Già tutti in fila al tennis hospital (Semeraro). Nadal si ritira da Brisbane. È la 17ª volta in quindici mesi (Crivelli). Con la pallina oltre le barriere: "Meglio il tennis della politica" (Semeraro)

Rassegna stampa

Già tutti in fila al tennis hospital (Semeraro). Nadal si ritira da Brisbane. È la 17ª volta in quindici mesi (Crivelli). Con la pallina oltre le barriere: “Meglio il tennis della politica” (Semeraro)

La rassegna stampa di giovedì 3 gennaio 2019

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Già tutti in fila al tennis hospital (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

[…] Rafa Nadal, assente dai tornei ufficiali dagli ultimi US Open, dopo aver rinunciato a completare l’esibizione di fine anno ad Abu Dhabi è stato costretto a rinunciare anche al torneo di Brisbane, e Juan Martin Del Potro ha già annunciato che salterà gli Australian Open […] Jo-Wilfried Tsonga, rientrato da numero 239 del mondo dopo una stagione-calvario, ha sintetizzato bene la questione: «Per essere un buon giocatore devi prima di tutto essere un giocatore che scende in campo». Aforisma degno di Boskov, e che sottoscriverebbe anche Andy Murray, il più conciato di tutti, che rischia addirittura di dover salutare definitivamente il circuito. Dopo i trent’anni, si sa, rimettersi dagli acciacchi diventa una faccenda complicata. E dolorosa. «È stata molto lunga, e molto dura», sospirava ad esempio Stan Wawrinka, ieri a Doha. In Qatar lo svizzero sta ricominciando a emettere scintille, ma il suo 2018, dopo la doppia operazione al ginocchio dell’agosto dell’anno precedente, è stato un calvario di ricadute (altri tre mesi fuori fra febbraio e maggio), sconfitte brucianti (contro Fabbiano a Wimbledon) e ferie obbligate. «Dopo Shanghai – scuote la testa – mi sono preso due settimane senza fare niente, riposo assoluto. Non volevo più saperne del dolore». In Qatar per ora ha messo in fila il n.11 del mondo Karen Khachanov e un giovane di belle speranze come il cileno Nicolas Jarry, ma Stan “the Man”, 34 anni a marzo, sa bene che non può dare nulla per scontato. «Sto giocando questi tornei per testare il mio ginocchio, e comunque dovrò fare ancora molta fisioterapia». Nadal a Brisbane ha deciso di dire stop dopo che una risonanza ha mostrato un piccolo stiramento alla coscia sinistra: «È il dolore che ho sentito quattro giorni fa (ad Abu Dhabi; ndr). Non è un infortunio grande, ma può peggiorare se affatico il muscolo. I medici mi hanno consigliato di non giocare, perché rischierei di stare fermo per un mese. È dura, ma conto di essere in forma per gli Australian Open». Il primo Slam dell’anno inizia il 14 gennaio e dovrà fare a meno dell’altro maestro Zen dei recuperi seriali, Juan Martin Del Potro, 30 anni compiuti a settembre, ancora alle prese con la riabilitazione dopo la frattura alla rotula rimediata con la caduta nel Masters 1000 di Shanghai, a ottobre. «Ho ripreso ad allenarmi da un paio di settimane – ha spiegato l’argentino – e le cose stanno andando bene. Conto di rientrare presto, ma sfortunatamente non agli Australian Open». Saluti e baci da Tandil. Chi rischia davvero l’addio, come si diceva, è Andy Murray, che ieri a Brisbane è volato fuori dal torneo al secondo turno per mano di Daniil Medvedev […] Sente male persino a camminare, e si è ormai rassegnato a convivere con il problema per il resto della sua carriera. Sempre che il dolore sia compatibile con l’agonismo ad alto livello: è stato Andy stesso a rivelare che i medici non gliel’hanno assicurato. «Vorresti sempre essere tu decidere quando smettere», ha spiegato il paziente scozzese raccontando delle settimane di riabilitazione passate a Filadelfia. «E non fartelo imporre dalle circostanze. Ogni atleta è abituato a convivere con i malanni, ma questo è molto più serio, mi è costato anche mentalmente farmene una ragione. Lo scorso giugno l’anca mi faceva ancora male, adesso va meglio ma certi colpi (il diritto; ndr) sono più problematici di altri. Ho dovuto cambiare qualcosa nella mia tecnica, e non è facile a questa età. Ma non avevo scelta». Mal comune, povero tennis.


