Seppi lancia l'Italia: "Valiamo molto" (Crivelli). "Noi favoriti? Lo dirò dopo il terzo punto" (Crivelli). C'è Laaksonen, l'uomo di ghiaccio (Cocchi). Laaksonen, l'uomo che non ride mai (e.f.). Lorenzi si veste da grande (Ferri). Vai Italia: la Svizzera è servita (Giorni). Bassani, il mio amico poeta e i nostri dialoghi con la racchetta - Giorgio Bassani (Clerici)

Rassegna stampa

Seppi lancia l’Italia: “Valiamo molto” (Crivelli). “Noi favoriti? Lo dirò dopo il terzo punto” (Crivelli). C’è Laaksonen, l’uomo di ghiaccio (Cocchi). Laaksonen, l’uomo che non ride mai (e.f.). Lorenzi si veste da grande (Ferri). Vai Italia: la Svizzera è servita (Giorni). Bassani, il mio amico poeta e i nostri dialoghi con la racchetta – Giorgio Bassani (Clerici)

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Seppi lancia l’Italia: “Valiamo molto” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Con Fognini presente solo sui manifesti che tappezzano la città (anche se sarà a bordo campo a tifare), toccherà a Seppi guidare da leader l’Italia contro la Svizzera nel primo turno di Davis: lo dicono la classifica (Andreas qui è il primo italiano, numero 40 Atp), l’esperienza (35 partite giocate tra singolare e doppio) e il palmarès (è l’unico tra tutti i convocati ad aver vinto almeno un torneo Atp). Andreas, giocare da favoriti toglie pressione o la aggi? «Mah, secondo me cambia poco. Sappiamo che la Davis è una competizione a parte, dove tante volte i valori vengono ribaltati, ma l’Italia da qualche anno ha dimostrato di essere tra le squadre più forti. Anche nei tornei ti capita di giocare con avversari apparentemente più deboli, e anche li devi gestire la tensione del match». Però in questa sfida le gerarchie sembrano davvero motto definite. «Apparentemente è così. Secondo me, però, è anche merito dell’Italia, questo gruppo è molto compatto, solido, competitivo su tutte le superfici». Dove può arrivare quest’Italia? «Non dimentichiamoci che solo due anni fa siamo stati capaci di raggiungere la semifinale. Poi è vero che in Davis contano anche altri fattori, ci vuole un po’ di fortuna con i sorteggi e magari puoi sfruttare l’assenza di qualche big. Guardate cos’è successo al Belgio l’anno scorso, che ha sempre giocato in casa. Sicuramente, quando tornerà anche Fognini, l’Italia sarà una squadra tosta e difficile per tutti. Valiamo molto e lo sappiamo». 11 suo rapporto con la Davis, alrmizio, non è stato idiliaco. «Forse soffrivo un po’ la tensione, la gara a squadre cambia le responsabilità. Però negli anni abbiamo costruito un team vero, che sta bene insieme e si diverte. lo resto orgoglioso di vestire la maglia azzurra». Il weekend di Davis arriva per lei dopo un inizio stagione difficile: quests sfida può essere una svolta? «E’ vero, in questi due mesi in singolare ho ottenuto risultati diversi da quelli che mi sarei aspettato, ma credo sia più una questione mentale che tecnica. *** perché come gioco sento di stare bene. Certo, la Davis cambia un po’ le prospettive, non ragioni più come singolo ma ti rapporti col gruppo, forse in questo momento serve per liberarmi un po’ la testa». In compenso, in doppio, è arrivato i successo con Bolelli a Dubai. «Una vittoria emozionante, era la mia prima in doppio e dunque resterà per sempre un grande ricordo. Una settimana perfetta, che è servita per ricaricare il morale, spero di portarmi dietro quella spinta anche in Davis». E dal punto di vista tecnico, che vittoria è stata, anche in prospettiva Davis? «Vincere aiuta a vincere. Quanto alle prospettive, Fognini e Bolelli insieme hanno vinto uno Slam e hanno giocato un Masters, sono la coppia titolare, ma Simone ed io abbiamo dimostrato che si può contare su di noi». Com’è ritrovare la terra dopo otto mesi? «È un dettaglio da non sottovalutare, anche perché i primi giorni i campi erano troppo morbidi. Adesso però mi sembrano perfetti, la terra è la nostra superficie d’elezione, quindi l’adattamento non deve diventare un alibi. Saremo pronti e concentrati».

