E se il problema del Masters fosse il format?

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E se il problema del Masters fosse il format?

L’edizione 2016 delle ATP Finals sta giungendo al suo culmine. La formula attuale è davvero quella giusta?

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Oggi alle 18.30 italiane, Chris Kermode presenterà il Masters Under 21 che si terrà a Milano nel 2017. Ne aveva scritto il direttore Scanagatta

Le opinioni di Ubitennis

Con la vittoria di Murray contro Wawrinka si sono definite le semifinali delle ATP Finals 2016. Il meglio deve ancora avvenire, ma ciò che interessa in questa sede è la formula – sponsorizzata anche da Djokovic per la Coppa Davis – di questa affascinante manifestazione che raggruppa i migliori otto giocatori del mondo. I format usati dal 1970 – anno di fondazione del torneo, allora denominato The Masters – in poi sono state le più varie: round robin singolo a 6 e atto conclusivo nella prima edizione; stessa soluzione ma con 7 contendenti nel 1971; dal 1972 al 1981 due gironi all’italiana da 4 con semifinali e finale. Nei due anni successivi i partecipanti sono stati 12, con bye per i primi due, ma a eliminazione diretta. Nell’anno seguente stessa cosa, ma con l’accesso diretto al secondo turno riservato alle prime 4 teste di serie, mentre nel 1985 i giocatori a contendersi il titolo furono ben 16, stavolta senza alcuna agevolazione. Dopo varie sperimentazioni, dal 1986 si arrivò a quella che è l’attuale formula: due gironi da 4 giocatori, con semifinali incrociate e conseguente finale. Infine, a partire dal 2008, è stato imposto che anche la finale si giocasse 2 set su 3 anziché 3 su 5 (nel 1979 e nel 2004 gli atti conclusivi si giocarono eccezionalmente come accade oggi).

L’obiettivo di chi scrive non è certamente quello di fare un rilievo storico-statistico, ma analizzare la pertinenza della struttura del Torneo dei Maestri. Se è vero che consentire a tutti i partecipanti di giocare almeno 3 partite permette al pubblico di apprezzarli per almeno 3 volte nel giro di pochi giorni contro alcuni dei migliori 8 tennisti del pianeta, non lo è di meno il fatto che ciò elimina quella che è l’essenza di questo sport, ovvero il win or go home. La mancanza di tale elemento toglie quel pizzico di pathos di cui necessitano grandi partite quali sono tutte quelle in cui incrociano la racchetta fenomeni di questo livello. Inoltre, come sottolineato anche dal nostro Direttore, ciò ha portato a situazioni grottesche, avendo vincitori che avevano avuto la peggio in 2 dei 3 incontri disputati nella fase a gironi, riuscendo poi ad accedere alle semifinali grazie al quoziente set, se non addirittura grazie ad un plus/minus di game favorevole. Il tutto anche se il giocatore in questione ha perso contro chi poi è costretto a tornare a casa, nonostante non abbia vinto meno partite del più fortunato collega. Questo ha sicuramente il suo fascino, come dimostra il goffo tentativo dell’ex CEO dell’ATP Etienne De Villiers di sperimentare tale format anche nel circuito “normale” all’inizio del 2007. Quasi 10 anni fa, infatti, il dirigente sudafricano impose la propria idea sperimentale per 12-13 tornei, ma i giocatori iniziarono fin da subito a mostrare il proprio malcontento, finché – in occasione del torneo di Las Vegas – l’assurdo regolamento consentì all’allora giovane Evgeny Korolev di passare ai quarti ai danni di James Blake, il quale però riuscì a convincere De Villiers. Lo statunitense, infatti, era avanti 6-1 3-1 contro del Potro, quando l’argentino si ritirò a pochi giochi dalla fine di una partita dall’esito ormai scontato. Tale argomentazione convinse l’ex boss del circuito maschile a promuovere James, sconfessando però la sua innovazione e commettendo così un clamoroso autogol. L’esperimento fu abbandonato poco dopo.

Certamente provare il round robin con un tabellone da 32 giocatori è più complesso rispetto a quanto avviene con il Masters, il quale mantiene anche la sua eccezionalità rispetto al resto dell’annata tennistica. Sono intriganti anche i calcoli per capire chi passerà, chi ha più possibilità di rimanere in gara, quanti set e game servono per fare in modo di non perdere o di non far passare un giocatore piuttosto che un altro. Questo tipo di situazione rende la competizione estremamente particolare e, in qualche modo, ancora più interessante. Tuttavia, in uno sport meritocratico come il tennis, forse questo non è giusto, anzi. Quale potrebbe essere la soluzione migliore e maggiormente rispettosa degli atleti e garante di spettacolo e meritocrazia? L’ipotesi di giocare un torneo al meglio dei 5 set – o anche solo la finale – non appare giusto, soprattutto nei confronti degli attori protagonisti, così come non lo sarebbe riadottare una delle formule del passato che prevedevano il bye per alcuni. La casistica è infinita, ma potrebbe essere interessante far giocare sempre e solo i primi otto del ranking mondiale, ma ad eliminazione diretta. L’idea sarebbe quella di giocare 2 su 3, spalmando i 4 quarti di finale in due giornate diverse. Si partirebbe dal martedì, dando poi rispettivamente due giorni di riposo a chi gioca per primo ed uno per chi scende in campo mercoledì, come succede al Roland Garros. Tra mercoledì e giovedì si disputerebbero i quarti e le semifinali di doppio, in modo da dare a questa specialità ancor più visibilità, creando allo stesso tempo suspense per le Final Four. Il venerdì avrebbe in programma le semifinali del singolare, mentre nei due giorni successivi ci sarebbero le finali: sabato il doppio e domenica il match più atteso di tutti, con tanto di day off per gli ultimi due rimasti in gara. In questo modo i giocatori avrebbero 2 giorni in più per prepararsi per la manifestazione – a livelli massimi, dove la cura per i dettagli fa la differenza, possono essere vitali – e ricaricare maggiormente le batterie dopo Bercy. Inoltre tutti sarebbero estremamente motivati a dare il 110% fin dall’esordio, consapevoli del rischio di uscire anzitempo dal torneo. Ci sarebbe poi la possibilità di concentrare tutti i propri sforzi in 3 incontri piuttosto che in 5, altro dettaglio tutt’altro che trascurabile.

L’ipotesi di cui sopra non ha alcuna pretesa di essere la migliore possibile, fermo restando che – a ben vedere – ogni proposta può avere alcuni limiti. Ciò nonostante, la stessa potrebbe essere una panacea anche per gli organizzatori, che non sarebbero dunque costretti a vendere biglietti per partite “interlocutorie”. E voi? Che formula adottereste per l’ultimo torneo dell’anno?

(un ringraziamento a Raoul Ruberti per la collaborazione)

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