Coppa Davis, alla ricerca della formula perfetta: più moderna o tradizionale?

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Coppa Davis, alla ricerca della formula perfetta: più moderna o tradizionale?

La più antica manifestazione del tennis merita di più, ma nel 2024 non cambierà nulla, sebbene Djokovic e Hewitt invochino modifiche

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Coppa Davis - credits Comune di Milano/Daniele Mascolo
 

Le differenze tra la Coppa Davis di una volta e quella di oggi

La prima edizione ufficiale di Coppia Davis si giocò nel 1900 al Longwood Cricket Club di Boston. La sfida, l’unica, era tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Con il passare degli anni, il format si allargò ad altre nazioni, inizialmente, a Belgio, Austria, Francia e Australasia, una squadra composta da giocatori australiani e neozelandesi. Nel 1922 arrivò l’Italia, e nel 1976, l’unica vittoria prima del 2023, quella di Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli, capitanati da Nicola Pietrangeli.

La Coppa Davis di una volta, quella che vinsero i protagonisti del docufilm “Una squadra” era molto diversa da quella di oggi. Durava una stagione intera, si giocava sia in casa che in giro per il mondo. La sfida tra due nazioni era composta da cinque incontri che caratterizzavano ogni week-end di gara due singolari il venerdì, il doppio il sabato e gli ultimi due singolari la domenica. Tutte le partite erano decise sulla distanza dei tre set su cinque. Era una Davis che poteva costare la retrocessione dal circuito Mondiale o spronare le squadre alla promozione. Era l’insalatiera (coniata nella prestigiosa gioielleria di Shreve&Crump&Low a Boston dal suo “creatore” Dwight Davis) che tutti volevano per centrare un’impresa da campioni.

Nel 2019, la Federazione internazionale del tennis ha sottoscritto un accordo di 25 anni (per quasi due miliardi e mezzo di euro) con Kosmos, fondo di investimento del difensore del Barcellona, Gerard Piqué, che ha raccontato di aver avuto l’idea di modificare il format della competizione durante il Mondiale del 2010, vinto in Sudafrica. Da quel giorno, la Coppa Davis occupa tre settimane del calendario annuale delle squadre partecipanti. La prima settimana di febbraio, 24 Paesi giocano 12 match a eliminazione diretta del World Group I. Ai 12 Paesi qualificati vengono aggiunti 4 wild card per giocare nella fase a girone di settembre. La terza settimana del mese, il Group Stage, quindi quattro gruppi da 4 squadre, si sfida in diverse città (nel 2023 sono state Bologna, Manchester, Valencia e Spalato). Le prime due squadre di ogni gruppo partecipano alle Final 8 di Malaga, la terza settimana di novembre. Le sfide tra Nazioni prevedono due singolari e un doppio finale, e i match sono diventati al meglio dei tre set.

Alla ricerca della formula per rendere la Coppa Davis contemporanea, mantenendo la tradizione

Qualcuno ha detto che la nuova Coppa Davis targata Piqué non piace a nessuno. Ma non è vero che non piace a nessuno. Ci sono degli aspetti positivi quali: l’importanza del doppio, che oggi vale il 33% sul punteggio anziché il 20% e può essere il match decisivo dell’incontro; l’importanza ridotta del numero 1 di una squadra che oggi ha il 33% sul punteggio finale e non più il 40%. Oltre al fatto che la formula di oggi favorisce le sorprese: si può vincere una finale addirittura con due sole partite, anziché cinque, e il fatto che non si giochi più sulla distanza dei tre set su cinque rende le partite più equilibrate, eliminando il divario che viene fuori tra i giocatori sulla distanza. Ma la più antica manifestazione nazionale a squadre del nostro sport va migliorata, e il primo a dirlo fuori dai denti è stato proprio il numero 1 del mondo: “Bisogna mettere la questione sul tavolo e discuterne, ma non a porte chiuseha detto Djokovic, “Dobbiamo discutere con i giocatori e con le squadre. Tutti dovrebbero avere voce in capitolo, finora nessuno della federazione internazionale è venuto a parlare con noi”. Forse la prima soluzione potrebbe essere proprio questa, confrontarsi apertamente con i veri protagonisti della competizione.

Il rischio maggiore di questa formula è sicuramente quello di annullare definitivamente la storia di questa Coppa e quello che rappresenta: la forza e l’unione di una squadra nazionale. La formula attuale rischia di trasformare definitivamente la Coppa Davis in una sfida meramente agonistica. Questa formula moderna fomenta l’agonismo estremo, lasciando in panchina tanti validi giocatori che dovrebbero giocare. La vittoria si può raggiungere troppo facilmente, bastano due singolari vinti ed è chiusa. Un processo eccessivamente veloce se si parla di rappresentare una squadra composta dai migliori giocatori di una nazione. Troppo veloce se si parla di una competizione nata nel 1900.