“Noi favoriti? Lo dirò dopo il terzo punto” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

La splendida scena del Teatro Rossini, quel palco e quei palchi che trasudano storia ed emozioni, e poi le arie memorabili del Maestro. Contasse solo il sorteggio, per l’Italia e le sue bellezze sarebbe già un trionfo. CAUTELA. Non che la sfida con la Svizzera non possa toccare il diapason della letizia, peraltro, visto che Federer ha un ginocchio in ristrutturazione e si è goduto da vicino la serata degli Oscar, mentre Wawrinka ha preferito i dollari di una ricca esibizione americana alla trasferta adriatica. Insomma, i dioscuri in rossocrociato che ci hanno bastonato negli ultimi duelli stavolta non ci sono e la classifica, il fattore campo e l’oggettivo valore degli azzurri raccontano di un incrocio dal pronostico chiuso. A nostro favore. Anche se capitan Barazzutti, vecchio lupo di mare, come da ruolo non può fidarsi: «In Coppa Davis, lo sappiamo, il ranking conta fino a un certo punto e ogni partita nasconde delle insidie. Cominciamo a rispettare i nostri avversari, essere favoriti può essere positivo ma ve lo dirò quando avremo vinto tre match». Assecondando le sensazioni di questi giorni a Pesaro e anche la condizione mostrata dai suoi nei primi due mesi dell’anno, il c.t. va con Lorenzi e Seppi per i primi due singolari, confortato anche da un doppio improvvisato ma di qualità come quello di Andreas con Bolelli, fresco vincitore a Dubai. TOCCA A PAOLINO. Primo match di giornata, dunque, che diventa un giusto premio alla forma e ai progressi mai estinti di Paolino Lorenzi, il romano di nascita ormai più senese dei senesi, eccellente nell’inverno sul rosso e pronto a domare la tensione: «La terra è un po’ la mia casa anche se sono rimasto sorpreso dai progressi sul cemento. Subito in campo? Ora sono abituato a certi palcoscenici, dal momento che da qualche stagione sono riuscito ad entrare nei tornei più importanti. E poi ho rotto il ghiaccio nel 2013 con Cilic, nel primo set presi 6-1 senza quasi toccare palla…». Numero 54 del mondo, vicino alla sua classifica migliore (49, marzo 2013), Lorenzi stupisce perché a 34 anni non se ne conoscono ancora i limiti: «A dire il vero sono ormai 4-5 anni che mi chiedono quanto resisterò a certi livelli, io so solo che lavoro ogni giorno per cercare di migliorarmi. La carriera dipende dagli infortuni, l’anno scorso ne ho avuti troppi, ecco perché spero di potermi gestire meglio e giocare un po’ meno nel 2016». Quanto al pronostico, anche lui non vuole giocare d’azzardo: «Siamo favoriti, certo, ma la classifica in questi casi non conta, tra l’altro con Chiudinelli ci ho perso tre volte, anche se era sul veloce ed erano altri tempi, soprattutto per me». AUTOSTIMA. Titolare in Russia nello spareggio per non retrocedere, stavolta Bolelli vivrà la prima giornata dalla panchina, prima che la sua esperienza e il suo talento vengano utilissimi per il doppio. Simone non ha esaltato in singolare nei primi due mesi dell’anno, ma il successo di Dubai in coppia con Seppi può rappresentare il punto di ripartenza: «E’ chiaro che una vittoria così dà tanta fiducia, perché è venuta in un torneo importante. Sono quei risultati che possono aiutare anche in singolare, per trovare quell’autostima e quella convinzione che poi ti fanno giocare meglio ovunque». Benedetta Davis. O almeno così sia.

