Crescere sì, cambiare mai: nella testa di Naomi Osaka, già più di una tennista

Interviste

Crescere sì, cambiare mai: nella testa di Naomi Osaka, già più di una tennista

In una lunga intervista a Vogue, Naomi racconta sé stessa e il suo 2020. Dalla solidarietà al movimento Black Lives Matters ai successi sul campo, passando per il proprio passato e i sogni per il futuro

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Naomi Osaka - US Open 2020 (via Twitter, @usopen)
 

Naomi Osaka è certamente uno dei personaggi dell’anno e, nonostante la giovane età, uno degli atleti, sia donne che uomini, più influenti e amati del mondo. Nell’anno che l’ha vista vincere il suo terzo Slam sui campi di Flushing Meadows, Osaka è stata la tennista più pagata del 2020 (37,4 milioni di dollari, molti dei quali provenienti dai numerosi sponsor) e Sports Illustrated l’ha inserita tra gli “atleti attivisti”, al fianco di Lebron James. Più che i suoi successi sul campo infatti, è stato soprattutto l’impegno profuso nel campo della lotta per i diritti sociali e civili a contribuire alla costruzione della sua immagine, a partire dal tristemente celebre caso dell’omicidio di George Floyd a Minneapolis. L’interesse verso Naomi è cresciuto a tal punto da attirare l’attenzione di una rivista generalista come Vogue, che le ha dedicato un’ampia intervista di cui riportiamo qui alcuni passaggi significativi.

Nonostante la rapida ascesa, cominciata nel 2018 con la famosa vittoria nella finale dello US Open contro Serena Williams e proseguita poi fino a oggi, Naomi è rimasta agli occhi di tutti la stessa ragazza sorridente e un po’ impacciata. Un personaggio quasi uscito da un fumetto, come ama dire scherzando il nostro Luca Baldissera nelle dirette Facebook con Vanni Gibertini (a proposito, domenica alle 14:30 ce ne sarà un’altra. Non vorrete perdervela, vero?). Eppure Osaka sente di essere cresciuta attraverso le varie esperienze di questi anni. “Quell’etichetta di ragazza timida è rimasta con me durante gli alti e bassi della mia carriera, ma penso che le persone che mi hanno visto crescere direbbero che ora gestisco meglio le situazioni, che sono più in grado di esprimere me stessa“.

Parte di questo percorso di crescita è avvenuto durante la sospensione forzata del circuito, quando tutti i giocatori hanno dovuto fare i conti con le loro vite senza tennis. Un confronto che può spaventare oppure fare riflettere su tante cose: priorità, prospettive, ecc. “Come tennisti, siamo troppo concentrati su ciò che accade in campo e pensiamo che la nostra vita sia determinata dalla vittoria o meno di una partita. Non è vero. Penso che la pandemia mi abbia dato la possibilità di entrare nel mondo reale e fare cose che non avrei fatto senza di essa“.

Per chi è abituato a non fermarsi mai, le occasioni di guardarsi intorno non sono poi così tante. “Viaggio così tanto durante l’anno che non sempre conosco le notizie su ciò che avviene negli Stati Uniti, ma poi quando la pandemia ha colpito, non c’erano distrazioni. Sono stata costretta a guardare“. Quando si è costretti a fermarsi, quello che si vede può piacere o viceversa, fare molta paura. Per Osaka la morte di George Floyd è stata uno shock, tanto da spingerla a volare a Minneapolis insieme al proprio fidanzato, il rapper Cordae, per unirsi alle proteste. “Non penso che sia una questione di essere timidi o meno oppure di essere introverso o estroverso. Sei semplicemente lì in quel momento. Quando vedi certe cose accadere nella vita reale – le videocamere che filmano tutto, i poliziotti armati fuori dal municipio, i genitori delle vittime che raccontano le loro storie – ti colpisce in maniera diversa. Elabori tutto a modo tuo“.

Naomi Osaka – Cincinnati 2020 (via Twitter, @WTA)

Sui social ovviamente si è scatenato il solito ping-pong di opinioni riguardo alle proteste e in molti hanno commentato anche i post di Osaka, invitandola a parlare solo di tennis e questionando sul suo diritto di intervenire sulla faccenda. Eppure Naomi di etichette se ne intende, lei che ne ha ricevute molte nella sua vita pur eludendole tutte. Sua madre, Tamaki Osaka, è giapponese, mentre il padre, Leonard Francois, è haitiano. I due si sono trasferiti negli Stati Uniti quando Naomi aveva appena tre anni, ma nonostante questo hanno deciso che la figlia avrebbe rappresentato il Giappone come tennista. “Penso di confondere le persone, perché alcune persone mi etichettano e si aspettano che io mi attenga a quell’etichetta. Dato che rappresento il Giappone, alcune persone si aspettano solo che io sia tranquilla e che parli solo di argomenti giapponesi. Mi considero giapponese-haitiana-americana. Sono sempre cresciuta con un po’ più di retaggio e cultura giapponese, ma sono nera e vivo in America e personalmente non ho pensato che fosse troppo inverosimile quando ho iniziato a parlare di cose che stavano accadendo qui. Ci sono cose qui che mi spaventano davvero“.

