Calma e fiducia, Vinci avanti tutta: "Amo questo posto" (Lopes Pegna). Brava la Vinci, non perde il controllo (Corsport). Lorenzi si sente in paradiso (Zanni). Lorenzi, storia di un sogno che non ha mai fine (Azzolini)

Rassegna stampa

Calma e fiducia, Vinci avanti tutta: “Amo questo posto” (Lopes Pegna). Brava la Vinci, non perde il controllo (Corsport). Lorenzi si sente in paradiso (Zanni). Lorenzi, storia di un sogno che non ha mai fine (Azzolini)

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Calma e fiducia, Vinci avanti tutta: “Amo questo posto” (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

Roberta Vinci s’ingrazia gli americani (ma senza la minima malizia) indossando una felpa del team olimpico Usa. E poi riesce a farli divertire. Piace la sua spontaneità e il senso dell’umorismo con cui sta al gioco, quando un giornalista le chiede, scherzando, di un suo vecchio zio, Leonardo da Vinci: «Lo assumerò come mio secondo allenatore», risponde spiritosamente. Una cosa è certa, il suo stile di tennis, intelligente e spettacolare, sarebbe piaciuto anche al genio toscano. Così quando s’impossessa del primo set con un secco 6-0 contro la tedesca Carina Witthoeft, n. 102, con cui non aveva precedenti, lo fa con colpi da esporre al Louvre («Sì, nel primo ho giocato davvero bene: non sapeva proprio come difendersi», spiegherà dopo). Persino troppo bello, semplice e rapido (31′). Ammette: «Quando vai liscio così, può essere un’arma a doppio taglio. Perché pensi a una partita facile e rischi di distrarti  INCARTATA Infatti la tedescona, appena 21enne, non si arrende. Neppure quando l’italiana sale sul 5-3 nel secondo e si porta 5-4 e 30-0 con il servizio Witthoeft, che fino a quel momento era riuscita a mantenere soltanto una volta. Ma lì la finalista dello scorso anno s’incarta: perde tre game consecutivi e il set. Confessa: «Mi è salita la pressione, non riuscivo più a fare punti con la battuta e ho perso lucidità. Ma è stata brava anche lei. Non c’è niente da fare, questo è uno sport dove la mente ha un ruolo fondamentale. E quando mi entra il nervoso finisco per sbagliare molto con il dritto». E allora inizia una specie di «mind game». Racconta: «All’inizio del terzo set non volevo farle capire che ero inc… e che mi giravano. Sono stata brava a partire bene. Ma è stata una lotta: in generale, la pensavo più fallosa». AMORE Roberta le strappa subito il servizio, che cederà al sesto gioco per poi ritornare avanti immediatamente dopo. Poi ricomincia a produrre buon tennis, anche se non estroso come all’alba del match, e archivia pure la seconda pratica tedesca di questi Us Open. «Come dite, a Fognini gli US Open non piacciono? Io invece li amo: è il mio Slam preferito. E sull’Armstrong stadium mi trovo a meraviglia. Quando ho saputo che giocavo qui sono stata felicissima». Ora è tornata calma e serena. Glielo fanno notare e lei rivela che questo è stato il più grande dei suoi cambiamenti: la chiave dei suoi recenti successi. Dice: «Per tanti anni sono stata sempre molto negativa. Ogni sconfitta la vivevo come un disastro. Ora riesco a metabolizzare meglio. E’ stato un bel salto di qualità». Non ci fosse il tendine d’Achille ammaccato, vivrebbe una situazione perfetta: «Mi piacerebbe entrare in campo senza avvertire alcun dolore, ma non è possibile. Sono i primi segnali della vecchiaia», scherza di nuovo sfoderando i suoi denti bianchissimi da spot tv. Aggiunge: «Sono contenta di potermi prendere un altro giorno e mezzo di riposo prima del prossimo impegno». Quello con l’ucraina Tsurenko, 27 anni, n. 99 del mondo, ma arrivata a 33, senza però un grande record negli Slam: al massimo un terzo turno, nel 2013 agli Australian Open. Con la Vinci, un solo confronto, quest’anno a Doha, 6-2 6-1 per l’italiana: «L’ho battuta nettamente, ma lei sbagliava tantissimo». Non sembra minimamente turbata. Ormai sa che sono le altre a doversi preoccupare

