Sinner show: centrata la prima finale in un Atp 500 (Mastroluca). "Caro Federer, auguri per i 40. Tu fai cose che altri non fanno" (Panatta). La nebbia di Federer (Cresto-Dina)

Rassegna stampa

Sinner show: centrata la prima finale in un Atp 500 (Mastroluca). “Caro Federer, auguri per i 40. Tu fai cose che altri non fanno” (Panatta). La nebbia di Federer (Cresto-Dina)

La rassegna stampa di domenica 8 agosto 2021

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Sinner show: centrata la prima finale in un Atp 500 (Alessandro Mastroluca, Corriere dello Sport)

Jannik Sinner riscopre l’America. Ci deve essere un feeling speciale tra l’altoatesino e gli USA. Dopo la finale a Miami in primavera, centra quella di Washington, ATP 500, che fa entrare nel vivo la stagione pre-US Open. In una semifinale a due facce, l’azzurro salva tre set point poi accelera. È un uomo solo al comando, molto prima di completare il 7-6(2) 6-1 su Jenson Brooksby, che comunque entrerà per la prima volta in Top 100. Il primo set è un bel segnale. Sinner serve e spinge come a Miami. Ritrova scioltezza, fluidità e continuità con i colpi di inizio gioco. Il livello è alto come il ritmo dell’azzurro, alla seconda semifinale ATP in un 500, la settima complessiva nel circuito maggiore. Brooksby, ventenne statunitense mai così avanti in un torneo così prestigioso, per un set quel ritmo dimostra di poterlo reggere. Con un tennis offensivo e vario, certamente poco ortodosso, costringe Sinner a pensare fuori dagli schemi. Nel momento più difficile della partita, sotto 5-6 0-40, l’altoatesino fa al meglio quel che serve. Tira due ottime prime che neutralizzano le risposte fin lì esplosive di Brooksby, e sfoggia un profondo back di rovescio. Nel seconda set, l’azzurro mette la partita in discesa. Prezioso il break per il 3-1, completato con quattro punti di fila. Con il match in pugno, poi, Sinner si concede recuperi e accelerazioni fulminanti. L’azzurro è tornato, il sogno americano continua. Sentimenti ben diversi caratterizzano invece l’esperienza di Lorenzo Musetti, squalificato per violazione del protocollo anti-Covid prima del suo esordio nelle qualificazioni del Masters 1000 di Toronto. La storia è decisamente particolare. Il carrarino aveva bisogno di mangiare, ma in albergo non era possibile. Gli hanno consigliato un delivery distante poche decine di metri dall’hotel. Ma il ristorante richiedeva una carta di credito e il sistema di ordinazione online non funzionava. La security la ha notato e gli organizzatori hanno deciso di escluderlo dal torneo. In tabellone è entrato l’australiano Max Purcell.

“Caro Federer, auguri per i 40. Tu fai cose che altri non fanno” (Adriano Panatta, La Gazzetta dello Sport)

Caro Roger, prima di tutto auguri, doverosi, per i 40 anni. Non ricordo di preciso quando ti ho visto giocare la prima volta, ma ho bene in mente l’impressione che mi avevi suscitato: eri poco più che un ragazzino, ma avevi qualcosa di diverso rispetto agli altri. Sarà stata l’eleganza dei colpi, la grazia nei movimenti: eri speciale. E infatti – non era difficile prevederlo – sei diventato quello che sei diventato: un giocatore unico, inimitabile, forse il più forte, sicuramente quello che gioca meglio. E il motivo per cui affermo ciò è semplice: Federer, tu fai delle cose che gli altri non fanno. Attenzione, non sto dicendo che gli altri due big non siano grandi campioni: la voglia di lottare di Nadal o la difesa di Djokovic sono eccezionali, ma Roger, anche quando perde, tira sempre fuori quei due o tre colpi che non si possono fare. Ma non è solo la tecnica che lo rende unico. Lui è un ragazzo eccezionale, educato, modesto. Roger e Nadal hanno un grande merito: hanno reso più popolare il tennis, ne hanno mostrato il lato più bello. Ricordo che una sera a Roma, durante gli Internazionali d’Italia del 2009, abbiamo mangiato una carbonara assieme a Trastevere. A un certo punto lui mi disse: “Adriano, scambierei con te alcuni miei successi a Wimbledon con il tuo Roland Garros”. La mia risposta: “Anche io…”. Lui aveva già vinto cinque volte a Londra, figuriamoci…Quella cena gli portò fortuna: un mese dopo vinse Parigi conquistando tutti i titoli del Grande Slam, seppur in anni diversi, come merita. In tanti mi chiedono se in futuro ci saranno giocatori simili a Federer. Non credo. Anche perché il prototipo del giocatore moderno è diverso. […] Roger deve smettere quando se la sente, senza farsi condizionare. Resterà per sempre Federer, quello che gioca come nessun altro.

