanza, al 33° confronto diretto, con Nole avanti 23-9 ma sicuramente spossato da più di cinque ore di battaglia negli incroci con Nadal e Nishikori. Già, il samurai Kei si conferma avversario tostissimo, ieri al livello del numero uno, e cede solo perché Novak ha la spietata abitudine di essere letale nei pochi punti che decidono sfide così equilibrate. Dopo un primo set dominato dalle gambe e dalla profondità del giapponese, il match si infiamma negli altri due set, tra palle corte spettacolari (arma tattica fenomenale per Nishikori) e portentosi scambi da fondo chiusi spesso da prodezze vicine alla riga. Altissima qualità fino al tie break del terzo, dove si arriva con Nole che ha sciupato un match point sul 5-4 (annullato da un dritto vincente del rivale): Kei sale 3-1, poi si spegne la luce (anche un doppio fallo) e Djokovic vince il 31′ tie break degli ultimi 32. Un Djokovic nervoso, che si dà una racchettata sulla caviglia sinistra dopo il primo game e deve chiamare il fisioterapista, litiga con coach Vajda e va a servire con le corde rotte senza accorgersene (glielo segnala l’arbitro), eppure imbattibile quando l’acqua sale alla gola. Ora ci prova Murray: che strano giocare una partita il giorno del proprio compleanno. In dieci anni sul circuito, non gli era mai capitato. E questa è speciale, perché porta in regalo la prima finale in carriera a Roma: «In realtà, io mi ricordo che una volta, da ragazzino, il giorno del mio compleanno persi, e dunque non è proprio di buon augurio. In ogni caso, credo che la finale vinta l’anno scorso a Monaco (la prima sul rosso, ndr) abbia cambiato il mio approccio e la mia fiducia sulla terra. Poi quando giochi con avversari fortissimi come Djokovic o Nadal, impari ogni volta qualcosa di più». Non poteva certo essere Pouille, il primo lucky loser ad arrivare così lontano in un Masters 1000 dal 2004, a impedirgli l’accesso alla finale. L’aria gonfia di umidità e gli scrosci a intermittenza che interrompono il match per 13 minuti sul 4-2 Murray del primo set, non impediscono allo scozzese di comandare senza fastidi, con l’arma in più di un servizio capace di portargli il 91% di punti con la prima. Il francese cede in 59 minuti e non deve aver rappresentato un ostacolo memorabile se subito dopo la partita Andy si allena addirittura per altri 20 minuti su un campo secondario: «È la prima volta che mi capita di giocare senza aver mai tirato un colpo prima del match, del resto ho dovuto aspettare a lungo negli spogliatoi. La partita è stata molto rapida, non ci sono mai stati scambi lunghi e ho commesso più errori del solito. Avevo bisogno di tenermi caldo». Pouille, però, ha di che essere soddisfatto: da domani sarà n. 31 in classifica, posizione che gli garantirà una testa di serie al Roland Garros, anche a spese del nostro Fognini. Piove sul bagnato. O forse piove e basta.

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Williams-Keys, è l’ora del derby (Massimo Grilli, Corriere dello Sport)

