Roland Garros: Swiatek non può raggiungere Nadal, ma Graf e Evert sì. E Muchova mi ha fatto pensare alla sconfitta di Alcaraz con Djokovic

Editoriali del Direttore

Roland Garros: Swiatek non può raggiungere Nadal, ma Graf e Evert sì. E Muchova mi ha fatto pensare alla sconfitta di Alcaraz con Djokovic

Per Iga Swiatek una vittoria meritata ma legata soprattutto alla maggiore esperienza. Per la Muchova mi chiedo: saprà ripetersi? Il talento e il coraggio non le mancano

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Iga Swiatek - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
 

Karolina Muchova ha quasi 7 anni più di Carlitos Alcaraz (27 anni ad agosto), ma come esperienza top-level e fasi finali di Slam, è più giovane e inesperta del buon Carlitos che pure ha pagato lo scotto della sua giovane età nella semifinale con Nole Djokovic.

A lei che oggi giocava ancora da n.43 del mondo pur essendo virtuale n.16 da perdente e addirittura virtuale n.10 da vincente, era capitato di battere le n.1 e le n.2 del mondo che aveva incontrato ancor prima dell’altro giorno Aryna Sabalenka – e cioè Ash Barty, Karolina Pliskova, Naomi Osaka – ma contro Iga Swiatek, già bicampionessa al Roland Garros il gap di esperienza era troppo ampio.

E si è visto subito. Fin dal primo momento. E anche alla fine, quando ha avuto la palla per il 5-4 nel terzo set e servizio per chiuderla.

 

E’ partita con l’handicap, proprio come Carlitos con Nole. Sott’acqua 3-0 in 10 minuti, 12 punti persi 3 fatti. Una minima reazione, ma dopo un’oretta di esordio in una finale Slam il risultato era nientemeno che 6-2, 3-0 per la polacca n.1 del mondo e alla fine tripla vincitrice in 5 partecipazioni: roba simil-Nadal.

In queste cinque presenze Iga ha vinto 28 partite e ne ha perse due: con la Halep in ottavi nel 2019, con la Sakkari nei quarti nel 2021.

Non mi aspetto però, ad essere sincero, che Iga possa vincere 14 Roland Garros come RafaQuello è il record più imbattibile che esista nel mondo del tennis. E Rafa li ha quasi tutti dominati, non solo vinti. Perfino a Roger Federer ha impartito severissime lezioni. Però Iga a 22 anni ha vinto già 3 Roland Garros, prima a fare il bis consecutivo dopo Justine Henin (2005-2006), e se i 14 trionfi di Nadal sono a mio avviso irraggiungibili, forse i 7 di Chris Evert non lo sono, e tanto meno i 6 di Steffi Graf. Mentre sul fatto che raggiunga i 4 titoli al Roland Garros di Justine Henin, beh sarei sorpreso non accadesse. Intanto ne ha già vinti 3 come tre “mostri sacri” quali Monica Seles, Arantxa Sanchez, Serena Williams.

Preciso qui ulteriormente che secondo me sarà più battibile, nei secoli, il record degli Slam vinti da Djokovic (che se non vince oggi a Parigi a quota 23 arriverà comunque, o a Wimbledon o altrove) che quello dei 14 Roland Garros vinti da Nadal.

Iga si muove in genere meglio di tutte le sue avversarie di quest’epoca, sbaglia pochissimo, e di rovescio quasi mai, ma soprattutto ha ancora notevoli limiti su cui lavorare e migliorare: dal servizio al gioco a rete, la smorzata – un po’ come è accaduto negli anni anche a Rafa –ma la sua superiorità tecnica sulle altre top-players non mi pare così marcata da assicurarle un dominio semi-eterno.

Quando Karolina Muchova si è un po’ tranquillizzata, si è messa in testa di giocare più libera, meno contratta perché ormai non aveva più nulla da perdere, il match è diventato finalmente equilibrato, giocato ad armi pari.

Karolina – che in certi primi piano per l’appunto assomiglia vagamente proprio alla regina del Roland Garros Chris Evert che ieri ha premiato le due finaliste – è risalita fino al 3 pari, poi è passata in vantaggio, 5-4 lei e servizio e allora lì, eccola di nuovo preda dell’angoscia, eccola perdere a 15 il game di battuta che poteva darle in anticipo il secondo set poi comunque vinto. A quel punto aveva già fatto 27 errori gratuiti. Non cinque, sei o dieci. Ventisette! Erano 20 già al quarto gioco del secondo set. Sarebbero stati 37 a fine match (contro i 28 di Iga: tanti comunque sia dell’una sia dell’altra, ben più dei vincenti, 19 di Iga, 30 di Karolina che ha fatto la partita).