Nadal si ritira da Brisbane. È la 17ª volta in quindici mesi (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Il cemento è un tormento. La statistica è allarmante, ma plasticamente aderente allo stato di salute delle ginocchia e dei muscoli di Nadal, che sul veloce, outdoor o indoor che sia, subiscono sollecitazioni a volte insopportabili, costringendo il 17 volte vincitore di uno Slam a rinunce che sono pugnalate al suo orgoglio e al suo spirito guerriero. Ma i numeri non mentono: dall’ottobre 2017, quando si ritirò senza giocare dal torneo di Basilea, Rafa ha affrontato 18 appuntamenti sulla superficie (comprese le esibizioni in Arabia e Abu Dhabi di fine 2018) e ha portato a termine solo una fatica, a Toronto nello scorso agosto, tra l’altro sollevando il trofeo. Per il resto, 15 ritiri prima ancora di scendere in campo e due abbandoni a torneo in corso. L’ultimo proprio ieri, a Brisbane, il primo dei 16 eventi scelti dal numero due nel 2019 e unico riscaldamento in vista degli Australian Open. Nadal si è arreso un’elongazione muscolare alla coscia sinistra evidenziata anche da una risonanza magnetica, problema che era già emerso la settimana scorsa a Abu Dhabi, dove aveva partecipato alla tradizionale esibizione di fine anno perdendo in semifinale da Kevin Anderson e poi rinunciando alla finalina per il terzo posto: «Sono arrivato a Brisbane e le mie sensazioni non erano negative, anzi va molto meglio rispetto a quattro giorni fa e volevo giocare, ma mi hanno indotto alla prudenza le raccomandazioni dei medici, che hanno detto che l’infortunio può aggravarsi con il rischio di dover poi saltare Melbourne». Lo spagnolo, che avrebbe dovuto affrontare Tsonga, altro illustre lungodegente, dopo il bye al primo turno, lascia il posto al giapponese Daniel: «Il mio obiettivo è di essere felice facendo quello che mi piace, voglio essere competitivo quando ho la possibilità di giocare, ma annate come quella appena passata possono ucciderti mentalmente» […] È tornato invece Andy Murray con la sua anca capricciosa, ma deve ancora mangiare il pane duro di un recupero difficile, visto che dopo il successo inaugurale su Duckworth è stato travolto dal russo Medvedev, Next Gen senza troppi ghirigori ma troppo potente e atletico per il Muzza di questi tempi. È il logorio del tennis moderno.


Con la pallina oltre le barriere: “Meglio il tennis della politica” (Stefano Semeraro, Stampa)

In una epoca in cui la politica non fa che alzare muri, lui srotola campi da tennis sulle frontiere del mondo. «Agli Australian Open parlerò con Rohan Bopanna – dice – il clima politico è migliorato: forse riusciremo finalmente a giocare il nostro match sul confine fra India e Pakistan». Lui si chiama Aisam-UlHaq Qureshi, è nato in Pakistan, di mestiere fa il doppista – è stato anche n. 8 del mondo -, ha ottime volée e un sorriso da George Clooney made in Lahore. Dettaglio non trascurabile: è musulmano e il suo vero avversario sono le barriere. Culturali, politiche, religiose. «Quando nel 2002 decisi di giocare in doppio a Wimbledon con Amir Hadad, un israeliano, dal Pakistan mi spiegarono che mi perdonavano, ma che non mi saltasse in testa di rifarlo». Risultato: Qureshi giocò in doppio con Hadad anche agli Us Open. «Tenni duro perché sapevo di avere ragione», ci racconta a Doha. «Non c’erano altri tennisti pakistani, e poi con Hadad, con Jonny Erlich (altro israeliano, ndr) o con Rohan Bopanna (indiano e induista) ci sono cresciuto: perché non avrei dovuto giocare con loro? I dirigenti vedevano la questione sotto il profilo religioso, io no». L’ha spuntata lui. In Pakistan hanno capito la lezione e Aisam anni dopo è stato premiato come sportivo dell’anno, «il terzo nel mio Paese dopo un campione di squash e Imran Kahn, l’attuale premier, che è stato un campione di cricket. Con il nuovo governo il clima è cambiato, proprio grazie all’iniziativa di alcuni giocatori di cricket dei nostri due paesi è stato aperto anche un nuovo confine con l’India. Lo sport ci insegna a considerarci tutti uguali». La nonna materna di Qureshi, Khawaja Iftikhar Ahmed è stata campionessa All British India di tennis prima che, nel 1947, il Pakistan scegliesse di separarsi, l’ecumenismo sportivo gli scorre nelle vene. Insieme con Bopanna, il suo amico indù, Aisam ha anche raggiunto una finale Slam, agli Us Open del 2010, e fondato una organizzazione benefica, Stop War Start Tennis con cui si occupa di orfani, mutilati, vittime della guerra in generale. «L’anno scorso sono stato in Uganda e Ruanda, grazie all’appoggio di Atp e Itf abbiamo costruito un campo e comprato apparecchi acustici a bambini che sono rimasti sordi. Negli ultimi cinque anni ho aperto dei progetti anche in Sri Lanka, Iraq, Afghanistan. Ora voglio fare qualcosa nel mio paese, l’idea è di donare una ventina di carrozzine a ex militari per fare in modo che possano partecipare alle Paralimpiadi» […] Gli restano due obiettivi: «Vincere uno Slam, spero che il 2019 sia l’anno buono. E giocare in Israele. Questo purtroppo non dipende da me. La federazione israeliana mi ha invitato in passato, ma ho dovuto rifiutare. Fra i nostri paesi non ci sono rapporti diplomatici, non riuscirei neppure a salire sull’aereo» […]

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