Sessantanove tornei vinti contro uno, 76 milioni di dollari guadagnati in carriera contro 3, 13 anni di differenza (34 contro 21), e 2-0 negli scontri diretti, con 4 set vinti a zero. Non sembra poterci essere partita, oggi alle 14, tra Serena Williams, n. 1 del mondo, e Madison Keys, n. 24 (ma domani sarà almeno 17), nella prima finale afroamericana del circuito, mentre per trovare un derby Usa per il titolo al Foro Italico bisogna tornare indietro fino al 1970, quando la Moft-King superò per 6-1 6-3 Gladys Heldman. Serena è la grande favorita per conquistare il quarto trionfo romano dopo quelli del 2002, 2013 e 2014 (raggiungerebbe Gabriela Sabatini e Conchita Martinez a -1 dai cinque successi di Chris Evert) ma chissà, il suo ondivago stato di forma (quanti errori pure ieri, dopo la splendida prova di venerdì contro la Kuznetsova) e la freschezza della Keys, rivitalizzata dal nuovo allenatore, Hogstedt, lasciano spazio alla possibilità di una sorpresa. Una semplice giornata di lavoro ieri per la Williams, zero set persi finora, a caccia del primo titolo dei 2016, contro la volenterosa Begu, probabilmente già soddisfatta della semifinale raggiunta. Contro pronostico invece nella prima semifinale (spostata dal Centrale al Pietrangeli a causa della pioggia) il successo della Keys contro una deludente Muguruza, poco consistente nella risposta e inutilmente intestarditasi a scambiare pallate contro la potente avversaria senza tentare una variazione, e capace inoltre di errori imperdonabili nei momenti decisivi, come nel tie break del primo set lamericana non ha tremato nemmeno quando sul 5-4 30-15 – e servizio – nel secondo set la pioggia ha interrotto la partita. «Ecco, pensavo, vedrai che pioverà e io mi sognerò tutta la notte i due punti che mi mancano – ha detto con il solito sorrisone a fine gara – invece siamo potute tornare in campo presto ed ho chiuso. Come mi sento? Really, really happy, è davvero una grande sensazione essere arrivata in fondo. Sto giocando bene, sto entrando in forma in tempo per il Roland Garros. Due amen-cane in finale sulla terra battuta, strano no? Però ormai si gioca tanto anche sulla terra, bisogna abituarsi». Arrivata a Roma, il suo primo torneo dell’anno su terra battuta, senza grandi sensazioni e in condizioni fisiche approssimative, la Williams può essere soddisfatta della sua settimana. «Vi sorprendete sempre quando arrivo in finale sulla terra – ha detto – ma io preferisco questa superficie all’erba, anche se ho vinto più volte a Wimbledon che a Parigi… Sono contenta del mio torneo, ho incontrato tutte avversarie con caratteristiche differenti, un ottimo allenamento in vista del Roland Garros. Contro la Begu ho sofferto all’inizio, lei giocava bene di anticipo ed io, non conoscendola, non sapevo cosa aspettarmi. Poi però nel secondo set le cose sono andate meglio». Tra giocatrici tanto potenti, sarà decisivo oggi prendere l’iniziativa. Divertente il botta e risposta a distanza. «Con Serena ho perso due volte su due – ha detto la Keys – ma in Australia sono stata molto vicina a vincere il primo set, questo mi ha fatto capire che posso giocarmela. Dovrò approfittare delle poche opportunità che mi concederà». «Una cosa che ho imparato di Madison – ha detto invece la Williams – è che migliora di partita in partita. E’ una giocatrice dal grande potenziale, dovrò stare attenta. Sono più vecchia io, però…». Se la Keys è il futuro, il presente è – probabilmente – ancora Serena.

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Fognini: “A Parigi vedrete il vero Fabio” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Roma è già alle spalle, ma prima di Parigi si passa per Nizza, dove Fabio scende in campo domani. Agli Internazionali ha avuto un percorso breve. Fuori al primo turno contro Garcia Lopez proprio quando stava attraversando un buon momento. Arrivava da Madrid dove è uscito al 2° turno contro Nishikori, ma dal rientro per l’infortunio agli addominali aveva anche centrato i quarti a Barcellona e le semifinali a Monaco. «La delusione per Roma è passata. Mi dispiace per il pubblico che sperava di avere più italiani in gara, ma nel nostro lavoro bisogna sapere voltare pagina». Al match però ci teneva, visto che si è tagliato una mano per colpire la racchetta in un momento di rabbia. «Ogni tanto bisogna sclerare per sfogarsi. Ho ancora tanto da lavorare per ritornare in forma dopo l’infortunio, devo sistemare alcune cose, ma per fortuna ci sono ancora tanti tornei».

A Madrid Nishikori, da cui è stato sconfitto, ha detto che ha giocato meglio lei.

È un bel riconoscimento da parte del numero 6 al mondo. Comunque il livello di gioco c’è e se riesco a sistemare piccoli dettagli posso puntare a buoni risultati. Al Roland Garros non sarò testa di serie. Credo che nessuno vorrà incontrarmi al primo turno; a parte per quei 7-8 che fanno la differenza sempre, credo di essere un avversario difficile. Sarà un torneo dello Slam e quindi potrò avere più possibilità, perché la partita è molto lunga e c’è margine per recuperare.

Dopo tanto tempo fermo non è stato facile ritrovare il ritmo.

Purtroppo gli infortuni fanno parte dello sport. Sono state settimane lente e noiose ma sono rientrato a Montecarlo e non avevo più dolore, manca la forma fisica di un tempo ma pian piano sto crescendo.