Buon per lei che anche Iga si è spaventata, ha cominciato a parlare con il suo angolo quasi incredula per il match che fino a qualche minuto prima sembrava quasi chiuso e invece si era riaperto anche per sue indiscutibili responsabilità.

Così Karolina è riuscita in quel frangente ad approfittare della “timidezza” di Iga che ha pensato bene sul 5 pari di commettere, sul 15 pari, un errore dopo l’altro.

Sull’abbrivio di quell’inaspettata resurrezione, Karolina ha approfittato anche del clamoroso disorientamento di Iga per vincere 10 punti consecutivi e portarsi avanti 2-0 nel terzo.

Ora so bene che qualcuno mi darà del male, del maschilista, ma io faccio sempre molta fatica a capire perché succedano certi rovesciamenti di fronte nel tennis femminile.

Forse qualcuno più bravo e meno …maschilista di me – ce ne saranno tanti – mi sa spiegare perché dopo 10 punti consecutivi di Karolina Muchova accade che Iga ne vinca a sua volta 12 dei successivi 14? Per me è un mistero.

E se da un lato mi intriga cercare di sviscerarlo, dall’altro lato a furia di seguire altalene del genere, non riesco ad appassionarmi più di tanto. Forse è come l’approccio alla lirica: o la senti e la capisci, anche senza essere vero melomane, oppure resti agnostico. Forse ignorante.

Non è neppure una questione di break e controbreak. Quelli nel tennis maschile sono una sorta di termometro della qualità. Quando ce ne sono troppi di solito la qualità non è granchè.

Nel femminile non è così. Tutto sommato che le ragazze rispondano meglio di quando servono ci sta. E ci sta anche che dopo un break anda e rianda si arrivi sul 4 pari e lì può succedere di tutto…ma forse, alla fine, di nuovo l’esperienza prende il sopravvento e anche se la Muchova ha la pallabreak per il 5-4, accade invece che Iga riesce a tenere la battuta, dopo di che sul 5-4 per lei la Muchova sbaglia tutto quel che può sbagliare un lob tutt’altro che impossibile, due dritti gratuiti e il tris di Iga è cosa fatta.

Ci credo che poi Karolina piange come un vitello. Non potrà mai facilmente dimenticare che le occasioni le ha avute, che poteva anche vincere, smentire ogni pronostico, e anche che invece ha finito nell’ultimo game e mezzo per fare un regalo dopo l’altro. Vero, peraltro, che soltanto 10 mesi lei era n.235 nel mondo e che, come ho già scritto, dopo l’ennesimo infortunio il suo medico le aveva consigliato di lasciar perdere con il tennis, di attaccare la racchetta al chiodo.

Era una partita in cui lei, pur emozionata come mi è parsa, non aveva nulla da perdere. Quindi, anche per insistere sul confronto a distanza con l’inesperienza palesata da Carlitos Alcaraz – colto da crampi per la troppa tensione all’inizio di un terzo set! Non alla fine del terzo set, che ci può stare. All’inizio…- che però è già n.1 del mondo, sono curioso di vedere se Karolina riuscirà  a mantenersi su questi livelli.

Infatti sul conto di Carlitos e del suo avvenire non ho il minimo dubbio. Invece su quello di Muchova, che -ricordo ancora una volta – meno di un mese fa è stata a un punto dalla sconfitta con Martina Trevisan a Roma, non ho le stesse certezze. Ha classe, ha una buona, anzi ottima mano, un ottimo servizio – cosa che Iga davvero non ha: la seconda di battuta della giocatrice polacca è anzi un punto decisamente debole – ma sbaglia ancora troppe palle facili. Ripeto tuttavia  che lei non ha 26 anni e 9 mesi: tennisticamente ne ha almeno 3 di meno per via di tutti quei suoi infortuni che hanno stoppato la sua carriera. Ma come gioca lei, quando viene a rete ad esempio, mi piace davvero molto. Il coraggio non le manca, la voglia di arrivare – e adesso anche la fiducia – di fare l’ingresso fra le top-ten, ci saranno.

Oggi vedremo se Djokovic accuserà la pressione del 23mo Slam. Io non credo. Mi auguro che Ruud stavolta almeno un set lo vinca. In 4 incontri “italiani” non c’è mai riuscito. Ora sta giocando benissimo, forse meglio di sempre, e forse Djokovic gioca un tantino meno bene del solito. Che Casper vinca un set o qualcosa di più forse ci sta. Spero soltanto che non venga fuori una finale come quella di un anno fa. E che vinca chi se lo merita. 

