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Garbiñe Muguruza e le prime WTA Finals messicane

La giocatrice più titolata fra le otto partecipanti ha vinto la prima edizione delle Finals disputata in America latina. A conti fatti, che torneo è stato?

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Garbiñe Muguruza, WTA Finals 2021 (via Twitter @WTA Insider)
 

Bilancio delle Finals 2021
In conclusione: che Finals sono state? Per il mio personale (e opinabilissimo) giudizio, un torneo migliore di quanto mi aspettassi. Il Messico in tempi recenti non aveva ospitato un evento tennistico di questa importanza e dunque le incognite erano parecchie. Gli organizzatori avrebbero avuto il know how per offrire delle Finals alla altezza della loro importanza? Ci sarebbe stato seguito di pubblico? In che condizioni sarebbero arrivate le giocatrici? Quanto avrebbe influito l’altura?

Un torneo di tennis è fatto di tanti aspetti diversi, e basta che uno solo di questi non funzioni per rischiare di rovinare tutto. E comunque, a volte, anche se l’organizzazione è impeccabile, possono essere anche gli episodi del campo a creare problemi, soprattutto nel caso di una formula con solo otto partecipanti. Per esempio un infortunio, con l’ingresso delle riserve, rischia di compromettere la logica del sistema a gironi.

A torneo concluso, direi che nell’insieme a Guadalajara le cose sono andate bene. Per la verità l’inizio non era stato dei migliori: la trasmissione in diretta del sorteggio dei gruppi, prevista attraverso uno streaming, è cominciata in ampio ritardo, e definire il collegamento “instabile” sarebbe un eufemismo; le interviste si sentivano a singhiozzo e di conseguenza si capiva ben poco. Eppure gli utenti collegati alla piattaforma non arrivavano a ottocento.

Poi c’è stato il primo match di singolare, in sessione pomeridiana, con una cornice di pubblico molto scarna. Ecco, quel giorno ho cominciato a temere il peggio… Ma già nel primo match del serale la presenza degli spettatori è aumentata e da quel momento il torneo è decollato. Come sempre ci sono stati incontri di qualità più alta e altri di qualità più bassa, ma su livelli fisiologici. E le condizioni di gioco complessive, legate alla combinazione altura + campo + palline, alla fine direi che sono state di un equilibrio soddisfacente.

Di gran lunga più soddisfacenti, per esempio, di quelle offerte nelle ultime edizioni asiatiche delle Finals (Singapore 2018 e Shezhen 2019); che invece avevano influito sulla qualità di gioco; a causa di campi troppo lenti (Singapore) e con un fondo che aveva anche provocato infortuni (Shenzhen), come le stesse giocatrici avevano denunciato.

A Guadalajara, invece, non si sono avuti problemi simili. il meteo è sempre stato buono e le tenniste hanno via via imparato a interpretare le particolari condizioni di gioco. A mio avviso chi ha patito di più nel trovare le misure con l’aria rarefatta dell’altura sono state Krejcikova e Swiatek. Durante il loro primo match ho avuto la sensazione che faticassero a “sentire” la palla, e questo le portava a commettere errori di misura molto marcati. Poi però le cose sono migliorate, e anche se entrambe non sono riuscite a raggiungere le semifinali, ho avuto l’impressione che le loro prestazioni fossero meno influenzate da fattori esterni.

Il torneo del 2021 è comunque nato con alcuni problemi non da poco, che si spera non si ripresentino in futuro. Ne sottolineo due. Il primo è legato al campo di partecipazione: otto giocatrici tutte europee. E questa è stata pura sfortuna, perché sino all’ultimo si poteva sperare di avere rappresentanti di altri tre continenti: Barty (Australia), Jabeur (Africa), Osaka (Asia). E di conseguenza suscitare un interesse più ampio.

Non solo: mancavano tre vincitrici Slam su quattro. Perché con l’assenza di Barty e Osaka sono anche venute meno le campionesse di Wimbledon e di Melbourne. E dato che mancava anche Raducanu (campionessa dello US Open), si capisce che mai come in questa occasione ci sia stato uno scollamento tra il campo di partecipazione del Masters e quello degli Slam. Un probabile handicap nei confronti del pubblico meno informato.

Il secondo grosso problema è stato causato dalla collocazione in calendario, che sicuramente non ha aiutato l’edizione messicana. Negli anni passati i sette-otto giorni del torneo si svolgevano da domenica a domenica, con le partite decisive disputate nel week-end. Ma non questa volta: il calendario prevedeva l’avvio e la conclusione da mercoledì a mercoledì.

L’intento era dare alle giocatrici la possibilità di scendere in campo sia alla Billie Jean King Cup di Praga che alle WTA Finals di Guadalajara. Spostare l’inizio al mercoledì, infatti, consentiva a una eventuale finalista del torneo in Repubblica Ceca di presentarsi in tempo in Messico. Ma il risultato è stato quello di avere le partite più importanti (semifinale e finale) di martedì e di mercoledì, e mezzo torneo in sovrapposizione con le ATP Finals di Torino. E questo è apparso un paradosso, visto che mai come in questo periodo si sente parlare di sinergie tra ATP e WTA.

Alla fine solo Barbora Krejcikova ha deciso di avvalersi della opportunità di giocare sia a Praga che a Guadalajara, anche se con un esito poco soddisfacente, almeno in singolare: due sconfitte su due partite nella BJK Cup e tre sconfitte su tre alle Finals. Krejcikova si è comunque consolata con la vittoria nelle Finals di doppio, insieme alla storica compagna Katerina Siniakova: cinque partite, cinque successi.

Last but not least, la partecipazione del pubblico messicano. Elemento a mio avviso molto positivo del torneo: a parte la latitanza nel primo match e qualche vuoto nelle partite diurne, di sera le tribune sono sempre state piene, compatibilmente con i limiti dettati dalla pandemia. E la partecipazione è stata competente e calda, senza mai diventare aggressiva o molesta. Sotto questo aspetto Guadalajara ha surclassato l’ambiente di Shenzhen: ben più sfarzoso nelle architetture e nel montepremi (14 milioni di dollari contro 5) ma troppo spesso con gli spalti desolatamente vuoti.

A questo punto rimarrà da scoprire cosa accadrà l’anno prossimo. I programmi pre-pandemia sembravano definiti: Finals con contratto di dieci anni a Shenzhen, e Cina come punto di riferimento di tutto il finale di stagione del tennis femminile. Poi però le cose sono cambiate: prima è stato il Covid a mettere in dubbio il ruolo del gigante asiatico nella agenda WTA, e poi è arrivata l’inquietante vicenda di Peng Shuai a rendere la situazione ancora più incerta.

Non sarà facile per Steve Simon e per tutto il management WTA risolvere i problemi che si sono aperti negli ultimi due anni sul fronte orientale. Perché è dai tempi della gestione di Stacey Allaster che WTA aveva puntato moltissimo sulla Cina. Allo stato attuale, se nel 2022 si dovesse tornare a giocare in Messico significherebbe essere andati incontro a un ridimensionamento non da poco sul piano economico. Ma dopo l’edizione del 2021, se non altro sappiamo che sul piano tecnico e ambientale a Guadalajara ci sono le condizioni per offrire del tennis di qualità.

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