Sinner? Solo questione di tempo. Una Williams 'acida' domina Sharapova. Ital-exit

Editoriali del Direttore

Sinner? Solo questione di tempo. Una Williams ‘acida’ domina Sharapova. Ital-exit

NEW YORK – Ne perdiamo quattro su cinque: si salva solo Lorenzi. Fabio male, ma bravo a non cercare alibi. I big non soffrono (Roger solo un pochino)

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da New York, il direttore

Tre anni fa Stan Wawrinka vinceva l’US Open. In quella settimana Jannik Sinner giocava il primo main draw della carriera in un torneo junior (grade 4) in Slovenia e usciva al secondo turno con uno sconosciuto canadese (Nazar Achour).

Piuttosto ammosciati nello spirito soprattutto per la sconfitta di Fabio Fognini con il gigante del Michigan Reilly Opelka, seppur non del tutto imprevista per via delle condizioni fisiche imperfette di Fabio (la caviglia che prima o poi dovrà essere operata) e per la terza batosta consecutiva patita da Camila Giorgi con la greca Sakkari (dieci game in tre partite sono davvero pochi, anche se per il solo gioco conquistato questo lunedì c’è l’alibi delle maratone sofferte nel Bronx), ci sono bastate le tre ore scarse del duello fra Wawrinka e Sinner per ritirarsi su di morale.

Non mi sono illuso sull’ipotesi che il Pel di Carota altoatesino potesse farcela, anche se una delle due palle break mancate sul 3-3 nel quarto set poteva avere un esito diverso e magari influenzare diversamente il trend della partita, però vederlo scambiare alla pari con un campione dal tennis possente come Wawrinka mi ha vieppiù persuaso delle sue qualità, delle sue prospettive.

È solo questione di tempo. Nemmeno tanto. Sinner è già molto buono oggi, è decisamente sulla strada maestra per irrompere fra i primi 100 già entro la fine di quest’anno. Mi stupirebbe il contrario, anche se è vero che un conto è giocare una partita contro un campione nei cui confronti non si ha nulla da perdere e un altro è vincere le sfide con i giocatori che ti stanno appena sopra in classifica.

Per ora gli manca quel tipo di esperienza che consente di vincere i punti importanti: ha avuto quattordici palle break, ne ha trasformate quattro, il 29%. Mentre Wawrinka ne ha convertite 5 su 10, il 50%. Una bella differenza. Ma l’esperienza conterà pure per qualcosa. Quando l’ho fatto presente a Wawrinka, il quale sul campo mentre Jannik stava uscendo dall’Armstrong Stadium si era lasciato andare a un applauso non dovuto, certo di stima e quindi sicuramente apprezzabile da parte di un campione di tre Slam, Stan ha replicato con un sorriso: “Beh, anch’io di palle break ne ho mancate diverse!” Però poi ha aggiunto: “Sapevo che Sinner era un buon giocatore, l’avevo visto giocare un po’ e conoscevo i suoi risultati. È aggressivo, i suoi colpi sono molto pesanti”.

Ci sono stati alti e bassi, tutti e due erano un po’ tesi all’inizio, però ci sono stati anche momenti di ottimo tennis, di grande livello. Fate che Sinner, all’esordio in uno Slam, al suo primi tre set su cinque, al suo primo avversario campione di Slam, ci si abitui un po’ e vedrete.

Ho servito meglio nel primo set che non negli altri” ha detto lucidamente il ragazzo che non sembra patire troppo le emozioni e che alla fine dava quasi l’impressione di essere arrabbiato con se stesso per non aver vinto il match: “Potevo vincere il primo, il secondo e il quarto set…” dichiarazione che trascritta così potrebbe sembrare presuntuosa…ma se lui avesse detto invece “ho avuto qualche opportunità anche nei set che ho perduto” sarebbe stata più che condivisibile. Attenzione, non si può spaccare il capello in quattro, misurare le dichiarazioni di un ragazzo di 18 anni, come se ne avesse 25. In fondo che Jannik avesse in cuor suo la sensazione di trovarsi a giocare una partita alla sua portata è un atteggiamento positivo. L’eccessiva umiltà nello sport non paga. L’ambizione e anche un po’ di presunzione sono lati positivi, direi promettenti, per un giovane atleta.

A me è piaciuto molto e, anzi, mi è dispiaciuto di averlo potuto seguire più sullo schermo in sala stampa che sul campo, perché contemporaneamente si giocava sull’Ashe Stadium il match che era stato presentato come il clou della giornata.

E che è stato invece abbastanza deludente, perché Serena ha spazzato via per la ventesima volta in 22 episodi, Maria Sharapova ancora lontana dalla sua miglior condizione, fisica e mentale. Riccardo Piatti non poteva fare il miracolo in così poco tempo. Il tecnico comacino ha molte qualità ma non è un chirurgo: finchè Maria non riemerge dall’annoso e doloroso problema della spalla, sono cavoli. Riccardo ha lasciato Massimo Sartori e Andrea Volpini a seguire sull’Armstrong il pupillo Sinner – per stare al fianco di Maria, ma non è servito a granché. Non poteva servire, come ha ammesso per prima la stessa Sharapova quando le ho detto, mezzo scherzando “Speravo che un coach italiano ti avrebbe aiutato di più!”. Cercavo chiaramente di di alleggerire una certa tensione che Maria non poteva non provare in quel momento, dopo le prime domande di colleghi americani che volevano farle dire assolutamente quanto forte e intrattabile fosse Serena. Maria, che pure fin lì’ era apparsa chiaramente abbattuta per il punteggio patito, si è allora concessa un sorriso: “Non è colpa sua!”.