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Coppa Davis

Coppa Davis – La festa italiana è più gioiosa perché poteva essere un funerale. Ora non si esclude di poter vincere la Coppa Davis n.2

Il sorteggio delle finali martedì. A Malaga Italia fra le squadre più forti. Subito Olanda o Gran Bretagna.
Binaghi sogna una Davis con 4 singolaristi diversi, come aveva invocato Rino Tommasi. Meno male non siamo nella condizione della Svezia

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Italia – Coppa Davis 2023 (foto di Roberto dell'Olivo, Bologna 2023)
Italia – Coppa Davis 2023 (foto di Roberto dell'Olivo, Bologna 2023)

Dalle stalle alle stelle, dall’Inferno al Paradiso? Sembrano luoghi comuni, ma in 72 ore, quando sono state rovesciate in modo rocambolesco non una ma tre partite con il Cile, siamo passati da una quasi certa bruciante eliminazione ad una qualificazione per le finali a 8 nazioni di Malaga dove – assenti Spagna, Stati Uniti e Russia – potremmo teoricamente conquistare addirittura la seconda Coppa Davis della nostra storia.

Il sorteggio sarà fatto martedì. Al momento non sappiamo in quale metà del tabellone capiterà l’Italia, ma sappiamo che nei quarti ci può capitare l’Olanda di Griekspoor e Van de Zandschulp o la Gran Bretagna di Murray ed Evans.

Squadre battibilissime per raggiungere le semifinali se saremo in grado di schierare i nostri migliori tennisti, il “figliol prodigo” Sinner in primis, Berrettini in secundis. Poi, certo, ci sarebbe la Serbia di Novak Djokovic in semifinale.

 

Insomma, credo che a due mesi di distanza da Malaga, se la Davis la si giocasse oggi, credo che la Serbia sarebbe la favorita per via del “mostro” Djokovic e della “bestia nera” dei nostri Djere (senza dimenticare Lajovic che, anche lui ama darci dispiaceri quando può).

Ma… insomma, quando si ascoltano le telecronache tennistiche di questi tempi i vocaboli più abusati sono “incredibile” e “pazzesco”…(insieme all’espressione “spesso e volentieri” anche quando il volentieri non ha alcun senso, ma viene detto comunque), ma devo confessare che qui a Bologna l’uso anche da parte mia di quei vocaboli mi sembra abbastanza giustificato.

Il giorno più…banale è stato certamente l’ultimo, non quello dello 0-3 con il Canada, non quello del 3-0 con il Cile. La Svezia era davvero poca cosa. Perderci una, due, tre partite non era possibile neppure in questa settimana…incredibile e pazzesca!

Leo Borg non ha demeritato contro Arnaldi, ma alla fine ha perso così come aveva perso le altre partite. E’ migliore del suo ranking, 334, ma del padre ha solo il cognome e il passaporto. E Matteo Arnaldi non poteva bagnare meglio il suo esordio che vincendo i due singolari in cui è stato impegnato, rimontando Garin e tenendo a bada Borg junior pur subendo un break nel terzo gioco che tradiva la sua comprensibile tensione.

Noi italiani siamo passionali per antonomasia, così come gli scandinavi – sarà pure uno stereotipo – vengono definiti …freddi.

E allora io mi chiedo come avremmo reagito noi con la nostra passionalità se ci fosse capitato quel che è accaduto al tennis svedese negli ultimi 25 anni.

Prima del ‘98 ultima finale vinta e ultima giocata dagli svedesi, 25 anni fa, la Svezia aveva vinto 7 Coppe Davis (1975, 1984,1985,1987,1994,1997,1998), non una come noi!

E fra l’83 e l’89 aveva giocato sette finali consecutive, vincendone quattro.

La loro ultima Davis l’hanno vinta per l’appunto a Milano 1998 contro l’Italia di Gaudenzi (che si fece male, malissimo, contro Magnus Norman nel set decisivo).

Credo di averle viste tutte, diverse anche commentandole in tv seppur non quella del ’96 a Malmoe quando Stefan Edberg fece il canto del cigno, chiudendo sfortunatamente con un infortunio la sua ultima finale con la Francia. Doppia sfortuna perché quella volta la Svezia ebbe tre matchpoint nel singolare decisivo con la Francia sul 2-2, ma Niklas Kulti finì per perdere con Arnaud Boetsch.

Il contrasto fra i successi svedesi e quelli italiani è stridente.