Da qui dunque la sua decisione di supportare il movimento Black Lives Matters dopo il caso di Jacob Blake, colpito alla schiena da sette proiettili sparati da poliziotti. Sulla scia del rifiuto dei Milwaukee Bucks di scendere in campo, seguiti a ruota dalle maggiori leghe sportive statunitensi, Osaka ha voluto contribuire con un suo “sciopero” nel giorno della semifinale del Western&Southern Open. “Stavo giocando le mie partite e ho visto cosa stava facendo l’NBA, poi quello che ha detto Lewis Hamilton. Ho pensato tra me e me che nel tennis nessuno stava facendo niente del genere. Ho pensato a come potevo avere un grande impatto, così ho deciso di prendere un giorno di pausa“. La prima a supportarla è stata la sua avversaria designata (e poi battuta due giorni dopo), Elise Mertens, che all’epoca ha così commentato la vicenda: “Ho grande rispetto per la sua decisione. Penso che sia fantastico quello che fa e lei è un modello per il tennis“.

In questo ruolo di ambasciatrice e modello, Osaka ha per certi versi raccolto il testimone di un’altra giocatrice molto impegnata nel campo del sociale, il suo idolo d’infanzia Serena Williams. I modi di interpretare questo ruolo sono sicuramente diversi, come diverso è il loro carattere dopotutto, ma l’ammirazione di Naomi per Serena rimane intatta ancora oggi. Neanche la finale a New York del 2018, quella del primo Slam di Osaka e della sceneggiata di Williams ha scalfito in alcun modo quella stima. “Se non ci fosse stata Serena, non sarei qui e credo che lo stesso valga per molte giocatrici“, ha dichiarato Osaka, che ha poi candidamente ammesso di avere ancora molto da imparare. “Ci sono ancora molte cose in cui lei è molto più brava“, continua poi Osaka. “È più aggressiva, sa scegliere bene i colpi e a volte mette in campo delle risposte davvero fenomenali. Io ancora non ci riesco”.

Onestamente, ho un po’ paura di lei“, ha continuato Naomi, rievocando le sensazioni di quella partita. “Non paura paura, ma sono intimidita e divento molto timida quando lei è a circa tre metri da me. Questo mi ha davvero fatto effetto nella finale dello US Open nel 2018, ma avevo lavorato così duramente per quel momento, e sentivo se fossi stata intimidita o avessi dimostrato che avevo paura di lei, lei ne avrebbe approfittato. Quando scendo in campo, devo trattarla come una tennista, non come Serena Williams. Ho semplicemente bloccato tutte le mie emozioni e ho pensato di giocare contro la palla, come se ogni palla che oltrepassava la rete fosse il mio avversario“. Semplice, no?

Serena Williams e Naomi Osaka – US Open 2018 (foto Art Seitz c2018)

Un mix tra timidezza e sfrontatezza, tra umiltà e fiducia in sé stessa che ha colpito anche una campionessa del calibro di Martina Navratilova, che forse in una frase ha riassunto tutta l’essenza di Naomi: “Sa di non essere un essere umano migliore solo perché ha vinto una partita di tennis.

È la stessa Naomi a raccontare di sé stessa e dei progressi che sente ancora di fare, lei così timida in un mondo così rumoroso “Onestamente non ho molti amici veri. Sono un po’ solitaria, ma non per scelta. Vorrei più amici, ma non forzo le cose. Non mi piace andare alle feste, perché non sono una brava ballerina e c’è troppo rumore. Devi urlare per parlare con qualcuno e io non sono poi così brava nelle chiacchiere. Principalmente mi piace stare a casa e il mio ragazzo è spesso in studio a registrare, ma forse è ancora più casalingo di me“. Con la racchetta in mano però le cose cambiano, le prospettive mutano e anche il rumore assume una propria importanza, un proprio fascino. “In campo è completamente diverso. Adoro giocare sull’Arthur Ashe perché è lo stadio più grande e senti il ​​boato della folla. Ti senti un po’ come un gladiatore, perché è davvero grande e ci sono così tante persone che guardano la tua partita. Ma fuori dal campo, se mai venissi gettata in una situazione in cui devo parlare di fronte a cento persone, so che inizierei a tremare“.

Il lavoro da fare è ancora tanto, sia sul campo che fuori, ma Naomi ha molto entusiasmo e molta voglia di crescere, di imparare, di vivere. Crescere sì, ma cambiare no, come testimonia l’ultima deliziosa metafora. “Prima pensavo che tutto dipendesse dal gioco, ora capisco che bisogna trovare un equilibrio. Voglio diventare informata, avere una vasta comprensione delle cose. Voglio essere una brava persona con tutti quelli che incontro. Per dirla in termini da videogioco, penso di essere attualmente al livello 50 nel tennis, ma al livello cinque o sei in tutto il resto della mia vita. Voglio pareggiare i miei livelli“.

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