[1] N. Djokovic b. [15] K. Khachanov 6-4 6-3 6-3
Ci si aspettava una passeggiata seppur a un ritmo superiore delle precedenti per Novak Djokovic e quella è stata contro un Karen Khachanov autore di una prestazione più che rispettabile, ma che nulla ha potuto di fronte a un avversario risoluto, deciso a non farsi sfuggire l’occasione di arrivare in fondo allo Slam vinto nel 2016. Nessuno dei tre set è stato davvero in discussione, nonostante le opportunità di Khachanov di riaprire i primi due e di passare addirittura in vantaggio nel terzo; anzi, il punteggio sarebbe forse stato anche più severo se non fosse per l’esagerata quantità di smorzate giocate da Djokovic, la necessità delle quali sembra aver raggiunto quella dell’ordine delle bottigliette di Nadal.
Per ravvivare le 2 ore e 23, c’è stata anche la palla colpita da Djokovic arrivata in faccia a un giudice di linea, ma in circostanze ben diverse da quelle che gli sono costate la squalifica allo US Open. Insomma, Nole ha tirato dritto senza difficoltà di fronte al primo avversario con un nome di rilievo, quel Khachanov che dal 2017 aveva sempre fatto bene sulla terra parigina, arrivando ogni volta più avanti rispetto a quanto “richiesto” dalla sua classifica. La scorsa stagione ha raggiunto i quarti di finale (il suo miglior risultato Slam), ma questa volta, tra lui e il passo in più, l’ostacolo è stato proibitivo, anche se una volta nelle quattro precedenti sfide era riuscito a passargli sopra. Tuttavia, se la città è la stessa, le condizioni non solo ambientali sono però ben diverse da quell’indoor di fine 2018 in cui Karen nascose la palla anche a Zverev e Thiem.
IL MATCH – Djokovic comincia subito con estrema determinazione, anche se parte di essa è distolta dal nuovo record che pare voler battere: il numero di smorzate in un match di cui si è verosimilmente appropriato il giorno precedente tale Hugo Gaston, che vorremmo, benché poco speranzosi, in zone di classifica più televisive. Il ritmo è piuttosto alto, cosa che non dispiace neanche tanto a Karen, tranne la parte in cui lo scambio non solo si allunga, ma deve essere replicato subito dopo. Il ventiquattrenne moscovita, forse per un malinteso spirito di emulazione, dispensa qualche drop shot anch’egli senza ricavarne enormi fortune. È bravo il n. 16 ATP a risalire da 15-40 per agguantare il 3 pari, ma il game veramente intenso è l’ottavo, con tanto di pallata di Djokovic in faccia a un giudice di linea, questa volta però nel corso di una fase gioco, precisamente scentrando la risposta di dritto in allungo sulla prima esterna di Khachanov.
Un attimo di spavento, soprattutto da parte del 17 volte campione Slam, ma nessuna conseguenza. Comincia tuttavia ad innervosirsi, Novak, che manca un altro break point pur difendendo l’impossibile, ma al diciottesimo punto strappa finalmente la battuta. Sempre preso da questa idea delle smorzate a ogni costo, all’apparenza senza aver ancora capito su quale tipo di palla avversaria gli riescono, il numero 1 del mondo fallisce al momento di chiudere con il servizio, anche per merito di un Khachanov che non si risparmia neanche quando costretto a contenere. Il premio per tanto impegno si limita però a un “4” a referto nella colonna dei game – Djokovic ne aveva concessi al massimo 3 nei turni precedenti –, perché paga pegno cedendo di nuovo la battuta con tanto di doppio fallo che dà il set al serbo.
La seconda partita non può offrire granché di nuovo, anche perché eventuali piani di riserva a cui Karen dovesse pensare non sarebbero supportati dalle sue caratteristiche tecniche. Con i drop shot, Djokovic continua a perdere più punti di quanti ne vinca, ma non è un grosso problema vista la superiorità in ogni reparto del gioco. Non è certo un problema per il punteggio, ma sembra esserlo per lui, che evidentemente non concepisce di non poter eccellere anche nel tocco. In più, Karen non può non risentire di un set giocato decisamente bene (almeno negli spazi ristretti che gli sono stati concessi) e perduto senza essersi neanche avvicinato a metterne in discussione l’esito. Propiziato da un doppio fallo iniziale, il break arriva allora presto, consolidato da Djokovic che sale 4-1. Sorprende, fino a un certo punto tenuto conto dell’andamento a senso unico del match, il piccolo passaggio a vuoto serbo, uno 0-40 che riaprirebbe (parola forse esagerata) il parziale; la vera occasione russa è la numero due, fallita con quello che avrebbe dovuto essere un dritto facile dopo aver rincorso il lob successivo alla palla corta.
Punito dal repentino risveglio di Nole che sfodera un dritto vincente tutt’altro che semplice in uscita dal servizio, non può approfittare nemeno della quarta opportunità. Solo un moto d’orgoglio impedisce all’ex top ten di capitolare già al gioco successivo; anzi, c’è pure un po’ di complicità serba, con tanto di arrabbiatura per un orrido tentativo di controsmorzata e un’altra cosa poco comprensibile cercata con una scodellata di dritto che non vedono la luce oltre la rete. Nessun problema, però, perché il vantaggio di due set arriva subito dopo con il 6-3. I dati raccontano di due errori non forzati in più per Djokovic di fronte allo stesso numero di vincenti dell’avversario che, tra gli otto punti in meno conquistati, sconta quello che non ha saputo sostituire lo zero sulle palle break trasformate.
Il terzo set parte su binari prevedibilmente serbi, ma Novak si incarta una seconda volta e dal 2-0 si trova a salvare due palle del 2-4, una con l’immancabile drop shot su cui Karen dimostra i suoi limiti di sensibilità. Il castigo è inesorabile perché il fenomeno di Belgrado si rimette a fare quello che gli riesce meglio, tenendo altissimo il ritmo e chiudendo con uno show di risposte al servizio per il suo quattordicesimo quarto di finale al Roland Garros, proprio come Rafa Nadal. Al prossimo turno troverà Pablo Carreño Busta, che avrà l’occasione di portare a termine sul campo l’incontro che stava giocando a New York, oppure Daniel Altmaier, il tedesco dal bel rovescio monomane, dolo(ro)samente reo di un rovesciamento di quel pronostico che puntava dritto sul nostro Berrettini a cui è però mancato (non solo) il dritto.