 Non solo per 7 Coppe Davis a 1, ma per 25 Slam a 3Borg ne vinse 11 (e chissà quanti ne avrebbe vinti se a 26 anni non si fosse stufato dei dirigenti della federtennis internazionale che lo volevano obbligare a giocare troppi tornei quando lui, antesignano dei tempi moderni, avrebbe voluto fare Federer, Nadal e Djokovic e giocare solo i tornei cui teneva, i Majors, qualche Masters 1000…che non si chiamava così), Wilander 7, Edberg 6, Johannson 1. 25 titoli colti in tutti gli Slam, tutte le superfici.

E L’Italia invece solo due di Pietrangeli e uno di Panatta tutti al Roland Garros.

E vogliamo misurare i top-10 svedesi contro quelli italiani?

Beh, 13 svedesi contro 5 italiani nell’Era Open (Più Pietrangeli prima di quell’Era…che sennò si arrabbia! Ma meritava di starci).

E della qualità di quei top-ten vogliamo parlare?

L’Italia ha avuto Panatta, best ranking n.4, Berrettini e Sinner best ranking n.6, Barazzutti n.7, Fognini n.9), la Svezia tre n.1 (Borg, Wilander e Edberg), un n.2 (Norman), tre n.4 (Soderling, Bjorkman e Enqvist, che era qui a Bologna), un n.5 (Jarryd), due n.6 (Sundstrom e Carlsson), due n.7  (Johansson e Nystrom), quattro n.10 (Larsson, Gustafsson, Pernfors e Svensson).

Ma da più di un ventennio  (dal 2002 quando Thomas Johansson vinse l’Australian Open) gli svedesi non hanno praticamente più raccattato pallino.

Vi immaginate le polemiche che sarebbero sorte in Italia se fossimo stati vittime di tali continue debacle?

Se ci fossimo trovati a giocare in Davis con giocatori mezzo etiopi e mezzo italiani, così come i due Ymer sono mezzo etiopi e mezzo svedesi, salvo lanciare in squadra un…figlio di Panatta che fosse classificato n.334 del mondo.

Vabbè dai, allora non lamentiamoci. Stiamo molto meglio degli svedesi. Da un quarto di secolo, più o meno.

 Ho raccolto, e ne parleremo diffusamente, 37 minuti di conferenza stampa di Angelo Binaghi, che abbiamo registrato sia in video sia in audio, e ne faremo sintesi anche testuale dopo che ne ho accennato sommi capi anche nel video che avete sul sito e su You Tube.

Sono d’accordo con Binaghi– udite udite! – sul fatto che se la Davis deve essere assimilata a un campionato del mondo non si possono usare per essa gli stessi parametri di quanto Dwight Davis andò a far coniare la Coppa che ha preso il suo nome nella celebre gioielleria di Boston Shreve&Low&Crump, anno del Signore 1900.

Se la Davis dovrebbe esaltare la profondità del movimento non può farlo basandosi su uno o due giocatori che da soli possono vincerla. Nel ’75 Borg la vinse praticamente da solo, due singolari ogni volta e il doppio con il gigante Ove Bengtson che era appena n.100 del mondo in singolare (quando il 100 di allora giocava come il 250 di oggi).

Binaghi ha ricordato che Rino Tommasi, come al solito ante litteram, aveva suggerito che ogni duello avrebbe dovuto consistere in 4 singolari e un doppio, ma che quei 4 singolari avrebbero dovuto essere giocati da 4 giocatori diversi. In altre occasioni Rino si era spinto più in là: sei singolari e 3 doppi, impegnando quindi 6-7-8 tennisti diversi.

Però Luca Marianantoni ha trovato dove Rino parlò di come sarebbe dovuta cabiare la Coppa Davis. Non l’ha scritto su uno dei suoi libri, ma sul mio Blog Servizi Vincenti, il padre di Ubitennis!

http://www.blogquotidiani.net/tennis/index574f.html?p=2446

Io sono d’accordo in linea di principio…con Tommasi e Binaghi (mai avrei detto che ci saremmo trovati tutti e tre sulla stessa linea!).

Ma aggiungo che si sarebbe dovuto studiare un regolamento diverso soltanto da applicare per le nazioni facenti parte del World Group.

 Perché solo le prime 16 nazioni del mondo –e come abbiamo visto soltanto qui a Bologna con i casi del Canada, del Cile e della Svezia, e senza esaminare le squadre degli altri 3 gironi, purtroppo neppure tutte – possono avere 4 singolaristi “presentabili” televisivamente  per una “Davis-WorldCup” che per conquistare sponsor milionari deve poter garantire audience di primissimo livello.

Se si mostrassero partite tipo Galarneau-Ymer (che erano i n.2, non i n.4 delle loro squadre!), ma anche Garin-Borg…ve l’immaginate l’audience televisiva mondiale? Le guarderebbero a fatica anche in Canada, Svezia e Cile!