Dave Haggerty, il presidente della Federazione Internazionale, ha detto che la semifinale Serbia-Italia resterà a lungo indimenticabile. Ma solamente per via di un raro caso in cui il doppio è stato davvero decisivo, e solamente per quei tre match-point consecutivi salvati da Sinner che certamente rimarranno indimenticabili. Altrimenti, la semifinale sarebbe stata facilmente dimenticabile. Questo dimostra come la probabilità di assistere a una sfida emozionante e coinvolgente come vuole essere la Davis sia molto difficile con questa formula. Proprio com’è successo nella finale giocata a Malaga, il doppio decisivo, che avrebbe visto in campo i campioni di Wimbledon 2022, Ebden-Purcell, non si è giocato. Una formula che, come in questo caso, non ha fatto nient’altro che alimentare una marginalità sempre più importante del doppio maschile. La Finale di Coppa Davis di quest’anno, se vogliamo guardarla a freddo, senza il trasporto emotivo della vittoria ottenuta dall’Italia, è stata una finale alquanto esile, dove non si è messa pienamente in gioco una intera squadra. E’ bastata una buona prestazione di Arnaldi e la firma sulla coppa di chi ha conquistato questa Davis: Jannik Sinner.

Quindi, la prima soluzione pensabile sarebbe quella di riproporre come nel passato 4 singoli e un doppio, ma dove si vedrebbero schierati 4 singolaristi diversi. In questo modo si andrebbe ad esaltare il concetto di squadra sul quale si basa la Coppa Davis, per misurare la forza effettiva e la qualità di un Paese dal punto di vista tennistico. La competizione acquisirebbe maggiore credibilità, dal momento che non basterebbero più solamente due specialisti del campo veloce per battere una squadra, in mezza giornata, ma anche gli specialisti della terra battuta o dell’erba. La sfida potrebbe spalmarsi su due giornate, al posto della singola giornata prevista oggi ma neanche su tre giornate come una volta, per dare l’opportunità ai giocatori del singolo di giocare eventualmente anche il doppio con un po’ di riposo alle spalle. Le squadre che ad oggi possono permettersi di schierare quattro singolaristi forti sono tante (Stati Uniti, Italia, Russia, Spagna, Croazia, Serbia, Portogallo, Argentina, Francia, Germania, Canada) e probabilmente le federazioni nazionali sarebbero motivate a lavorare per creare un numero maggiore di professionisti all’altezza della competizione. Ma avendo a disposizione, per le varie fasi, tre settimane soltanto all’anno (per il World Group) qualsiasi ampliamento di formula (più singolari, più giorni) finirebbe però per creare grossi problemi logistici. Le strutture indoor dispongono per solito di un solo campo con tribune adeguate…

Anche il Paese che ospita le Finals, ormai da cinque anni è la Spagna, andrebbe cambiato. Ma intanto finché le finali ATP si giocano in Europa e si concludono due giorni prima dell’inizio della fase finale della Coppa Davis è impensabile che la fase finale possa essere giocata in un continente diverso da quello europeo. E la sede delle Finali ATP è sempre stata condizionata dalla presenza dei giocatori più forti. Si giocava negli Stati Uniti quando il tennis mondiale era dominato dagli americani, poi le Finali ATP si trasferirono a fine Anni Ottanta in Germania per via di Becker e Stich, quini tornarono negli USA per via di Sampras, Agassi, Courier e Chang, e dal 2012 a Londra perché i Fab Four e i più forti tennisti erano europei. Da Londra siamo passati a Torino e l’Italia farà di tutto per trattenere le finali nel nostro Paese a seguito del “Rinascimento” del tennis italiano, dell'”esplosione” di Sinner e soci. Le speranze australiane di poter ospitare una fase finale sono esigue, anche se in Australia il fascino della Coppa Davis è molto più sentito che in tanti altri Paesi. Ancora una volta è stato Djokovic a parlare di questo tema:Come squadra, non abbiamo potuto giocare in Serbia per molti anni, questo non è il massimo. La nostra gente non ha avuto la possibilità di venire a tifarci, soprattutto i giovani, i giovani tennisti. Ritengo che il formato migliore sia un mix tra quello vecchio e quello nuovo, questo non è il massimo e ne dovremmo parlare. Le Finals dovrebbero cambiare sede ogni anno”.

Un futuro ancora molto incerto

Nonostante sia ormai chiaro a tutti che qualcosa andrebbe fatto al più presto, nel 2024 non si cambierà ancora nulla. La formula rimarrà uguale: gironi di qualificazione a febbraio e poi Finals a settembre in casa di una delle squadre partecipanti, Manchester, Valencia e Bologna sono già tra queste, la Finlandia è in coda. Il problema di alcune città dove si svolgono le competizioni è che, se non coinvolgono il Paese ospitante, gli stadi si svuotano con effetti disastrosi, sia economici, che di immagine. E una soluzione andrebbe pensata anche per questo. Qualcuno ha detto che dal 2025 si potrebbe iniziare a giocare la Coppa Davis con cadenza biennale, un po’ come gli Europei di calcio che si giocano ogni quattro anni. Ma l’ITF non vorrà mai cedere il proprio spazio all’ATP… salvo che l’ATP cedesse ogni due anni più settimane all’ITF. Ma ai giocatori questo piacerebbe? Sono alla fine pochi quelli impegnati in Coppa Davis… Niente sembra facile, ma speriamo che la Coppa Davis trovi presto la formula di compromesso che le spetterebbe nel solco di una fantastica tradizione ultracentenaria.

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