Matteo, domani è un altro giorno. Falla docet

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Matteo, domani è un altro giorno. Falla docet

Matteo Berrettini non era la reincarnazione tennistica di Laver dopo la vittoria di Stoccarda e la semifinale ad Halle e non è neppure un giocatore destinato a tornare nell’ombra dopo la sconfitta di Wimbledon

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Matteo Berrettini - Wimbledon 2019 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

Sono state dette e scritte molte cose a proposito dell’ottavo di finale disputato a Wimbledon tra Berrettini e Federer e vinto da quest’ultimo con il severo punteggio di 6-1 6-2 6-2 in poco più di un’ora. Adesso che la ‘lezione’, come lo stesso Matteo l’ha ironicamente chiamata a fine match, è stata ampiamente assorbita, è tempo di trarne i giusti insegnamenti. Tanto più che a Berrettini non mancherà il tempo per farlo, suo malgrado; è notizia di questo pomeriggio che dovrà saltare il torneo di Gstaad, di cui è campione in carica, a causa di una distorsione alla caviglia destra. Questo stop – Matteo proverà a recuperare per Montreal – dovrebbe costargli quattro posizioni in classifica e farlo scendere in 24esima.

Facciamo quindi un passo indietro, anzi dieci (tanti quanti i giorni trascorsi dalla sfida). Tra le tante scritte prima del match la palma della più sbalorditiva spetta di sicuro all’editoriale del nostro Direttore che ha inequivocabilmente dimostrato che Nostradamus al suo confronto era un dilettante. Se non fosse per un provvidenziale avverbio di negazione inserito tra il sostantivo “Matteo” e il verbo “prenderà”, il sopra citato editoriale potrebbe diventare oggetto di approfondimenti da parte della Tennis Integrity Unit.

Dopo l’incontro la tribù italiana della rete si è poi divisa tra innocentisti (‘povero Matteo, ci sta a farsi prendere dall’emozione a Wimbledon contro il Re’) e colpevolisti (‘un top 20 non può rimediare una figuraccia simile indipendentemente da dove si trova  e da chi affronta’).

Con questo articolo è nostra intenzione dare un piccolo contributo alla causa degli innocentisti raccontando una storia (vera). È quella di un giocatore al quale nelle ultime due settimane devono essere fischiate spesso le orecchie tante sono le volte in cui il suo nome è stato menzionato: Alejandro Falla.

Falla è un mancino colombiano ritiratosi dalle competizioni all’inizio del 2018. Il sito dell’ ATP ci informa che iniziò a giocare all’età di sei anni; il suo colpo migliore era il rovescio e nel 2012 giunse fino alla 48esima posizione nel ranking. Fu il secondo giocatore colombiano a entrare in top 100 nell’era open dopo Mauricio Hadad.

Dopo una brillante carriera tra gli juniores, Alejandro nel 2000 debuttò tra i professionisti e nel 2004 a 20 anni di età realizzò il sogno di tutti i bambini (e non solo loro) che iniziano a praticare il tennis: disputare il singolare a Wimbledon.Dopo avere superato le qualificazioni (la posizione n. 135 non gli permetteva l’ingresso diretto nel tabellone) e avere brillantemente sconfitto all’esordio l’austriaco Julian Knowle, il 24 giugno al secondo turno Falla si trovò sul Central Court di fronte a Roger Federer, campione in carica e numero uno del mondo. Il match per il colombiano ebbe esiti catastrofici: Federer lo annichilì con il punteggio di 6-1 6-2 6-0 in 54 minuti.

La durata di quel match costituisce ancora oggi un record per lo svizzero in un torneo dello Slam. Venti minuti in meno di quelli concessi a Berrettini; quattro meno di quanti ne abbia impiegati pochi giorni prima Tsonga per liquidare lo svogliatissimo e multatissimo Tomic.

Le cronache dell’epoca non dicono se anche Falla alla stretta finale di mano quel giorno trovò la prontezza di spirito per chiedere a Federer quanto gli dovesse per la lezione ricevuta, ma i fatti dimostrano che la sconfitta non lo scoraggiò.Circa un anno dopo raggiunse la top 100 e, una volta raggiuntala, vi rimase abbastanza a lungo da consentirgli di ritirarsi con oltre 3 milioni di dollari guadagnati in soli premi.

Ai fini della nostra storia, però, interessa soprattutto rendere conto ai lettori di come Falla gestì l’opportunità offertagli dal destino di lavare l’onta subita in quel pomeriggio estivo londinese del 2004. Opportunità che gli si presentò sei anni dopo sul medesimo campo e contro lo stesso avversario.

Il 21 giugno 2010 Federer come da tradizione inaugurava i Championships in qualità di campione in carica e dall’altra parte della rete ad attenderlo c’era infatti proprio lui: Alejandro Falla. Quel giorno il colombiano fece tutto ciò che era nelle sue umane possibilità per mostrarsi degno del regalo ricevuto dalla sorte. Davanti a un pubblico e un avversario la cui incredulità andava crescendo di pari passo con il dipanarsi della partita, Falla costrinse Federer ad una battaglia che durò oltre tre ore di gioco.

Il nativo di Calì conquistò i primi due set, perse il terzo e al quarto si conquistò il diritto di servire per la vittoria e per la storia sul punteggio di 5-4. In quel momento decisivo il coraggio gli venne meno. Perse a 30 quel turno di servizio e il parziale al tie-break. Il quinto set fu per lui una via crucis lastricata di rimpianti e crudelmente vinta da Federer con il punteggio di 6-0.

Nonostante l’epilogo nessun appassionato potrà comunque mai dimenticare ciò che Falla seppe fare quel giorno in campo. Per la cronaca i due si affrontarono in seguito altre due volte sull’erba: nel torneo olimpico londinese del 2012 e nella finale di Halle nel 2014. In entrambe le circostanze la vittoria sorrise a Federer ma a costo di non poche sofferenze, a dimostrazione del fatto che la classe operaia raramente va in Paradiso, ma quando vuole sa assestare cazzotti pesanti.

Se da questa vicenda si può imparare qualche cosa è che esprimere giudizi troppo netti su un giocatore giovane alla luce di un singolo episodio è incauto. Matteo Berrettini non era la reincarnazione tennistica di Laver dopo la vittoria di Stoccarda e la semifinale ad Halle e non è neppure un giocatore destinato a tornare nell’ombra dopo questa sconfitta.

Nel corso della conferenza stampa successiva alla sconfitta, l’allievo di Santopadre ha dichiarato che questa partita gli servirà per crescere e lo stesso concetto è stato ribadito dal suo team. Non ci sembra esistano ragionevoli motivi per non crederci.

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