C’è Laaksonen, l’uomo di ghiaccio (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)

Mission impossible, o quasi. La Svizzera senza stelle arriva a Pesaro con tante preoccupazioni. Federer e Wawrinka sono impegnati tra recupero dall’operazione al ginocchio ed esibizioni milionarie, il loro apporto si limita a qualche messaggio di incoraggiamento per la truppa che da oggi, nell’«astronave» marchigiana, andrà a caccia di una prestazione da extraterrestri. A Marco Chiudinelli ed Henri Laaksonen sono affidate le sorti della squadra e il numero 1 svizzero (in assenza di quelli veri) la butta sul catastrofismo: «Al 99 per cento perdiamo il turno» per poi sterzare sul possibilismo: «C’è sempre un’occasione su cento in cui si può sperare di vincere. Certamente dovremo esprimerci al top del nostro gioco e puntare sulla pressione che avranno addosso gli italiani. Noi non abbiamo nulla da perdere ma Seppi e compagni giocano davanti al pubblico di casa, tutta l’attenzione è rivolta verso di loro». Sarà, ma la terra rossa amata dagli azzurri non ha un sapore altrettanto dolce per lo svizzero dalla buona tecnica ma non eccelse doti atletiche: «No, io non amo la terra e sicuramente questa superficie non ci aiuterà, Spero che Laaksonen faccia subito un punto giocando alla grande come sa fare lui. In questo modo potremmo incrinare le loro sicurezze e aprirci un varco». _IDO La classifica dice 174, ma il rendimento di Henri Laaksonen in Coppa Davis parla chiaro: cinque successi in singolare e una sola sconfitta, contro Berdych. II ragazzo che a fine a mese compirà 24 anni, ha scelto la bandiera rossocrociata del papà, ma il carattere freddo e poco propenso al sorriso lo avvicinano di più al clima finlandese in cui è nato e ha vissuto con la mamma. Laaksonen il freddo predilige la terra battuta e questo, unito al rovescio bimane e un dritto efficace, potrebbe renderlo il più pericoloso del clan svizzero. E dire che nel 2013, nello spareggio con l’Ecuador per restare nel gruppo Mondiale, Laaksonen aveva avuto qualche problema con Stan Wawrinka, offeso dal suo atteggiamento arrogante: «In Svizzera ci sono alcune giovani promesse — aveva detto Stan —: tra loro, purtroppo, c’è qualcuno che pensa che tutto sia permesso e tutto sia dovuto. Se Henri non è con noi oggi è perché certi comportamenti non sono accettati. Alla sua età, con la sua classifica e i tanti aiuti di Swiss Tennis, non ci si può permettere di offendere i coach e il capitano. Non voglio più condividere un campo da tennis con lui». Parole durissime, a cui era seguita l’estromissione del giocatore dalla nazionale fino allo scorso anno. Ora, però, Luthi conta molto sulle sue doti tecniche e caratteriali: «Henri gioca bene, in Davis rende molto e spero che anche qui riesca a mantenere il suo livello. Gli italiani sono migliori di noi sulla carta ma Marco è un giocatore esperto che può fare la differenza e Laaksonen si esalta nelle difficoltà». Effettivamente, lo scorso anno contro il Belgio, il 23enne ha messo in campo due prestazioni super che, pur se non sufficienti a passare il turno, lo hanno sicuramente messo in buona luce dopo le intemperanze del passato. Attenzione all’uomo di ghiaccio.

