Su Giorgi e FIT non faccio politica: il problema non è aver perso in Svizzera

Editoriali del Direttore

Su Giorgi e FIT non faccio politica: il problema non è aver perso in Svizzera

Lo spunto dalle accuse di una lettrice: i successi passati in Fed Cup non sono stati fedele indicatore della salute del movimento femminile. E anche sugli attuali risultati in ambito maschile la federazione ha poco di cui vantarsi

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Camila Giorgi - Australian Open 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

In risposta a @elisa, che aveva scritto a margine di un audio da lei non ascoltato, e di un testo didascalico invece letto con approssimazione, quanto segue: “Interessante: per anni l’Italia di Fed Cup vinceva e della Fed Cup non importava niente a nessuno. Ora in Fed Cup si perde ed è colpa della FIT. Vi piace vincere facile, insomma. Se un tennista italiano va forte la FIT non ha meriti perché quel tennista si è fatto da solo. Se invece fa schifo allora è colpa della FIT. Questa guerra vi sta un po’ scappando di mano. Quando si portano avanti battaglie ideologiche ogni tanto ci vorrebbe anche un po’ di coerenza altrimenti non si è più attendibili. La Giorgi è stata a lungo in polemica con la FIT, allora si che era forte. Ora che ci si è riappacificata dietrofront, la Giorgi delude. More of that jazz…”.

Cara Elisa, ti prego di ascoltare cortesemente l’audio che ho registrato – seppur lungo , capisco che non tutti avessero voglia e tempo di ascoltarselo – se non ricordi quel che ho scritto mille volte in passato. La Fed Cup, come la Davis, non riflettono la profondità di un movimento tennistico. La continuità dei risultati di più giocatori e giocatrici negli Slam e il ranking invece sì.

Le quattro tenniste che sono diventate top-ten e hanno conquistato risultati eccellenti, per non dire straordinari se comparati a quelli degli uomini italiani e comunque in assoluto, hanno anche vinto diverse Fed Cup, ma a mio avviso i trionfi in Fed Cup non valevano come importanza quanto gli altri risultati, se non per il fatto che acclaravano l’omogeneità di una squadra fatta da grandi individualità. Al cui cospetto, in diverse occasioni, si presentavano come avversarie squadre “zoppe”, prive delle migliori. Basti vedere tante finali vinte contro belghe senza Clijsters, americane senza le Williams e altre, russe senza le prime 10 del ranking. Non ne avevamo certo colpa noi Italia, ma erano – spesso, anche se non sempre, perché lungo il percorso vittorioso talvolta abbiamo superato la Francia di Mauresmo, la Russia di Kuznetsova… – risultati da celebrare in modo equilibrato, ben diverso (per intendersi) da come meritavano di essere celebrati i trionfi di Schiavone al Roland Garros e di Pennetta all’US Open.

Gridare ai quattro venti “Siamo campioni del mondo!” era giusto farlo sul momento, sulle ali dell’entusiasmo, ma poi era anche giusto tornare con i piedi per terra e valutare in maniera oggettiva quei risultati di Fed Cup. Senza esagerare in trionfalismi, anche abbastanza ipocriti se – per salire sul carro dei vincitori – si proclamava il successo della “scuola italiana”, pur sapendo che quasi tutte le ragazze protagoniste di tanti successi, individuali e di squadra, avevano optato per allenarsi all’estero, con coach che non avevano nulla a che fare con la Federazione Italiana Tennis.

Non è colpa della FIT se le ragazze perdono in Svizzera, né per come perdono. Cioè male. Mai detto e pensato questo, Elisa. È colpa invece della FIT degli anni Ottanta se a seguito di un boom del tennis strettamente collegato ai successi di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli – quelli sì tutti, in particolare i primi tre, “prodotti” del centro sportivo federale di Formia e del d.t. Mario Belardinell, quindi legittimamente da considerarsi prodotti FIT – non si è stati managerialmente capaci di dargli un seguitoNon si è saputo investire in competenze tecniche adeguate – Riccardo Piatti è, con Alberto Castellani, Claudio Pistolesi e pochissimi altri, uno di quei coach usciti da quella generazione, ma che anziché essere aiutati dal sistema federale si sono trovati spesso a combatterlo da coach privati che venivano considerati “rivali” e competitor. Né più né meno di come in tempi più recenti sono stati considerati rivali e competitor in una logica commerciale – che non dovrebbe istituzionalmente essere prerogativa di una federazione sportiva – diversi giornalisti e direttori di riviste costretti a smettere di lavorare o a chiudere in quanto autonomi, indipendenti e semplicemente non allineati.