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Panatta: “Il Foro, la Coppa Davis, un anno magico (Massimo Grilli, Corriere dello Sport)

«Aaaaadriano, Aaaaadriano…». Per chi come noi visse quel magico 1976 dalle tribune montate sopra i gradoni in cemento del campo Centrale, ora Pietrangeli, il ricordo è ancora incancellabile. Nello stesso anno vincemmo gli Internazionali d’Italia, di Francia e la Coppa Davis, affermandoci come una potenza del mondo tennistico. Un unico denominatore, Adriano Panatta, classe 1950, figlio del custode del Tennis Club Parioli. Oggi lui e i suoi compagni di Davis, Barazzutti, Bertolucci, Zugarelli, con il capitano Pietrangeli, saranno premiati tra le due finali di singolare, per il quarantennale del trionfo in Cile. «Saranno dodici o tredici anni che non mettevo piede agli Internazionali». Lei sembra impermeabile alla nostalgia: ha dichiarato più volte di non sapere dove ha messo i trofei vinti, e il giorno del suo ultimo match, nel 1983, regalò a un tifoso le racchette. Non le piacciono le celebrazioni? «Sicuramente non sono un tipo autoreferenziale, e poi sono passati tanti anni. Quella di oggi è una bella cosa, basta non farne un caso nazionale».

Roma, Parigi, la Davis. A quale vittoria è più affezionato?

Sono troppo diverse, non posso metterle in fila. Roma fu particolare perché era la mia prima vittoria importante, ottenuta poi nella mia città, davanti al mio pubblico. Parigi resta il successo più prestigioso, un torneo del Grande Slam… E la Davis fu una vittoria di squadra, dopo tante polemiche, una grande bella soddisfazione. Ma eravamo un quartetto molto forte, raggiungemmo altre tre o quattro finali, non mi ricordo più…

Per arrivare a giocarci la coppa battemmo Polonia, Jugoslavia, Svezia, Gran Bretagna e Australia. Quale fu la sua prestazione migliore?

Con l’Australia, in semifinale al Foro Italico. Contro Newcombe in singolare, ma soprattutto in doppio, io e Paolo con Newcombe e Roche. Quella fu la vittoria della svolta, e in tre set.

A Roma, invece? Il primo turno contro Warwick, con gli 11 match point annullati, è ormai leggenda.

Fu la mia partita peggiore del torneo. Giocai bene contro Vilas in finale, il giorno prima in semifinale contro Newcombe forse ancora meglio.

A Parigi, invece, c’è l’imbarazzo della scelta: il tuffo sul matchpoint di Hutka al primo turno, il trionfo su Borg, la finale con Solomon…

E invece la mia migliore partita fu in semifinale, contro Dibbs, mi riusciva tutto. Poi, certo, quella su Borg resta la vittoria più importante, e se non avessi annullato in quel modo il match ball contro Hutka sarebbe finito tutto il primo giorno

Il pubblico del Foro Italico svolse un ruolo decisivo quell’anno, sia nel suo trionfo agli Internazionali che in Davis, contro l’Australia.

Mi volevano bene, ma c’era grande affetto anche nei confronti della squadra di Davis. In campo sì, il tifo si sentiva..

Sempre a Roma, nei quarti di finale, il pubblico fu decisivo nello spingere lo statunitense Solomon al ritiro, mentre vinceva 5-4 al terzo set.

In quella occasione lui si impuntò su una chiamata dubbia, a mio favore. Provò a mettersi contro il tifo del Centrale, non poteva uscirne vincitore…

Non nascono più giocatori d’attacco come lei.

Il tennis è completamente cambiato, e così il modo di giocare. Le racchette moderne permettono dei colpi impensabili ai miei tempi, chi ce la fa più a scendere sotto rete…

Le piace il tennis moderno?

Ho visto in tv la partita dei quarti tra Djokovic e Nadal, è stata bella, mi sono divertito. Poi c’è Federer, naturalmente…

Quali sono i suoi rapporti con i compagni della Coppa Davis?

Con Corrado non ci vediamo molto. Per la verità non ci siamo mai frequentati tanto… Zugarelli è di Roma, ogni tanto ci sentiamo, abbiamo anche giocato a golf insieme. E Paolo sono cresciuto. Abbiamo cominciato insieme, avevamo 8 o 9 anni, siamo diventati presto due fratelli. E il rapporto è rimasto sempre lo stesso.

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