Laaksonen, l’uomo che non ride mai (e.f., Corriere dello Sport)

L’uomo che non ride mai. Impenetrabile, come pub essere un nordico. Henri Laaksonen è l’incognita di questa Davis per l’Italia. Più indietro nel ranking (n.174) rispetto al veterano Chiudinelli, è però l’unico che in conferenza stampa si è dichiarato contento di giocare sulla terra rossa («mi piacciono i campi più lenti»). Ha una storia molto particolare questo ragazzo che a fine marzo compirà 24 anni. Figlio di due tennisti, porta il cognome della mamma, finlandese, anche se è stato grazie a suo padre, con cui ha ricostruito il rapporto più avanti, che ha trovato uno sbocco nella Nazionale svizzera Suo papà, Sandro Della Piana, in realtà è stato un modesto giocatore elvetico, mai oltre il n.325 Atp, che per dare una svolta alla sua carriera decise di partecipare a un circuito satellite a Lohjan Kunta, in Finlandia Non ebbe molta fortuna, ma in quell’estate del ’91 conobbe una ragazza del posto, Pirjo, la mamma di Henri, appunto. AMORE SFUMATO. L’amore tra i due è sfumato presto, ma il ragazzo ha ereditato qualcosa di buono: vince i campionati europei Under 16 ed entra in Coppa Davis ad appena 17, centrando addirittura una vittoria Nel suo paese d’origine non trova strutture all’altezza ed ecco che ricontatta il padre: «In Finlandia non ci sono compagni di allenamento, ci sono meno allenatori validi e ancor meno tornei. Al contrario, in Svizzera c’è tutto quello di cui ho bisogno» disse per giustificare la scelta. Oggi, grazie al suo doppio passaporto, gioca per la Nazionale Svizzera, della quale è tomato a far parte nonostante nel 2013 fosse stato allontanato per un contrasto con Wawrinka, ed è pronto a fante vedere nel secondo singolare quel che sa fare contro Andreas Seppi.

Lorenzi si veste da grande (Elisabetta Ferri, Corriere dello Sport)

Saranno Paolo Lorenzi e Marco Chiudinelli ad aprire oggi alle 14 (diretta su Supertennis a partire dalle 13,30) la sfida di Coppa Davis fra Italia e Svizzera E’ l’esito del sorteggio andato in scena, nel vero senso della parola, ieri mattina a Pesaro: la cerimonia si è svolta infatti sul palco del teatro Rossini, introdotta da un’esibizione musicale in cui cinque cantanti si sono affacciati da altrettanti palchi, diretti dal maestro Marco Men-coboni. E’ stato poi il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, ad estrarre la pallina dall’urna indirizzando cosl il calendario che vedrà nella seconda sfida Andreas Seppi a confronto con Henri Laaksonen. CONFERMA E SORPRESA. Dunque le indiscrezioni che circolavano alla vigilia sono state confermate: capitan Barazzutti si affida al 34enne senese di origine romana nel singolo, confidando nel suo ottimo stato di forma, preservando Simone Bolelli per il doppio in cui – e questa la sorpresa – è stato annunciato in coppia con Marco Cecchinato, al suo debutto assoluto in Coppa Davis. Se l’accoppiata sarà confermata dipenderà molto da questa prima giornata, intanto Bara rutti tiene sulla corda anche il 23enne siciliano confermando di avere in mano un pacchetto molto equilibrato rispetto al collega Luthi, che punta tutto su due soli giocatori: «Non è una sorpresa per noi trovare Lorenzi in campo nel singolare – dice il capitano della Svi7rera -, avevo già detto alla vigilia del sorteggio che l’Italia schiera un poker di livello simile e dunque aveva un ventaglio di scelte più ampio». E Lorenzi? Possiede la necessaria esperienza per rompere il ghiaccio: «Giocare per primo? Mi è già capitato in passato e la cosa non mi mette più pressione del normale. Essere favoriti non conta – dice l’azzurro -, ogni sfida parte dallo zero a zero e poi si gioca al meglio dei 5 set, quindi è lunga. Quanta ho da spendere? Sono ormai 4-5 anni che tutti mi fanno questa domanda, e sono ancora qui La carriera di un atleta dipende anche dagli infortuni e nel prossimo futuro ho intenzione di preservarmi partecipando magari a meno tornei». Quelli a cui ha scelto di rinunciare Seppi pur di essere a Pesaro: «Non è che faccio un altro sport, è sempre tennis – sorride il bolzanino -. E vestire la maglia della Nazionale è un grande onore. Precedenti con Laaskonen non ce ne sono. A lui piace la terra rossa? Anche a me, ma è una superficie sulla quale non gioco da otto mesi. Comunque, è una settimana molto importante per la mia stagione. Due anni fa siamo arrivati in semifinale dimostrando che siamo duri a morire e ora voglio portare la carica del doppio vinto a Dubai con Bolelli in questo singolare». DOPPIO. A proposito del doppio, invece, Barazzutti taglia corto: «La scelta di Cecchinato? Prima ci sono due sfide da giocare e da vincere, ne parleremo dopo». Intanto Chiudinelli, che appare sereno e anche piuttosto spavaldo, landa la sfida a Lorenzi: «Sto giocando bene dall’inizio dell’anno, con grande fiducia in me stesso». E’ la giornata chiave: se si mette bene, magari domenica non servirà spremere ancora gli stessi. Intanto, la città di Pesaro incrocia le dita: se organizzazione e pubblico risponderanno bene all’evento, è molto probabile che domani la Federazione possa assegnarle anche l’organizzazione della prossima tappa di Coppa Davis, che si giocherebbe in luglio all’aperto.