Le tv vogliono mostrare solo le star, i n.1. Faticano a mostrare i n.2 che giocano fra loro. Figurarsi i n.3 e i n.4 di squadre deboli. Ma anche di quelle forti se …non hanno nomi reboanti.

Però è vero che qualcosa vada fatto. Le federazioni più ricche – l’Italia è fra queste come quelle che sono proprietarie di Slam o Masters 1000 – possono investire per allargare sempre di più la base, ma la Davis la giocano 170 Paesi e 160 fanno fatica a tirar su un giocatore, due giocatori.

Allestire squadre da 6 o 7 tennisti di buon livello teleguardabile per la stragrande maggioranza dei Paesi è dura, durissima, impossibile.

Ma la stessa ATP dovrebbe avere tutto l’interesse – anziché combattere la Davis come hanno tentato di fare anni fa con la creazione del doppione ATP Cup – a creare più “posti di lavoro” e introiti per singolaristi e doppisti.

Avremo modo di riparlarne. Dal 24 al 26 ci sono le elezioni dell’ITF e vedremo se David Haggerty verrà rieletto o prevarrà l’opposizione filo…tedesca (per la quale è schierata l’Italia).

Nel secondo caso è più facile che qualche riforma passi. Anche se alla base ci vogliono, più che le federazioni, i soldi degli sponsor e delle tv.

Intanto rallegriamoci per lo scampato pericolo. E chissà che a Malaga (21-26 novembre), quando la Davis verrà messa in palio e l’Italia sarà fra le squadre favorite, non venga annunciata qualche grossa novità e qualche importante modifica.

La Davis ha bisogno di una nuova cera che le restituisca il prestigio che aveva. E che ha in buona parte purtroppo perso. Fra i giocatori che la disertano, fra i media, fra gli addetti ai lavori che non hanno a cuore la tradizione del nostro sport.

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Coppa Davis

Coppa Davis: se l’Italia conquista un solo punto con la Svezia, va a Malaga. Gli azzurri ringraziano la sportività del Canada. Si comincia con Arnaldi contro Borg? [VIDEO]

I canadesi, già qualificati, potevano permettersi il “biscotto”. Azzurri superfavoriti. Ymer non fa paura. Altri aneddoti bolognesi su Borg, Ashe, Franchitti, Rino Tommasi

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Canada – Coppa Davis 2023 (foto di Roberto dell'Olivo)

Coppa Davis 2023 – Group Stage
Gauppo A, Bologna

Canada b. Cile 2-1

 

A. Galarneau (CAN) b. A. Tabilo (CHI) 6-3 7-6(5)
N. Jarry (CHI) b. G. Diallo /CAN) 6-4 6-4
V. Pospisil / A. Galarneau (CAN) b. A. Tabilo / T. Barrios Vera (CHI) 6-3 7-6(7)

Ora tutto è nelle mani degli azzurri. Cui basta conquistare anche un solo punto contro la Svezia di Borghettino, alias Borg Junior e del fratello più debole degli Ymer, per staccare il biglietto per le finali di Malaga.

La vittoria del Canada sul Cile ci ha spianato la strada, perché con il Cile, nonostante la vittoria per 3-0 di venerdì, non eravamo messi bene nel conto dei set nel caso Canada, Cile e Italia avessero chiuso il girone con due vittorie per Paese.

Ok che la Coppa Davis regala spesso sorprese, ma questa davvero non sembra possibile: nella peggiore delle ipotesi gli azzurri possono perdere un match, addirittura due match, ma perderne tre sarebbe da fantascienza. Non succederà.

Non è mai facile fare il capitano di Coppa Davis. Perfino Nicolas Massu, cui tutti riconoscono grande personalità e capacità, ha probabilmente sbagliato a buttare nella mischia il doppista nato in Canada Alejandro Tabilo al posto di Cristian Garin.

Chissà, forse lo ha scelto proprio per via dei suoi natali canadesi e perché aveva giocato almeno tre volte (vincendo) con Galarneau anni addietro.

Fatto sta che Tabilo ha deluso, ha perso in due set (6-3,7-6) pur avendo avuto due setpoint per andare al terzo. E ora in Cile si chiedono perché abbia messo in campo il doppista mancino che insieme a Barrios Vera aveva finito di giocare e perdere il doppio contro Musetti e Sonego dopo la mezzanotte, quando Garin – seppur non entusiasmante ieri contro Arnaldi dopo un bel primo set – ha certo maggior esperienza e qualità.

Il Canada, già matematicamente qualificato ieri sera – come primo o come secondo – avrebbe potuto permettersi di fare il cosiddetto “biscotto” per favorire a Malaga la presenza cilena e togliere di torno in Spagna la più temibile Italia (con Berrettini e Sinner…), ma queste cose succedono più facilmente nel calcio che, fortunatamente, nel tennis.

