Intervista a Chris Kermode: "Il tennis sopravviverà all'uscita di Rafa, Roger e Nole"

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Intervista a Chris Kermode: “Il tennis sopravviverà all’uscita di Rafa, Roger e Nole”

LONDRA – “Mentirei se dicessi che non ho sofferto”, dice il presidente ATP uscente in merito alla sua mancata riconferma. “Ma sono orgoglioso di quello che ho fatto”

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Rafa Nadal, Chris Kermode e Roger Federer (Crédito: Rafa Nadal Academy by MOVISTAR)
 

da Londra, il nostro inviato

Chris Kermode a fine anno lascerà il posto di presidente dell’ATP che occupava dal 2013 e verrà sostituito da Andrea Gaudenzi. Ci siamo a lungo occupati delle vicende che hanno portato alla sua mancata riconferma e quindi non le ripercorremmo nel dettaglio. Ci limitiamo a ricordare che è stato il consiglio dei giocatori presieduto da Novak Djokovic a determinarla e che tale sofferta decisione è alla base del ritorno nel consiglio di due illustri giocatori che non l’hanno gradita: Federer e Nadal.

Quello che segue è un estratto della lunga intervista rilasciata da Kermode alla O2 Arena poco prima dell’incontro tra Medvedev e Nadal, nella giornata di mercoledì. Alcune sue dichiarazioni sono diventate ulteriormente d’attualità, poiché in semifinale ci è arrivato uno solo dei tre tenori, Federer, eliminato poi in semifinale. Il trofeo verrà conteso da Thiem e Tsitsipas: una sorta di antipasto del tennis che sarà senza i tre campioni.


Chris, sei anni sono un arco di tempo importante. Cosa credi di avere dato al tennis e quale è la tua eredità.
Molte persone nelle ultime settimane mi hanno fatto la stessa domanda. Il mio risultato più importante credo sia stato quello di sopravvivere per due mandati. Sono solo la seconda persona che ci riesce (risate generali, ndr). Un anno dopo la mia nomina mi sono trovato a gestire una situazione molto complessa che vedeva contrapposti giocatori e organizzatori dei tornei in merito ai montepremi. Io votai a favore del più grande incremento dei premi da destinare ai giocatori della storia dell’ATP. Fui il primo presidente a farlo. I miei predecessori si erano sempre astenuti. Per un po’ di tempo non sono stato sicuramente il beniamino degli organizzatori ed è per questo motivo che considero il mio secondo mandato un miracolo.

Se parliamo di ciò di cui sono più orgoglioso in termini di eredità allo sport, dico che si tratta proprio delle Finals. So bene che è un evento nato molto prima che arrivassi io, ma non aveva la medesima importanza. Vi rendete conto che abbiamo avuto 2,5 milioni di spettatori in questi anni? È diventato un appuntamento importante sul calendario sportivo. Si gioca in uno stadio meraviglioso e ci ha dato la chance di presentare il tennis in un modo diverso. Abbiamo fatto cose nuove e lo abbiamo reso un modello per tutti i grandi eventi indoor del mondo. Ne sono orgoglioso. Sono altresì molto orgoglioso del torneo NextGen, del quale tutti ridevano all’inizio quando ne parlavo. Non era un torneo per ragazzini bensì un occasione per portare alla ribalta nuovi talenti e farli conoscere e al tempo stesso sperimentare nuove regole. A tutti quelli nella mia posizione quando una generazione di campioni si avvia al tramonto viene chiesto  se questo fatto avrà gravi ripercussioni sul futuro del suo sport. Io non ho dubbi sul fatto che il tennis sopravviverà all’uscita di scena di Roger, Rafa, Nole e Andy. Ovviamente ne sentiremo la mancanza, ma il nostro sport sopravviverà anche in virtù dei giocatori di talento che si stanno già affacciando alla ribalta.

Tra le innovazioni introdotte nel torneo NextGen credi ce ne sia qualcuna che potrebbe essere estesa ad altri tornei.
Alcune sono già state introdotte. Io comunque sono in generale favorevole alla sperimentazione. Personalmente amo molto il sistema di punteggio adottato nel torneo NextGen. È molto coinvolgente a mio parere. L’inerzia della partita cambia continuamente e ti tiene incollato alla sedia. È probabilmente l’innovazione più difficile da introdurre ma è incredibile il numero di organizzatori di tornei che mi hanno espresso il loro gradimento in merito. Non sto dicendo che gli Slam debbano cambiare format, perché funziona bene. Ma credo che sia giusto che il tennis come altri sport quali il cricket, ne applichi più di uno a seconda delle circostanze.

Alex de Minaur durante un coaching – Next Gen ATP Finals 2019 (foto Cristina Criswald)

Cosa ne pensi delle tensioni interne relative alla Davis e alla ATP Cup. Sono destinate a rimanere irrisolte a tuo parere oppure no?
Come ho detto prima ogni grande cambiamento è come un sasso in uno stagno. Le persone di solito non ama i cambiamenti e fa resistenza, soprattutto se sono animate da grande passione. Ma alla fine credo che tutto si sistemerà nell’interesse di tutti. Voglio che la Davis abbia successo così come qualsiasi cosa che riguardi il tennis. Sono certo che quando le componenti emotive saranno scemate tutto finirà per aggiustarsi.

Hai nominato alcuni dei grandi successi della tua gestione. Credi quindi di essere stato vittima di un ristretto gruppo di giocatori influenti che non necessariamente rispecchiano il punto di vista della maggioranza?
Questa domanda mi è stata ripetutamente posta. Il nostro mondo è impregnato di politica. Io sin dal primo momento dissi chiaramente che avrei sempre assunto posizioni e decisioni nette. Che mi sarei battuto per ciò in cui credo e che reputo giusto e non per l’una o l’altra parte a priori. È così ho fatto. Se tornassi indietro non credo cambierei le mie decisioni. Ma è nella natura del mio lavoro. Sono cose che succedono. Per questo sono orgoglioso di essere rimasto in carica per sei anni e di quello che ho fatto in questi anni.

Come ti sentì sotto il profilo emotivo in questo momento? Sappiamo che avresti voluto essere riconfermato anche perché ci sono ancora cose che avresti voluto fare e che non ora non potrai più portare a termine.
Mentirei se dicessi che non ho sofferto. A marzo è stata davvero dura. Ma bisogna andare avanti. Non è la prima e non sarà l’ultima volta che succede una cosa del genere. Bisogna essere pragmatici guardarsi indietro e sentirsi orgogliosi per ciò che si è fatto. E io lo sono.

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