Vai Italia: la Svizzera è servita (Alberto Giorni, Giorno – Carlino – La Nazione Sport)

Pesaro riabbraccia la Coppa Davis 19 anni dopo una memorabile impresa: proprio qui, nell’aprile 1997, Omar Camporese e Renzo Furlan sorpresero nei quarti l’armata spagnola di Carlos Moya e Albert Costa. Stavolta non sarà necessario un exploit. Negli ottavi contro la rimaneggiata Svizzera priva di Roger Federer (in convalescenz2 dopo l’operazione al ginocchio) e Stanislas Wawrinka, all’Italia basterà rispettare il pronostico che la vede nettamente favorita nonostante l’assenz2 dell’infortunato Fabio Fognini, atteso in tribuna all’Adriatic Arena in veste di tifoso. SONO 3-3 i precedenti con i rossocrociati, vincenti negli ultimi tre confronti; è il momento di portare a casa un successo che ci sfugge dal 1980. Suggestiva la cornice scelta per la classica cerimonia del sorteggio: ieri tutti convocati al teatro Rossini, dove le magiche note di un apprezzato spettacolo lirico hanno introdotto gli accoppiamenti. Il primo tenore azzurro a scendere in campo sarà Paolo Lorenzi (n.54 Atp), opposto all’elvetico Marco Chiudinelli (n.146); a seguire toccherà ad Andreas Seppi (n.40) che se la vedrà con Henri Laaksonen (n.174). Domani il doppio con Simone Bolelli insieme a Seppi (recenti vincitori a Dubai) e a completare il quartetto c’è l’esordiente Marco Cecchinato. Riflettori puntati sul veterano senese Lorenzi, 34 anni e una simpatia contagiosa, che ha il compito di non far rimpiangere Fognini. Sulla terra rossa si trova a suo agio, a differenza del coetaneo Chiudinelli; nel 2016 si è imposto al challenger di Canberra e ha raggiunto la semifinale all’Atp di Quito. E’ la seconda volta che Lorenzi ha la responsabilità di aprire una sfida di Davis, come a Torino nel 2013 contro il croato Cilic: «E mi sono abituato subito alle tensioni, visto che nel primo Hanno detto di di Corrado Barazzuti Essere favoriti è positivo Ma sappiamo che in Davis nulla è scontato e se siamo deconcentrati ci battono Paolo Lorenzi Sono pronto a gestire le tensioni della gara di apertura: nel 2013 a Torino non fu facile, Cilic mi diede subito un 6-1 nel primo set set lui mi diede un bel 6-1 — ha scherzato l’azzurro —. Mi sento pronto. Quanto durerà ancora la mia carriera? Dipende dagli infortuni, l’anno scorso ne ho avuti troppi». Seppi si professa ottimista: «Sulla terra non giocavo da otto mesi e non ho avuto tantissimi giorni per abituarmi. E’ comunque una superficie che mi piace e mi ha dato tanto, cercherò di partire col piede giusto». Predica pmdenz2 il capitano Corrado Barazzutti: «Essere favoriti è positivo, ma i ragazzi sanno che in Davis niente è semplice. Indipendentemente dalle assenze nella squadra svizzera, dobbiamo essere concentrati al massimo per qualificarci ai quarti».