Grazie Canada quindi. E ora Arnaldi batta Borg e si stacca il biglietto.

Leo Borg qui è piaciuto anche se ha perso 2 partite su 2 e a chi è n.334 ATP non si poteva chiedere anche che vincesse.  Anche se è il figlio di Borg. Che ora, sempre che giochi, batta il nostro …eroe dell’ultima ora, Matteo Arnaldi, mi sembra francamente super improbabile anche se giornalisticamente un exploit di “Borghettino” nella città in cui nel 1975 trionfò papà Borg –nel leggendario Palasport di piazza Azzarita, nel tempio del basket – beh sarebbe una storia non da poco. Lo dico non da anti-italiano – lo premetto eh, perché conosco i miei polli e i maligni imperversano sempre! –  ma da giornalista che ama le storie più belle, sorprendenti e imprevedibili.   

A Bologna si giocarono sette edizioni tra il 1971 e i 1981. La prima fu una bellissima finale tra Rod Laver e Arthur Ashe, ancorché vinta in 3 set dall’australiano bis-campione del Grande Slam (1962-1969), sebbene avesse quasi 33 anni. Arthur Ashe avrebbe vinto Wimbledon quattro anni dopo, nel ’75, primo “nero” a trionfare in Church Road.

Per darvi un’idea del livello di quel torneo…la finale del doppio fu vinta da Rosewall-Stolle contro McMillan-Maud. Quella finale che vinse Borg senior, nel ’75, fu ancora più bella e incerta di quella del ‘71: Bjorn la vinse 7-6,4-6,7-6 ancora ai danni di Arthur Ashe, mentre il doppio lo vinsero Panatta e Bertolucci su Ashe e Okker. Ricordo Arthur, che a Bologna aveva perso in finale anche il doppio del ’74 –lui e Roscoe Tanner da Borg  e Bengtson – dichiarare: “A Bologna mi trovo benissimo, si mangia ancor meglio, però di 4 finali fra singolare e doppio non ne ho vinta una!”.

Non ricordo invece se fu sempre a Bologna che Arthur disse a Rino Tommasi: “Se non ci fossi tu Rino, non saprei mai quante volte di fila ho perso da Rod Laver!”.

A Bologna nel ’71 in effetti Laver vinse l’11mo duello su 11! A fine carriera, ma Ashe approfittò dell’età più avanzata di Rocket Rod, il bilancio fu 20 a 3 per Laver.

Ancora non c’erano i computer né Internet e…mi viene in mente un altro aneddoto, quello di Rino che disse, e non so fino a che punto scherzando: “Prima dell’arrivo di Internet, Internet era Rino Tommasi!”.

Visto che sono in vena di ricordi, sapete da chi perse Bjorn Borg a Bologna nel 1974?

Da Vincenzo Franchitti-Vettesi. Il romano vinse 6-3,6-4. Se “googlate” trovate la foto storica dei due protagonisti, post match, su Facebook. E in quel Facebook viene ricordato anche che l’anno dopo Bjorn, che evidentemente non se l’era presa a male per quella inopinata sconfitta, decise di giocare il doppio proprio con Vincenzo.

 I due improvvisati compagni persero dai fortissimi sudafricani Hewitt e McMillan, una coppia che ha vinto Wimbledon due volte; una volta senza mai perdere il servizio e un’altra senza mai parlarsi perché avevano litigato, ma tuttavia convennero che non era il caso di separare una coppia vincente.

Spendo qui di seguito un ultimo aneddoto che forse potrei non avere più occasione di spendere (o ricordare).

Con Panatta, Bertolucci, Lombardi, Meneghini, Zardo, Avanzo, Franco Bartoni, Di Matteo, Matteoli, Binetti e Franchitti (più altri) ero stato convocato durante le vacanze di Natale da Mario Belardinelli al college della nazionale junior a Formia.

Belardinelli, che era nato proprio in questi giorni in cui si è rievocata la finale in Cile del 1976, era un padre burbero ed affettuoso con tutti, ma con lui non si doveva scherzare troppo in termini di disciplina.

Guai se Bertolucci, fisso a dieta, si permetteva di mangiare dolci nella pasticceria vicina – anche perché Panatta trovava subito modo di… denunciarlo al sor Mario – ma guai anche con chi di nascosto acquistava riviste osé.

Non porno, che a quei tempi non esistevano. Ebbene una sera Franchitti rientra nel college con un vistoso involucro nascosto sotto un maglione. Belardinelli lo scorge e gli dice: “Vincè, che hai lì sotto?Fammi un po’ vedè…”.

