A 23 anni senza genitori: Laslo Djere racconta la sua storia

Interviste

A 23 anni senza genitori: Laslo Djere racconta la sua storia

Djere, sconfitto sabato nella semifinale di Umago da Balazs, parla dei terribili momenti vissuti dopo la perdita di entrambi i genitori. “Sento la responsabilità di condividere la mia storia. Voglio usare bene il mio tempo a mia disposizione e renderli orgogliosi”

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Laslo Djere - Budapest 2019 (foto via Twitter, @HUNgarianTENNIS)
 

Spesso le lacrime di un tennista al momento della premiazione e le poche parole dette davanti al pubblico presente, non sono sufficienti per raccontare appieno il percorso che lo ha portato fin lì. E questo è proprio il caso di Laslo Djere (32esimo giocatore della classifica mondiale e semifinalista questa settimana a Umago), vincitore a febbraio a Rio de Janeiro del primo e per il momento unico della carriera, con dedica speciale ai genitori entrambi morti per cancro. L’ATP si è rivolta a lui per aggiungere un altro capitolo alla rubrica My Point, che in precedenza ha dato spazio alle storie di Karlovic, Kuerten, Tsitsipas e altri. Il 23enne serbo ha ripercorso la sua carriera dagli inizi, ma si è soffermato molto anche sull’aspetto mentale. “Dovresti essere calmo e fiducioso prima del più grande momento della tua vita, giusto? Io non lo ero. Ero un fascio di nervi. Non ero nervoso per via dei dubbi – pensavo di poter vincere il mio primo titolo ATP. Ma quando sono arrivato sul centrale di Rio, con il sole splendente e i tifosi che mi applaudivano, la mia mente era ovunque”.

“LORO ERANO LÌ”Cosa staranno pensando i miei genitori? Cosa mi avrebbero detto? Mio padre, l’uomo che era stato con me in ogni fase della mia carriera, sarebbe stato contento? Non importava quanto io cercassi di concentrarmi sul presente, non riuscivo a focalizzarmi completamente sulla partita”. Erano questi i pensieri di Djere prima della finale di Rio contro Auger-Aliassime. Ma il lavoro svolto con il mental coach – una figura sempre più richiesta dagli sportivi – ha pagato. “Se mi sento distratto, mi dico una parola chiave o passo attraverso una routine che mi riporta al presente. Se provo paura, cerco di scoprire perché mi sento così. Di solito mi sento spaventato o preoccupato perché non sono nel momento presente – sto pensando a quali potrebbero essere le conseguenze di una sconfitta. Ma in quel preciso momento io sapevo, anche se i miei genitori non erano nello stadio quella sera, che mi stavano guardando“.

GLI INIZI CON PAPÀ – Il padre di Djere, anche se mai ufficialmente, ha svolto per lungo tempo il ruolo di coach per il figlio: “Amava il calcio e ha giocato per il club locale di Senta, la mia città natale in Serbia. Ma quando avevo cinque anni la sua passione per il tennis gli fece venire voglia di imparare a giocare. Mio padre aveva visto giocare gli idoli della mia prima infanzia – Sampras, Agassi e Ivanisevic – ed era diventato un grande fan”. Il processo di crescita tennistica dunque, è stato vissuto da entrambi parallelamente, passo dopo passo: Il giorno in cui ha iniziato a imparare, l’ho fatto anche io“.

E i risultati, seppur limitati nei Balcani, sono arrivati nel giro di pochi anni. “Almeno tre weekend al mese attraversavamo la Serbia: Belgrado, Novi Sad, Pančevo, Kraljevo, Subotica e Kikinda. Mio padre guidava e io dormivo sui sedili posteriori. Restavamo sabato, domenica e se raggiungevo la finale, lunedì. Quando sei un bambino che ‘inizia’ uno sport le vittorie significano più di quanto dovrebbero e le sconfitte fanno più male di quanto tu possa immaginare. Ma mio padre ha sempre cercato di mantenermi in equilibrio: mi consolava quando perdevo e mi incoraggiava quando vincevo”.