Bassani, il mio amico poeta e i nostri dialoghi con la racchetta – Giorgio Bassani (Gianni Clerici, Repubblica)

Ho letto, in un articolo di un vero intellettuale, un ricordo critico di Giorgio Bassani, lo scrittore. Scrive il Critico che, oggi, Bassani avrebbe cent’anni. Mi domando come potrei rivolgermi a Giorgio, cosa potrei dirgli, io che sono stato un suo amico, e che, lungi dall’essere un intellettuale, sono solo uno scriba. Provo dunque a rivolgergli ricordi, domande, chiacchiere. 1 ) «Mandaglielo tu», mi disse un altro di quelli che chiamavo zii, Mario Soldati, perché i miei veri zii non mi soddisfacevano. «Mandaglielo tu alla Feltrinelli, la Casa Editrice dove lavora. Se glielo raccomando io te lo pubblica. Ma non sarebbe giusto, deve decidere da professionista». 2) II romanzo si chiamava i Gesti Bianchi. Era una storia di tennis, con il tema centrale di un campione, alias Gottfried Von Gramm, e due giovanissimi tennisti, uno dei quali ero io. Era, in sintesi, una vicenda dei rapporti, e degli attriti, tral’omosessualità e l’amicizia. Passarono sei mesi. Mi lagnai con zio Mario. Mi informò che Bassani aveva grossi fastidi con il suo editore Feltrinelli, causa un importantissimo romanzo russo, il Dottor Zivago che alcuni intellettuali del Pci non volevano. Infine venni invitato alla Casa Editrice. Bassani aveva un’aria accogliente, non pareva proprio un Professore, di quelli che mi mettevano soggezione. Caro Clerici, sono tennista anch’io*, mi disse. *Il suo, con la Costa Azzurra di mezzo, è un bel tema, non facile. Le ho scritto, con la matita rosso e blu, dei suggerimenti, non chiamarli correzioni. Torni quando ci avrà meditato, se crede che io abbia spesso ragione. E, soprattutto, se vuol fare lo scrittore, si prenda uno pseudonimo. Se no resterò per sempre un giornalista sportivo, un caratterista che non rientra negli schemi del nostro mondo di presunti intellettuali.. Me ne andai affascinato ma ancor più insoddisfatto. Era il mio primo romanzo, il primo di tutti quelli che mi sarei visto rifiutare. Mi sentivo offeso, come la volta che Francesca, congedandomi, mi aveva dichiarato che non ero un vero macho. Passò un anno. Corressi. Bassa-ni aveva avuto quasi sempre ragione. Gli telefonai. Rimandai i Gesti Bianchi. Appuntamento. 3) Mi spiace Gianni — diamoci pure del tu, tra tennisti — Non ti posso più pubblicare, perché me ne vado. Feltrinelli, U “marxista per diletto” ha addirittura tentato di forzarmi questo rassetto, questo della mia scrivania.. Me lo indicò. Temo che dovrò cercare di vivere dei miei romanzi. Non sarà facile, dopo aver fatto il professore per avere uno stipendio. L’Editor per avere uno stipendio. Se avrai la mia pazienza, qualcuno ti pubblicherò i Gesti Bianchi. E la prima volta che vieni a Roma giochiamo insieme a tennis.. *Certo che Giorgio ce la farò — mi disse Mario, che era venuto ad abitare a Milano, profugo dal Cinema romano, in via Cappuccio, di fronte al pied-d-terre dove stavo io. .E un grande scrittore, anche se non basta per sopravvivere, in questo paese di illetterati. Ma tu fai come noi. Scrivi lo stesso». 