 Lui, arrossendo tira fuori una rivista, si chiamava “Bang!”, che mostra in copertina a tutta pagina una donna procace a seno nudo e prorompente. Il massimo permesso dalla censura italiana a quei tempi. Belardinelli esplode: “Tu domani vai a casa!”. Vincenzo reagisce nel modo più imprevedibile: “Sor Belardinelli, mi scusi ma io ho letto “Bang!” e credevo che fosse di cowboy!”.

Inutile dire che tutti scoppiamo a ridere fragorosamente e perfino il severo sor Mario non riesce a non ridere. Franchitti viene perdonato!

Ora ditemi come faccio a riprendere il filo della Coppa Davis…

Vabbè, ho scritto tutto ciò mentre i cileni – di cui da italiani non dovevamo augurarci la vittoria – avevano pareggiato con Jarry vittorioso su Diallo l’1-0 conquistato da Galarneau su Tabilo. E poi, perso il primo set del doppio giocato da Barrios Vera e Tabilo contro Galarneau-Pospisil, nel secondo i cileni avevano conquistato 3 setpoint di fila sul 5-4 e servizio Pospisil. Vanificati anch’essi, proprio come i quattro matchpoint di Jarry con Sonego. Per il Cile qui a Bologna è stato davvero il festival delle occasioni perdute. Hanno avuto quei 4 matchpoint, più 3 setpoint nel doppio e 2 setpoint Tabilo nel secondo set. Nove opportunità che stanno facendo piangere alcuni aficionados cileni.  Cui si aggiungono situazioni di punteggio che Massu non smette di enumerare, il vantaggio di un set di Garin su Arnaldi, i 4 matchpoint naturalmente e il centimetro di riga su cui ha servito Sonego per annullare tre dei quattro Matchpoint, il 6-3,3-1 del doppio contro l’Italia.
Mentre gli azzurri potrebbero già festeggiare…ma è meglio che non lo facciano. Vincano prima quel fatidico punto che ancora a loro manca. Forza Matteo, pensaci tu. Senza farci soffrire con un altro match di qualche Lorenzo.

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Coppa Davis

Coppa Davis: tre rimonte e 3-0 dell’Italia sul Cile. Oggi gli azzurri tifano Canada contro il Cile [VIDEO]

Dando per scontato che l’Italia batta il vaso di coccio Svezia la vittoria canadese garantirebbe il nostro viaggio a Malaga. Se il Cile battesse il Canada 3-0, anche in caso di vittoria azzurra sulla Svezia si andrebbe al conteggio dei set

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Matteo Arnaldi e Matteo Berrettini – Coppa Davis 2023 (foto di Roberto dell'Olivo)

La situazione è grave ma non è seria. C’è stato un colpo di coda quasi inatteso per come si erano messe le cose post drammatico 0-3 con il Canada e poi con il Cile, soprattutto dopo il primo set perso 6-2 da Arnaldi con Garin, ma anche quando Jarry ha avuto 4 matchpoint con Sonego sul 6-3,5-4 (Lorenzo li ha annullati con una volée e tre servizi vincenti). Poi, siccome non bastava… l’Italia del doppio Musetti-Sonego (con i due doppisti “titolari” Bolelli e Vavassori in panchina) ha rimontato anch’essa un set di svantaggio e ha conquistato (6-7,6-3,7-6) un 3-0 quasi inaspettato per come si erano messe le cose.

Quindi ora l’ItalDavis, acciuffato quasi per i capelli il successo più netto sui cileni eredi di Fillol e Cornejo (soprattutto del primo, nonno di Jarry…) può ancora pensare di farcela a qualificarsi per le finali di Malaga, anche se nel computo dei set non sta messa bene.

 

Per intanto… non si dica che le statistiche non contano: siamo 0-4 con il Canada e 7-0 con il Cile.

Ecco lo scenario attuale.

Avendo battuto il Cile per 3-0… se il Cile battesse il Canada 3-0 e l’Italia battesse la Svezia si andrebbe al conteggio dei set. In questo caso, come dicevo, l’Italia non sta messa bene, perché con il Canada ha perso due match 2 set a zero, mentre il Cile con noi li ha persi entrambi in 3 set… Ma se il Canada batte il Cile… ecco che passa l’Italia, quale seconda, anche vincendo soltanto 2-1 con la Svezia.

Domanda d’obbligo: ma chi è favorito fra Canada e Cile?

Risposta difficile. Forse potrebbe decidere il primo singolare…

Insomma, consoliamoci per il momento perché  almeno non c’è stata la temuta … ”caduta Massú”. La battuta, riferita al cognome del capitano dei cileni per chi non l’avesse colta, è copyright di Luca Boschetto.