 

Brava la Vinci, non perde il controllo (Corriere dello Sport)

Roberta Vinci, finalista 2015 contro Flavia Pennetta, per la quarta volta in carriera s’è guadagnata un posto negli ottavi agli US Open e così domani tornerà in campo a Flushing Meadows contro l’inattesa LesiaTsurenko, ucraina che a sorpresa ha eliminato la slovacca Dominika Cibulkova, testa di serie numero 12. C’è riuscita tuttavia a capo di una partita davvero balorda nell’andamento, la numero 1 azzurra, 8 del mondo e 7 del torneo, contro la tedesca Carina Witthoeft. Robi ha infatti collezionato in apertura sette giochi di fila (primo set a zero in appena 31′), prima di cederne un paio (accompagnati da un inatteso «Non ho forza») e ripartire di slancio fino ad arrivare a due punti dal match, sul 5-3 e 30-0 nel secondo set. A quel punto alla 21enne di Amburgo non è parso vero l’impasse della 33enne tarantina e così la Witthoeft ha ribaltato la situazione fino ad aggiudicarsi il parziale per 7-5 con cinque game consecutivi. La Vinci tuttavia s’è data una scossa e nel set decisivo si è subito portata 2-0, rimediando poi a un nuovo passaggio a vuoto (3-3) : qualche urlaccio le è servito per giocare nuovamente al meglio e chiudere la partita per 6-3 dopo 2h06′ davvero inimmaginabili dopo quel set di apertura scivolato via così rapidamente contro la tedesca, attuale 102 del mondo ma già 49 un anno fa, mai montata prima. «Al momento di chiudere nel secondo set mi sono innervosita – ha ammesso Roberta a fine match – e così l’ho perso. Nel terzo ho cercato di rimanere concentrata: lei è una tennista giovane e stava cominciando a giocare bene. Non sono al meglio della condizione fisica, sono un po’ stanca, ma sono felice per questa vittoria e sono contenta per l’affetto che il pubblico di New York mi dimostra. Sento molta pressione, ci sono anche i punti da difendere, ma in questo momento voglio solo riposare e pensare alla prossima partita». Peccato che Robi sia rimasta così a lungo in campo: bene non ha certo fatto, al tendine d’Achille della dolorante gamba sinistra. Domani se la vedrà con la Thurenko, si diceva. La 27enne ucraina è arrivata agli US Open da 99 del mondo e ieri ha approfittato di una’Cibulkova non al meglio fisicamente. Un solo precedente tra le due, a favore dell’azzurra, che si è imposta proprio quest’anno a Doha, sul cemento quindi, per 6-2 6-1.

 

Lorenzi si sente in paradiso (Roberto Zanni, Il Corriere dello Sport)