Il 61 61 inflittole da Serena è una brutta, severa punizione, perché soprattutto all’inizio era sembrato che potesse esserci un maggior equilibrio: è vero che Maria ha perso cinque volte il servizio, ma è anche vero che ha avuto cinque palle break, a dimostrazione del fatto che è certamente più competitiva quando è alla risposta che quando serve. Serena però è stata astiosa, direi acida (o anche peggio) quando, dopo che pareva aver dato atto a Maria della sua grinta “anche alla fine voleva continuare a lottare” – sarebbe stato un complimento – ha rovinato quelle parole semi-elogiative aggiungendo: “Un punto qui o là, avrebbe potuto vincere almeno un altro game!”,

Io credo che se Maria fosse stata presente se la sarebbe mangiata. Ma per sua fortuna se ne era già andata, dopo che nel corridoio verso gli spogliatoi all’uscita dalla conferenza stampa, avevamo avuto modo di scambiare due battute, con la promessa di farle fare un giretto sulla mia Vespa alla sua prossima visita in quel di Firenze. Meno di un mese fa ci si era fermata solo per dodici ore, giusto il tempo per immortalarsi con un selfie davanti al Duomo. Il mio numero di telefono ce l’ha. Non credo mi chiamerà mai. Ma …mai dire mai.

Fognini mi ha purtroppo deluso e ha deluso se stesso, soprattutto per aver perso 25 punti su 50 quando lo scambio è andato fra i 5 e gli 8 palleggi e 7 su 15 quando sono stati più di 9 … contro un giocatore che si muove inevitabilmente male per via del suo due metri e 11 cm. Non doveva poter succedere. La teoria di Luca Baldissera è che questa statistica negativa sia in buona parte dovuta alla caviglia malmessa. Probabilmente ha ragione. Ma Fognini è stato così sportivo, nelle dichiarazioni post match, da non invocare la caviglia come alibi per la sconfitta. “Lui ha giocato meglio e ha vinto. Io avrei dovuto cercare di vincere più scambi, ma non ci sono riuscito”. Bravo Fabio.

Ma certo, visto che lui doveva essere considerato favorito nei confronti di Opelka, il bilancio azzurro di prima giornata diventa negativo: 4 sconfitte su 5. Non ci si poteva aspettare che Seppi battesse Dimitrov, per quando il bulgaro non sia più il n.3 del mondo ma il n.78, né che una stanca Giorgi post Bronx potesse battere Sakkari dopo che nei precedenti due match aveva fatto soltanto nove game in 4 set. Magari si poteva sperare, però, che facesse più di un game. Non è accaduto. Quindi con Sinner, Fognini, Seppi e Dimitrov out, alla fine bisogna consolarsi con la rimonta di Lorenzi che, sotto due set a zero, per la prima volta è riuscito a rimontare un tale handicap ed è riuscito a vincere al quinto contro un ragazzino di 16 anni, Zacharias Svajda, che se appena appena di irrobustirà un po’ farà vedere i sorci verdi a tanti, tale è la sua facilità di gioco, la fluidità dei suoi colpi.

Ha 16 anni e ne dimostra meno. Ha avuto i crampi a partire dall’inizio del terzo set – mi ha detto – ma ha lottato fino al quinto dando tutto se stesso contro un Lorenzi che invece avrebbe potuto essere più incisivo ma che comunque si è messo in tasca 90.000 dollari che certo non scomodano anche chi, come lui, di soli premi ha già incamerato quattro milioni e mezzo di dollari pur avendo cominciato ad ammassarli sul serio dai 27 anni in poi. Ma ne ha 37 e non ha nessuna voglia di smettere “perché mi piace troppo continuare a giocare a tennis!”.

Oggi, dopo che ieri hanno perso in tutto solo cinque teste di serie (Kerber e Garcia al femminile, Fognini, Pella e Fritz al maschile) scendono in campo quattro azzurri. Incontri per diverse ragioni non facili. Forse Cecchinato dovrebbe poter vincere con Laaksonen, se si sarà dimenticato le dieci sconfitte consecutive, prima di una sola vittoria. Ma Berrettini con Gasquet, n.36, non ha un compito facile; quanto a Sonego, guai a sottovalutare quel vecchio volpone di Granollers (che l’ha battuto due mesi fa a Wimbledon) e per Fabbiano il compito contro Thiem appare addirittura proibitivo.

Dei big in campo nella prima giornata nessuno ha sofferto, o quasi. Né Djokovic con Carballes Baena, né Federer con l’indiano Nagal che non è Nadal, ma che dopo aver vinto il primo set ha fatto credere a qualcuno che dietro a quel cognome ci fosse un possibile refuso. Ma Federer ha subito rimesso le cose a posto: “Ho dovuto dimenticare subito il primo set, lui è stato molto solido, io ho sbagliato parecchio. Poi mi sono sciolto, e ho giocato un buon tennis. Affrontare palle break come mi è successo alla fine del quarto set non è grave, se hai confidenza nel tuo servizio. No, non ho mai pensato che lui fosse Nadal (risata), è una cosa da social media! Con Dzumhur, ci ho già giocato credo anche se non ricordo quando, e mi sono allenato con lui diverse volte, è veloce, ha un bell’equilibrio, sarà una bella partita spero“.

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