Siamo ancora in vita perché è stato bravo davvero Matteo Arnaldi a non demoralizzarsi dopo quel brutto primo set che avrebbe potuto incrinare l’autostima di un esordiente meno solido di nervi.

E molto bravo è stato anche Lorenzo Sonego a dimenticare la pesante sconfitta patita mercoledì con il n.200 del mondo Galarneau e a confermarsi sempre più attendibile e a suo agio quando deve giocare contro pronostico che da favorito: Jarry è n.22 del mondo.

Vien da dire, semplificando forse con un eccesso di brutalità, che Sonego sia forte con i forti e debole con i deboli.

Cercando di recuperare, a proposito dell’exploit di Arnaldi, un esordio azzurro storicamente altrettanto promettente, è venuto fuori grazie a una ricerca di Michelangelo Sottili, quello di Omar Camporese a Malmoe. Scelto a sorpresa da Adriano Panatta, che escluse Paolo Canè reo di una preparazione non troppo seria insieme a Diego Nargiso, il 3 febbraio 1989 Omar, ventenne, sorprese nettamente, 75 63 62, Mikael Pernfors, che era stato finalista al Roland Garros nel 1986 e due anni e mezzo prima era n.10 del mondo.

Battere in casa il n.103 ed ex n.17, Garin, non vale quanto l’exploit di Camporese a Malmoe, ma è comunque un ottimo presagio per la carriera del ventiduenne sanremese.

Omar Camporese ha vinto tornei molto importanti, uno a Rotterdam 1991 battendo Ivan Lendl, 31 anni ma ancora n.3 del mondo…come dimenticarlo? Raccontammo in cabina tv con il mai abbastanza rimpianto Robertino Lombardi per Tele+ quella straordinaria e memorabile finale (3-6,7-6,7-6, entrambi i tiebreak vinti per 7 punti a 4, con il matchpoint annullato sul 5-4 del terzo set…

Un altro grande torneo Omar lo vinse l’anno dopo (1992) a Milano, da n.24 del mondo battendo Goran Ivanisevic 3-6,6-3,6-4 dopo che nel corso del torneo aveva salvato 3 matchpoint con il qualificato e buon doppista olandese Tom Nijssen. Ma il tennis-elbow aveva cominciato a perseguitare Camporese, il cui best ranking è stato n.18 nel febbraio del ’92 (a 23 anni) che sarebbe stato presto costretto ad arrendersi. Le cure non sortirono l’effetto sperato. Beh io credo che Arnaldi forse sottoscriverebbe una carriera che lo portasse a n.18 del mondo. Ma forse anche no. Dopo aver perso da Alcaraz negli ottavi all’US Open ha detto: “Non mi è parso che ci fosse una distanza siderale”. Il ragazzo, insomma, ha fiducia nei propri mezzi. Più di quanta ne avesse avuta Filippo Volandri fino a mercoledì. Ora ha probabilmente cambiato idea.

Per quanto riguarda Lorenzo Sonego, “riabilitato” da Volandri e preferito a Musetti in singolare e poi addirittura schierato mezzora dopo anche nel doppio vincente, mi pare giusto ricordare… per dare a Sonego quel che è di Sonego – così come ieri segnalai le sue sconfitte con giocatori classificati oltre il 199mo postoquattro vittorie su quattro in Coppa Davis quando ha affrontato tennisti meglio classificati di lui: Opelka, Tiafoe, Shapovalov e ora Jarry.

Va detto – spero siate d’accordo – che si tratta di un caso davvero strano. Gipo Arbino, il suo coach, ha sempre sostenuto le qualità di guerriero di Lorenzo – e per dargli ragione va ricordato che in almeno otto occasioni Sonego ha vinto match nei quali aveva dovuto fronteggiare un matchpoint – però perché queste qualità da “duro” si ammorbidiscano pazzescamente quando invece deve giocare contro tennisti peggio classificati – e a volte molto ma molto peggio classificati di lui – è un mistero che dovrebbe essere “sciolto” da un mental coach o da uno psicologo.

Possibile che se uno ha qualità per battere dei top-ten in certe altre situazioni queste svaniscano al punto da soccombere con giocatori over 200? Mah. Io non sono né mental coach né psicologo, quindi… ammetto, non so proprio spiegarmelo, ergo spiegarvelo.

Ma stamani – con la partita finita pochi minuti dopo la mezzanotte –  dai, va bene così. I ragionieri che leggono Ubitennis ci dicano se abbiamo sbagliato qualche calcolo. A Matematica, al liceo, io faticavo a prendere la sufficienza.

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