PRIMA LA MORTE DELLA MADRE… – La vita del giovane Laslo comunque non è fatta di solo tennis. La cucina è infatti una sua grande passione: “Ricordo che quando ero piccolo andavo a visitare mia nonna materna e lei stava sempre impastando qualcosa. A me e mia sorella Judit dava un pezzo di impasto e noi ci giocavamo come fosse pongo, piegandolo e tagliandolo senza mangiarlo. All’epoca non lo sapevo ma è stato lì che è nata la mia passione culinaria”. Tuttavia, mentre la carriera tennistica procedeva senza intoppi, arrivarono le prime difficoltà a livello familiare.Ho scoperto che mia madre, Hajnalka, aveva il cancro: è iniziato nel colon e quando gli fu diagnosticato nel novembre 2010 il cancro era già metastatico. Diciassette mesi dopo lei morì, aveva 44 anni. Io ne avevo 16 e non avevo una mamma“. Questo evento ha inevitabilmente rafforzato i legami con il padre e soprattutto con la sorella, prima che un altro tremendo lutto tornasse a colpirlo.

… POI QUELLA DEL PADRE – “Nel 2017 stavo vivendo l’anno migliore della mia carriera. La nostra nuova famiglia composta da tre persone – mio padre, mia sorella ed io – era riuscita a riprendersi dalla scomparsa di mia madre, e in campo non avevo mai giocato meglio. Avevo fatto cinque finali Challenger e ne avevo vinta una, per la prima volta ero pronto a finire l’anno nella top 100. Mio padre mi aiutava dal punto di vista logistico, decidevamo insieme quali tornei disputare e veniva a vedere molte delle mie partite. Alla fine della stagione 2017 persi nelle qualificazioni di Bercy e tornai a casa per l’off-season, un periodo di rilassamento prima di un allenamento pesante. Ero così grato di poter passare del tempo con mia sorella e mio padre. Ma dopo alcuni giorni abbiamo appreso che tutto stava cambiando di nuovo. Mio padre aveva il cancro. Cancro al colon, lo stesso di mia madre.

Terribili pensieri tornarono di nuovo nella mia testa: perché mi sta succedendo questo? Perché le cose stanno andando così? Come se perdere un genitore non fosse abbastanza. Il dolore è rimasto con me per settimane, mesi. Non se ne va mai completamente, ad essere onesti. Ma, questa volta, ho anche sentito qualcosa di diverso. Ho sentito una grande responsabilità nei confronti di mia sorella e mio padre. Lui era il capofamiglia e io dovevo prendere il suo posto, quindi dovevo essere forte. Dovevo essere lì per loro. Mio padre passò attraverso la radioterapia e la chemioterapia. Niente funzionò. Morì nel dicembre 2018. Aveva 55 anni. Ed eccomi qui, a 23 anni, senza genitori“.

UNA STORIA DA CONDIVIDERE – Due mesi dopo il serbo era sulla terra sudamericana a giocarsi il titolo contro Aliassime. Anche se si è trattato di un solo torneo, un ATP 500, per Djere ha rappresentato molto di più, è stato “un sollievo”. Non avevo intenzione di menzionare i miei genitori durante la cerimonia, ma sentivo la responsabilità di condividere la mia storia. Mi sentivo abbastanza forte da superare la loro morte e spero di poter essere un esempio per tutte le persone che stanno attraversando momenti difficili. Le reazioni sono state sorprendenti: Djokovic ha espresso il suo supporto su Twitter – così mi hanno detto – e Kyrgios, la prima volta che mi ha visto a Indian Wells, è apparso dietro di me e mi ha dato un grosso abbraccio. Per tutto quello che ho vissuto, certe volte mi sembra di avere 50 anni, ma so di non essere la persona più sfortunata della terra“.

LA LEZIONE DI LASLO – Perché tutto ciò può anche fungere da stimolo, come nel suo caso. Non resteremo qui per sempre, nessuno di noi, e io voglio usare il tempo in modo positivo e fare tutto il bene che posso. Vedrò di nuovo i miei genitori, ma mentre sono qui voglio solo assicurarmi di dare tutto ciò che posso e renderli orgogliosi”.

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