US Open: Berrettini e quel sornione di Monfils

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US Open: Berrettini e quel sornione di Monfils

La nostra lettura della sfida tra Matteo e Gael. Parola d’ordine: non farsi ingannare dal ‘dondolio’ del francese, che ama vestire i panni del gatto mammone

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Lo sappiamo, non ne ha bisogno: quel Santopadre di Vincenzo la sa lunga e avrà già abbozzato le opportune linee guida! Senza peccare di presunzione, tuttavia, in vista del quarto di finale in programma mercoledì a Flushing Meadows, qualcosa a Matteo Berrettini ci sentiamo di dirla. Perché oltre la rete del possibile Arthur Ashe, ci sarà un avversario da interpretare nei modi più che nel gioco.

A una prima occhiata, Gael Monfils, non sembra un giocatore prorompente, uno compulsivo alla Nadal, per intenderci. Lui ama vestire i panni del gatto mammone, quello che gli va e non gli va: un po’ il Romeo degli aristogatti che sprizza pigrizia da tutti i pori pur sentendosi ‘er mejo der Colosseo’. Un tipaccio con otto titoli in carriera, già numero sei del mondo e con ottimi risultati nei Major, compresa una semi a New York nel 2016. Insomma, un micio sornione, che al momento giusto non risparmia la zampata assassina. Un soggetto con l’aria del moribondo che, tra un punto e l’altro, ama trascinare per il campo membra da stanco guerriero per tornare ad accendersi con pericoloso agonismo non appena la palla torna a saltellare qua e là per il campo.

È allora che il bel marcantonio tira fuori da sé un atleta di prim’ordine capace di raggiungere ogni angolo del campo trasformandosi in un tennista di grande padronanza che, pur trovando conforto nelle retrovie, non disdegna fasi offensive di sorprendente aggressività. Ma è nei cambi di campo che da il meglio di sé. Quando gradisce sprofondare in una sedia, sorseggiando il necessario per non restare a secco, o quando dinoccola il volto asciugandosi dita da pianista con lo sguardo perso nel nulla fingendosi sfinito. E mentre nessuno al mondo potrebbe capire se a quel punto si rialzerà o meno dal suo angolo, in realtà, quatto quatto, lui organizza il suo bel trappolone: sparge aria da dimesso, induce il rivale ad abbassare la guardia e alla prima occasione – zac! – gli passa sopra. Bene!

Allora vorremmo dire a Berrettini che il micetto di Parigi si rialzerà regolarmente e che, occhio a terra e spalle avanti, guadagnerà ogni volta la sua parte di campo con tanta birra in corpo da stare nel gioco a oltranza pur di vendere cara la pelle. In breve, la faccenda si potrebbe dipanare più o meno come segue: ignorare il dondolio di Monfils e spezzare il gioco appena possibile tirandolo fuori dall’amato fondo campo. Inutile, poi, cercare lo sfondamento da dietro ma assai meglio sarebbe prendere la rete, magari dopo avere aperto il campo con le pinze, giacché il transalpino è rinomato per essere un passatore coi fiocchi. Il resto sarà a carico del servizio. Un’ultima cosa: visto il soggetto, ci raccomandiamo, il match sarà da considerarsi chiuso soltanto a stretta di mano avvenuta!

Massimo D’Adamo è maestro di tennis, giornalista pubblicista ed organizzatore di eventi sportivi. Già Direttore Tecnico del Foro Italico e del Centro Nazionale di Riano, è stato Responsabile in Italia della formazione Junior, selezionatore e capitano di tutte le rappresentative nazionali. Coach internazionale, vanta collaborazioni con giocatori di Coppa Davis di Italia e Giappone. Ha già pubblicato due libri: “…IN VIA DELL’IDROSCALO” nel 2013 e “VAGABONDO PER MESTIERE” nel 2016

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