La nebbia di Federer (Dario Cresto-Dina, La Repubblica)

Oggi Roger Federer compie quarant’anni e si sta domandando dov’è. Certo, al numero nove della classifica mondiale e il piano è terribilmente inclinato e c’è solo una pianta di fragole, quella di Wimbledon, a cui aggrapparsi mentre si precipita. Senza dubbio nella Storia dello sport, tra i più vincenti di tutti i tempi. Di sicuro in buona compagnia: Venus Williams ne ha fatti quarantuno il 17 giugno, Serena lo raggiungerà il 26 settembre, pensate: assieme si sono portati a casa cinquanta tornei del Grande Slam. Senza contare Valentino Rossi, Gianluigi Buffon, il campione australiano di equitazione Andrew Hoy, medaglia di bronzo a Tokyo nell’all-around a sessantadue anni e i tanti cinquantenni o giù di lì che corrono dietro o spazzano il ghiaccio davanti alla “tazza” del curling. La compagnia della nebbia. Il posto in cui Federer si sta cercando è un altro, è la panca di uno spogliatoio sulla quale si è seduto alla fine dell’ennesima giornata sul campo, cento servizi, decine di dritti lungolinea e incrociati, altrettante discese a rete sotto il sole per sentire sulle corde la carezza della sua inimitabile volée. II problema è che improvvisamente ti accorgi che stai sudando e tutto fa male, perché il tennis a un certo punto ti “spezza” osso dopo osso, muscolo dopo muscolo – dove sono Del Potro e Murray e Wawrinka? e ti getta come ha raccontato Andre Agassi nella confusione più terrificante. Non una tv a inquadrare Mirka e i quattro bellissimi gemelli, l’espressione sobria di mamma e papà, il volto di Ljiubicic, suo ultimo allenatore, o quello svizzero con il cappellino, capitano della squadra di Davis, Severn Luthi, la sua famiglia allargata, la rete di protezione, il lettino dello psicanalista. Sei solo Roger assieme al Federer che rincorri, aspetti di slacciarti le scarpe e ti domandi: fino a quando? Forse a fine stagione, forse dopo un altro Wimbledon, forse come ha fatto Sampras con lacrime e standing ovation. Basta che non sia un lungo lamento. Sarebbe una delusione. Quasi dieci anni fa Federer spiegò in una intervista al Foro italico che avrebbe ascoltato le gambe più che il braccio. Gli spostamenti, i riflessi, il timing sulla palla soprattutto nella fase difensiva, gli avrebbero fornito le risposte giuste nel momento giusto. Gli si leggeva negli occhi una fiducia non sbruffona, ha vinto per altri dieci anni lasciandosi sfuggire soltanto la medaglia d’oro olimpica a cui teneva moltissimo, a Londra. Purtroppo questi dieci anni sono trascorsi senza derogare al loro compito. Il gesto tennistico di Federer si pub paragonare alla perfezione della Pietà, che Michelangelo ultimò intorno ai venticinque anni. Qualcosa vorrà dire.

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