La Coppa Davis d'aprile che resiste

Rubriche

La Coppa Davis d’aprile che resiste

C’è uno zimbabwese (bianco!) di due metri che batté Copil e la Thailandia capitanata da un tizio che una volta battè Haas, tanti anni fa

Pubblicato

il

Danai Udomchoke (via Twitter, @DavisCup)
 

Ad eccezione di challenger e tornei ITF, che praticamente non si fermano mai per undici mesi, la 14esima settimana del circuito maschile si ritrova quest’anno sguarnita di incontri di medio-alto livello in virtù della riforma che ha cancellato i turni intermedi (quarti e semifinali) della Coppa Davis rimandando ogni verdetto alle finali di Madrid, in programma dal 18 novembre.

Ma la Davis d’aprile non è del tutto scomparsa, anche in assenza di partite del World Group e dei raggruppamenti zonali I, III e IV, le cui squadre si sfideranno a settembre. In questo week-end sono in programma quattro sfide del Group II, precisamente due dell’area europeo-africana (Romania-Zimbabwe e Marocco-Lituania), una dell’area americana (El Salvador-Perù) e una di quella asiatica (Thailandia-Filippine). Nel group II ci sono 24 nazionali, impegnate quindi in 12 confronti diretti, che hanno potuto scegliere se disputare gli incontri ad aprile o a settembre; le altre otto sfide si disputeranno appunto tra il 13 e il 15 settembre.

FIGURACCIA COPIL – Quattro sfide, otto squadre, sedici singolaristi: solo undici di questi hanno classifica, e di questi undici appena due sono compresi in top 100. Sono gli eroici Berankis e Copil, sebbene quest’ultimo sia riuscito nella non semplicissima impresa di perdere in due set contro Lock Benjamin, 26enne zimbabwese di oltre due metri che occupa la posizione 546 del ranking e ha una caratteristica piuttosto anomala per essere nato in un paese abitato per il 99% da persone di etnia africana: è bianchissimo. Nonostante confini con il Sudafrica, paese in cui l’etnia caucasica è presente nell’ordine dell’8% della popolazione, lo Zimbabwe è infatti appena quart’ultimo tra i paesi africani che ospitano una minoranza bianca significativa (in Angola ce ne sono dieci volte di più, per capirci). Lock risiede oggi negli Stati Uniti, in Tennessee, ma è facile identificare la sua discendenza dagli abitanti dell’antica Rhodesia Meridionale, colonia britannica istituita un secolo fa che corrisponde proprio all’attuale Zimbabwe.

Si tratta della 20esima vittoria in coppa Davis per Lock, ovviamente la prima contro un top 100; in carriera ne aveva affrontati solo altri due, Sandgren nel challenger di Las Vegas del 2017 e Dzumhur in un match di Davis del 2015, senza vincere mai un set.

Benjamin Lock (via Twitter, @DavisCup)

Destino ondivago quello di certi tennisti, si potrebbe pensare in relazione al fatto che Copil appena cinque mesi fa contendeva a Federer il trofeo di Basilea. Perlomeno Berankis ha fatto il suo dovere battendo il marocchino Moundir, rigorosamente sprovvisto di ranking ATP; eppure per la sua Lituania la pratica è ancora tutta da risolvere se è vero che Lamine Ouahab ha demolito Grigelis (6-2 6-0) sui campi di Marrakech che tra pochi giorni ospiteranno un ATP 250. Lo stesso torneo che dodici mesi fa aveva fatto impazzire di gioia Ouahab per avergli consentito di battere Kohlschreiber, e che quest’anno ha saputo essere tanto crudele da preferire il trittico Zverev-Fognini-Tsonga all’idolo di casa.

Le due sfide europee sono quindi ferme sull’1-1 e saranno i doppi e gli ultimi due singolari a deciderne le sorti, mentre sul greenset del Complejo Polideportivo de Cuidad Merliot di Santa Tecla (El Salvador) si gioca a sprazzi per via della pioggia. Resta da raccontare la storia dell’unica sfida asiatica in programma, quella tra Thailandia e Filippine che vede i padroni di casa in vantaggio per 2-0 dopo la prima giornata. Sul duro di Nonthaburi è la prima da capitano per Danai Udomchoke, 37enne ex tennista che vanta il miglior record della storia thailandese in Davis (44 vittorie e 22 sconfitte) e assieme a Paradorn Srichapan (ex n.9 del mondo) ha saputo portare quattro volte la sua nazionale ai play-off per accedere al World Group.

La Thailandia non è mai riuscita a superare l’ostacolo, ma in occasione dell’ultimo tentativo del settembre 2006 Udomchoke si tolse la soddisfazione di battere l’allora numero 14 del mondo Tommy Haas in cinque set nel primo incontro del play-off contro la Germania. Una vittoria storica che galvanizzò Srichapan al punto da proiettarlo a un solo set dal punto del 2-0, prima che Florian Mayer completasse la rimonta in quella partita e la Germania nell’intero tie: un 4-1 forgiato nella solita spietatezza sportiva tedesca.

Oggi Udomchoke guida un team composto dagli esperti gemelli doppisti Ratiwatana e dai singolaristi Palaphoom Kovapitukted (eh?) e Wishaya Trongcharoenchaikul (probabilmente il tennista con il cognome più lungo in top 500). Tornando a Notnthaburi, Udomchoke evoca il dolce ricordo della vittoria (ça va sans dire, in una sfida di Davis del marzo 2009 e ancora in cinque set) ai danni di uno Hewitt ancora convalescente dopo l’operazione all’anca, mentre affrontando le Filippine ritrova la nazionale contro cui ha esordito in Davis appena 16enne, sulla terra di Manila nell’aprile 1998.

Fu veramente difficile, sentivo tanta pressione” ha raccontato a Michael Beattie sulle pagine del sito ufficiale della Davis. Ricordo il mio primo set: non ero in grado di muovermi e lo perdemmo 6-1“. Sì, perché Udomchoke era in campo assieme a Vittaya Samrej e si trattava di un doppio. “Il mio partner, che aveva molta esperienza in Davis, è riuscito a riportarmi in partita ed è così che vincemmo. Per fortuna il mio esordio in Coppa Davis è stato in doppio: in singolare non credo proprio che avrei rimontato!“.

Probabilmente la Thailandia otterrà il punto decisivo per battere i filippini già in doppio (Sanchai e Sonchat, 37 anni, sono ancora onesti top 200 di categoria) e capitan Udomchoke potrà scegliere di far esordire Kasidit Samrej, figlio di quel Vittaya che lo trascinò alla vittoria a Manila. Anche se per il momento, con tutta la serietà che si conviene a una dichiarazione rilasciata a vittoria non ancora acquisita, non è intenzionato a riservargli un trattamento di favore: “Samrej (18 anni, ndr) ha ancora bisogno di fare esperienza prima di giocare sotto la nostra bandiera, ma sarà molto pericoloso e spero che un giorno possa diventare un giocatore forte per rappresentare la nazionale“.

Storie minuscole, quasi impercettibili, che le condivisibili ragioni del dio danaro contribuiranno a rendere ancora più piccole e forse a far sparire del tutto. Finché ci sono però, e noi ci siamo, le raccontiamo.

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement