Martina Navratilova e Chris Evert ancora contro l’Arabia Saudita: “Sarebbe un grave errore organizzare là le WTA Finals”

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Martina Navratilova e Chris Evert ancora contro l’Arabia Saudita: “Sarebbe un grave errore organizzare là le WTA Finals”

Le due ex-campionesse proseguono la loro crociata contro l’assegnazione del torneo ad un paese fortemente arretrato in materia di diritti umani

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Sul Washington Post di giovedì 25 gennaio possiamo leggere di una nuova pagina della campagna di sensibilizzazione di cui Martina Navratilova e Chris Evert sono fiere protagoniste in merito alla scelta di allacciare una importante collaborazione tra il circuito femminile e l’Arabia Saudita. Le due attrici di una delle più grandi rivalità sportive di tutti i tempi tornano infatti a deplorare l’eventuale assegnazione da parte della WTA al regno saudita dell’organizzazione delle Finals.

Il torneo di fine stagione, dopo il peregrinare incerto delle ultime edizioni culminato con l’edizione di Cancun tormentata da condizioni climatiche sciagurate, troverebbe sicuramente un approdo più stabile e riccamente remunerato. Ma, come sostengono da tempo le due leggende americane, rappresenterebbe un “passo indietro, l’ennesimo episodio di sportwashing”, attività che, tramite l’impeccabile organizzazione di un evento “occidentale”, vorrebbe far dimenticare al mondo la delicatissima questione dei diritti civili negati alle donne e ad altre categorie quali per esempio quella degli omosessuali.

Qualora determinati aspetti in quel paese cambiassero significativamente” – proseguono Chris e Martina – “sosterremmo certamente la candidatura”. Come è noto, il paese mediorientale ha iniziato a ospitare le ATP Next Gen Finals lo scorso novembre con un contratto che si estende fino al 2027; inoltre, ha ingaggiato come ambasciatore del tennis saudita Rafa Nadal, con un accordo che prevede l’apertura in loco di una academy con il nome dell’asso iberico.

La WTA è bene attenta a non scontentare (per ora) nessuno e, lodando e promettendo di tenere in considerazione l’engagement di due tenniste che hanno reso celebre il movimento in tutto il globo con la loro rivalità, si ripromette di “muoversi per lo sviluppo a lungo termine del tennis femminile e per l’organizzazione di un grande evento di livello mondiale per giocatrici e fan”. L’impressione è che il punto di vista dell’illustre binomio sia al momento un mal di denti da curare e disinnescare con accorta sensibilità. Un aiuto importante e non del tutto inaspettato è quello della pragmatica Billie Jean King, che vede nello spostamento a oriente dell’attività agonistica proprio “un’occasione per avviare il cambiamento. Coco Gauff si riconosce nelle posizioni della ex-campionessa cui è intitolata la più importante competizione a squadre.

Il principe ereditario Mohamed bin Salman ha lavorato per permettere al suo paese di uscire dall’isolamento dopo la funesta vicenda dell’assassinio del reporter del Washington Post Jamal Khashoggi, unendo a questo intento la volontà di diversificare le attività economiche del paese, diminuendo in tal modo l’importanza relativa dei profitti derivanti dal petrolio. Si registrano anche dei passi in avanti nella concessione di nuove libertà alla popolazione e alle minoranze, ma ovviamente lo stato delle cose è assai distante da quello occidentale.

Ma cosa hanno scritto in particolare Chris e Martina? Le due donne si uniscono addirittura in un sinergico “Evertilova” per dare nuovo vigore alla loro battaglia: “Siamo diverse, una è silenziosa e l’altra è più inquieta; ci siamo combattute sul campo con grande intensità. Siamo poi diventate amiche, abbiamo sconfitto il cancro e continuiamo a dedicarci a quanto abbiamo contribuito a costruire in cinquant’anni: un circuito fondato sull’uguaglianza, per dare potere alle donne in un mondo dominato dai maschi. Tutto questo è ora in pericolo: la WTA è sul punto di concedere il torneo fiore all’occhiello del circuito all’Arabia Saudita.

Confermando il pieno rispetto nei confronti delle diverse culture, proprio in nome di questo principio ci opponiamo a questa scelta, che va in direzione contraria rispetto agli stessi principi dell’associazione. In quel paese le donne, lungi dal vivere in una condizione di uguaglianza, sono proprietà degli uomini. Non esiste nessuna concessione al movimento LGBTQ, che viene criminalizzato e i cui membri rischiano anche la pena capitale per il loro orientamento sessuale. Giocare lì rappresenterebbe una regressione, non un progresso per il movimento.

Ci aspettiamo che la WTA avvii un dibattito aperto in merito, coinvolgendo degli esperti in diritti umani per chiarire ogni aspetto e valutare se l’Arabia Saudita sia un passo opportuno nella direzione dello sviluppo del circuito o se siamo di fronte all’ennesima operazione di sportwashing. La WTA dovrebbe istituire un quadro normativo sui diritti umani, pensando in tal modo a difendere le prerogative di atlete ma anche di personale dipendente: in quel paese le attiviste per i diritti civili delle donne hanno subito arresti, divieti di spostamento e anche torture.

L’associazione dovrebbe rivedere i suoi valori fondanti, valori che sono ben distanti dall’essere osservati in Arabia Saudita; se viceversa nei prossimi cinque anni si registrassero cambi di direzione nel rispetto dei diritti umani, anche la nostra posizione cambierebbe”.

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