Tornando “ab ovo”, così come rimprovero la FIT degli Anni Ottanta di non aver saputo gestire minimamente né il durante né il dopo Epoca d’Oro del Tennis Maschile Italiano degli Anni Settanta/inizio Ottanta, così rimprovero alla FIT che governa il tennis dal 2000, di non aver saputo organizzarsi nei 15 anni degli exploit compiuti dalla capofila Schiavone e dalle altre ragazze (ma direi già da Farina… perché arrivare a essere n.11 del mondo per me non vale meno di essere n.7… e semmai dovrebbe essere valutata maggiormente una prolungata permanenza ad alti livelli); ritengo che si poteva e doveva fare molto meglio… che non ritrovarsi senza nessuna ragazza fra le prime 150 del mondo per chissà quanti anni. Gli operati gestionali di una dirigenza si giudicano dai risultati che questa ottiene.

Sotto il profilo tecnico abbiamo avuto 15 anni di semi-vuoto a livello maschile, visto che da Tirrenia non è uscito un solo top-100 in tre lustri di attività. Fognini è frutto molto più dei sacrifici economici del padre che della FIT, se qualcuno è in grado di rileggersi la sua storia. Seppi molto più del suo fido coach Sartori che di un movimento, di Lorenzi non parliamo nemmeno, Bolelli a un certo punto proprio quando stava salendo in classifica ai suoi migliori livelli è stato più ostacolato che aiutato come qualcuno forse ricorderà. E mentre le donne ci davano lustro e prestigio, che cosa si è fatto per assicurare al tennis italiano un futuro una volta che questi avessero smesso per limiti anagrafici? Eppure i mezzi finanziari non sono mancati. A Binaghi e soci va riconosciuto un merito non indifferente (soprattutto se rapportato ad altre federazioni… che però, a loro discolpa, non potevano disporre della gallina delle uova d’oro costituito da un torneo quale gli Internazionali d’Italia), e cioè quello di aver sviluppato in positivo i conti economici. Oggi, anche se ci saranno certo i Club che lamentano i pochi servizi ricevuti, la FIT è una federazione ricca.

Ho sempre sostenuto che la priorità assoluta e istituzionale di una federazione debba essere quella di sviluppare il movimento tennistico giovanile e quello tecnico (coach di livello e non “politici”, centri di allenamento, rapporti stretti con i circoli leader per favorire la crescita in loco dei ragazzini più promettenti) con obiettivo primario quello di accompagnare all’allargamento della base dei tennisti una crescita tecnica che possa portare, dopo 40 anni di stasi e recessione, finalmente a qualche top-player. Per top-player non intendo un top-5 , ma almeno nei pressi. Oppure anche quattro o cinque top-25 insieme.

Oggettivamente l’aver cominciato a collaborare con i coach privati sta cominciando a dare buoni frutti (vedi Berrettini…), ma se andaste a rileggere quel che scrivevo 20 anni fa, capireste che c’è voluto troppo tempo! Idem investire su coach di provate capacità, esperienze e impegno. A oggi anche se leggo che, Cicero pro domo sua, si vuole spacciare la situazione del tennis italiano come brillante anche a livello tecnico, sebbene fra le donne ci sia il vuoto assoluto e fra gli uomini i migliori siano ancora due uomini di 31 e 34 anni (Fognini e Seppi che, ripeto, si sono fatti più da soli che altro, di certo non sono stati prodotti di una scuola), più un tennista di 26, Cecchinato, e Berrettini che non possono dirsi “prodotti” di Tirrenia, secondo me non c’è granché di cui vantarsi.