Trentacinque, appena uno in più dei suoi anni. Paolo Lorenzi quando gli US Open chiuderanno l’edizione 2016, sarà 35 nel ranking mondiale: il suo top, che lo accompagnerà ancora, gli era successo per la prima volta in agosto, ad essere il miglior tennista italiano. Scende Fognini, diventerà 43, sale Lorenzi che si inserisce in quel trend degli over 30 che sta sta andando tanto di moda nel tennis maschile: attualmente sono dieci tra i primi venti. Ma la storia di Paolo è speciale perché solo adesso ha trovato il suo top arrivando al terzo turno di uno Slam, non gli era mai successo prima. Nato a Roma, ma vive a Siena, a New York giovedì Lorenzi ha sconfitto il francese Gilles Simon, trenta del tabellone, e anche se oggi, giocherà all’Arthur Ashe Stadium, davanti si troverà l’oro olimpico, vincitore di Wimbledon e 2 del tabellone, Andy Murray, un record, oltre alla classifica, l’ha già segnato: unico tennista italiano in campo maschile ad essere arrivato quest’anno al terzo turno a Flushing Meadows. Per farlo è rimasto in campo cinque set e 294 minuti. Una battaglia tremenda. «Ho avuto dei crampi a entrambe le gambe e anche alla mano e nell’ultimo set mi veniva quasi da piangere per quanto ero stanco». Ma al tie-break ha raccolto un grande risultato, una prima volta arrivata a un’età che di solito è sinonimo di fine carriera o comunque di declino. «Una grande soddisfazione. Questo era uno degli aspetti su cui lavoravo tanto, ma i risultati negli Slam non arrivavano». New York invece, finalmente, gli ha dato ragione. «Eccomi al terzo turno – ha aggiunto – e anche se c’è Murray partiamo dallo zero a zero. Ovviamente è lui il favorito e lo so, se gioca al suo livello sarà davvero durissima». Solo due volte si sono incontrati Lorenzi e Murray, precedenti che risalgono addirittura al 2005 e 2006, qualificazioni degli US Open e Adelaide, e allora il giovane Andy vinse in entrambe le occasioni. «Sono sicuro che il mio coach avrà qualche problema a fornirmi la tattica, perché sarà una partita complicata. Ma il primo pensiero è di recuperare al cento per cento per essere al massimo, voglio godermi questa sfida». Ma anche se oggi ci sarà Murray, Paolo non può dimenticarsi di quello che è successo contro Simon. «Sì, ho giocato una grandissima partita – lo dice col sorriso – e penso proprio di aver giocato il mio miglior tennis nel tie-break decisivo». E quando gli è stato chiesto dove metteva questo match, non ha avuto dubbi. «Lo inserisco tra i miei migliori in uno Slam». Una piccola pausa, poi una precisazione. «Almeno fino a questo momento…». Lorenzi la sua carriera da professionista l’ha cominciata nel 1999 al Future di Valdegno, anche se per vincere il suo primo torneo ha dovuto aspettare il 23 luglio scorso, a Kitzbühel, il tennista più anziano a conquistare per la prima volta un torneo ATP. Un successo sulla terra, dove ha conquistato anche 16 dei suoi 18 Challenger, che lasciava presagire che c’era davvero qualcosa di speciale in arrivo, perché il 2016 sembra proprio essere l’anno del tennista romano-senese che tifa per la Fiorentina. «La stagione finora è andata molto meglio di quello che mi potevo aspettare – ha detto ancora – Ho avuto qualche problema fisico, ma adesso sto bene e spero davvero di continuare così. Devo anche dire sinceramente che credevo che per superfici e tipo di gioco, le mie possibilità maggiori fossero a Parigi oppure anche in Australia, ma questo è il tennis. Agassi non ha vinto il suo primo Slam a Wimbledon? A volte ci vuole anche un po’ di fortuna e farsi trovare pronti all’appuntamento». FOGNINI E GIANNESSI. C’erano altri due italiani al secondo turno: Fabio Fognini ci ha provato fino al quinto set, ma poi ha dovuto incassare il decimo ko con David Ferrer (in altrettante sfide), come ci ha provato Alessandro Giannessi che, pur provenendo dalle qualificazioni, ha combattuto con Stan Wawrinka, almeno per gli ultimi due dei tre set giocati (persi 6-7 e 5-7).