Supertennis è stato uno strumento (peraltro dispendiosissimo, ormai parecchie decine di milioni e quindi molto superiore ad ogni previsione e senza mai aver raggiunto quel break even che era stato annunciato alla sua istituzione dover avvenire in tre anni) utilissimo a far vedere tennis che altrimenti non avremmo visto altro che a pagamento e quindi certamente a promuovere tennis. È servito anche ad altri scopi primari mai dichiarati: magnificare i meriti della FIT, ingraziarsi i circoli amici per vari scopi elettorali e non, fare p.r. con dirigenti di altre federazioni e Coni, aprire spazi a collaborazioni di vario tipo. Alla gente comune interessa goderne e non sapere se sia costato troppo o poco, se sarebbe stato più o meno importante destinare parte di quei fondi a una crescita tecnica che è stata a mio avviso trascurata.

Io resto dell’idea che nessun traino avrebbe avuto maggior successo che quello della creazione delle migliori premesse possibili all’avvento di un campione. Non si può continuare a credere che il campione lo manda soltanto il Padreterno, anche se qualche volta è così. Bisogna crearne le premesse e per 20 anni le premesse sono state trascuratissime. Tutto qua, cara Elisa, io la penso così. E non ho mire politiche. Non aspiro ad altro che quello di poter scrivere più spesso di quanto sia accaduto negli ultimi 20 anni di un giocatore che, come Cecchinato a Parigi, arrivi almeno alle semifinali di uno Slam, qui o là. Anche se a oggi Cecchinato non ha saputo o potuto ripetersi, quella sua settimana a Parigi ha avvicinato al tennis molte più persone che mesi di trasmissioni (benvenute per carità) di Supertennis. Se ci fosse non una settimana, ma quattro o cinque l’anno grazie ad altrettanti exploit, ecco che il tennis farebbe quel balzo di popolarità che io auspico, quello sì. Come davvero prioritario, mia cara Elisa.

Post scriptum: su Giorgi nessun dietrofront… politico, quale quello cui tu Elisa alludi. Come ha scritto in un commento un altro lettore in calce allo stesso articolo, è vero che veder giocare Camila contro Pliskova mi aveva per l’ennesima volta entusiasmato per certe, ripetute splendide azioni di gioco. Nei primi due set, perché nel terzo purtroppo gli errori erano stati più dei vincenti. Però è la delusione per come Camila interpreta certe fasi decisive di una partita – e nell’audio, che non hai evidentemente ascoltato, ho citato quelle quattro risposte cacciate al vento e di metri, del tutto dissennatamente, sul 5-4 per Bencic al servizio dallo 0-15 in poi – che mi ha fatto disperare sulla sua possibilità di crescere, di cambiare. Non ha 28 anni ma 27, però dopo una dozzina di anni che gioca in quel modo, certi aggiustamenti tattici (in particolare al servizio) li ha fatti ma non abbastanza.

Non esiste non cercare di pensare che la tua avversaria che serve per il match sul 5-4 0-15 non possa essere un po’ nervosa e convenga quindi tastare quanto lo sia, metterla alla prova, misurare il suo stato di nervosismo facendole giocare qualche colpo, invece di sparacchiare “alla viva il parroco” quattro bombarde in risposta a dei buoni servizi con scarse possibilità che le restino dentro. L’ho trovato così deprimente che, a caldo, mi sono quasi pentito dei tanti elogi spesi in occasione del match con Pliskova. Ma, credimi, i pregiudizi politici di cui mi accusi, e cioè se Giorgi è in lite con la FIT è brava e se invece ci si mette d’accordo è scarsa, non c’entrano proprio per nulla, non hanno alcun senso. Sono, a mio avviso, semplicemente un segno di disistima nei miei confronti. Che spero non sia condiviso, chissà forse i lettori in calce a questo articolo saranno così gentili da significarmelo, così come non mi illudo granché sul fatto che cambierai idea. I pregiudizi sono difficili da abbattere. E mi sembra che tu mi abbia dimostrato con quel tuo commento di averne.

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