 

Lorenzi, storia di un sogno che non ha mai fine (Daniele Azzolini, Tuttosport)

È una storia d’amore, cari signori, nient’altro che una storia d’amore. Lunga più di trent’anni, intensa, a volte struggente. Ma vera, e finalmente adulta. Paolo Lorenzi ama il tennis, con tutto se stesso, e non è più un amore impossibile. Forse lo è stato, ma se questo sport ha un cuore, Paolo vi si è insediato poco alla volta, fino a conquistarlo. Se ne sono accorti anche gli americani del Campo Undici, dove per 4 ore e 54 minuti Paolo ha fatto baruffa («Alla fine mi veniva da piangere per quanto ero stanco» ha detto) con Simon, che tanti titoli ha più di lui. Era un atto d’amore quell’insistenza dell’italiano, quel suo non voler venire meno, quel coraggio che c’è in ogni prova di resistenza. Se ne sono accorti, e l’hanno applaudito commossi. Eppure si sente dire altro di Paolo Lorenzi. Pescano nella filiera del riscatto degli ultimi, per descriverne le qualità. Esaltano l’umiltà che alla fine paga. Dipingono con robuste pennellate le molte doti che ne fanno un uomo di sostanza e certo contribuiscono a scrivere la sua storia esemplare; ma esitano a raffigurarlo per quel curioso Don Quijote tennista cui ha dato il volto, moderno protagonista di una vicenda che se non smette di trarre dal campo gli spunti picareschi, epici, o cavallereschi che la rendono palpitante, è solo per fame un dono ancora più grande al Tennis, la sua Dulcinea. Del resto, chiunque lo conosca, nel “giro” che conta, avrebbe difficoltà a imprigionarlo entro i limiti ristretti di una vicenda mossa unicamente dalla voglia di riscatto. Non di sola umiltà è fatto, Lorenzi, non di sole maglie nere si è vestito, e non è nemmeno vero che abbia giocato sempre e solo da ultimo, umile fra gli umili. La sua storia è più simile a una rincorsa, a un lungo inseguimento. Lui dietro la sua stella cometa, anno dopo anno, o più vicino di ieri. E domani? Eh, quante cose stanno per succedere, domani. Oggi Lorenzi affronterà Murray, e siate prudenti se avete voglia di dire in giro che non c’è partita. Magari c’è, l’amore non ha confini. Si sono incontrati una sola volta, tanti anni fa (nel 2006), quando Murray non era Murray, e nemmeno Lorenzi era quello di oggi. E un set il buon Paolo se lo portò a casa. Non solo. Domani Lorenzi sarà numero 35 della classifica mondiale. Primo fra gli italiani. Otto posizioni sopra Fognini, che scenderà al numero 43. Sedicesimo nella classifica All Time, appena davanti a Bolelli (che fu 36 nel 2009), e poco dietro a Ocleppo (30 nel 1979). Trentacinque gli anni e 35 il ranking, a dare smalto a una storia che ha infisso le sue pietre miliari senza fretta, solo quando si sono verificate le giuste condizioni. Il primo torneo nel maggio del 1999: 1075 in classifica e 200 dollari guadagnati. Solo dieci anni dopo la Top 100, nell’ottobre del 2009, già ventottenne, grazie ai punti di tre successi nei Challenger e alla prima vittoria importante nel Tour, a Roma contro Montanes, l’anno dopo, la Davis. «Non mi convocheranno mai», aveva appena finito di sospirare. Invece arrivò, nei quarti contro l’Olanda, 6-46-3 a Sijsling a punteggio acquisito. Torna fra i primi cento nel 2012, i trent’anni gli fanno bene. E Top-50 nel 2013, poi scivola di nuovo via dai primi 100. Ci ritorna e da li non smette più di migliorare. Il 2016 lo inizia da numero 70. Vince il primo torneo ATP a Krtzbuhel, ora è per la prima volta in un terzo turno Slam. «Il pubblico mi sostiene quasi sempre, e io non mollo». Perché mai dovrebbe? Senese nato a Roma, contradaiolo del Nicchio. Famiglia di medici e laurea a portata di libri. « La prenderò, prima o poi». Un sogno: mettere su un agriturismo. Un sogno più grande: restare nel tennis. Un sogno grandissimo: raggiungere la sua stella cometa.

 

 

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