4 ) Giocai, per la prima volta, con Giorgio, alle Cascine. Ad assistere alla partita c’era addirittura il Professor Longhi, anche lui tennista, che ci avrebbe invitati a casa, dopo il nostro set. Io eroda poco reduce dall’ interruzione della mia carriera di giocatore, per una malattia molto grave. Temevo che Giorgio non fosse in grado di palleggiare al mio livello. Andò invece benissimo. Aveva quello che Brera chiamava “senso geometrico “, colpiva agevolmente non solo di diritto, ma con un bel rovescio. Ci divertimmo. Longhi lo prese un po’ in giro, per qualche en-ore. Alla fine di quello che chiamò “dialogo con racchette”, Bassani mi disse di aver imparato alla Marfisa, aveva addirittura partecipato ai Littoriali •prima che uscissero le leggi antiebraiche, prima di essere allontanato dal Club. Sarei almeno arrivato alla seconda categoria, come mio fratello.. 5 ) Mentre continuavo in quello che Giorgio e Mario definivano “un equivoco “, e cioè a scrivere di sport, Cesare Garboli accolse un mio romanzetto su un Centrattacco, tanto vero che due centrattacchi si indignarono, e Gianni Rivera mi scrisse: «Un giocatore del Milan non si permetterebbe mai di far qualcosa di simile« ( conservo la lettera). Giorgio e Mario lo presentarono al Premio Strega Fui ricevuto dalla Signora Bellonci che ebbe a dirmi «Lei è quello del tennis? Ma sa che fa benissimo anche i congiuntivi«. Ebbi tre voti. «Non fai parte di nessun gruppo», mi disse il terzo dei miei votanti, Gaio Fratini. «Hai mai visto un ciclista che corre il Giro da solo?». 6) A questo proposito, dell’ottenere una tessera di appartenenza a un Partito Letterario, mi giunse un invito, per partecipare a Palermo alla riunione di quello che sarebbe divenuto il Gruppo 63. Incerto, raggiunsi Roma, e scesi dal treno per salutare Bassani, che abitava di fronte ai Giardini di Villa Borghese. Fini che giocammo al Tennis Club Pario-li, e io restai privo del sostegno di un Partito Letterario. Giorgio me ne congratulò. 7 ) Sempre a Roma, presi a incontrare regolarmente Bassani ogni volta che passavo di li. In primavera, ci si vedeva regolarmente ai Campionati Internazionali di Tennis, al Foro Italico. Non ho mai più trovato un vicino, in tribuna stampa, tanto sicuro dei propri giudizi, capace di sezionare il gioco, e quel che passava nella mente di un campione, come un grande psicologo. «Non è difficile. Basta immaginare che il campione sia un personaggio sorrideva lui. 7 ) Giorgio era ormai giunto ai riconoscimenti del Veillon, dello Strega, del Viareggio. Ci ritrovammo SCRITTORE Giorgio Bassani Sotto. lo scrittore su un campo da tennis. Bassani nato a Bologna il 4 marzo del 1916 Subito dopo si trasferì a Ferrara È morto a Roma nel 2(100 una volta a Bologna Lo vidi animato di una insolita emotività, quasi gli fosse accaduto qualcosa di misterioso. Mentre camminavamo diretti non so più dove, mi prese per un braccio, trascinandomi in un portone. Ero attonito, ma pronto alla stravaganza di un amico. Mi recite, alcuni versi. «La poesia», mi disse. »Certo, ne avevo sempre scritte. E il destino di tutti noi che scriviamo. Tutte le energie che prima consumavo in tanti modi, sciupavo, disperdevo, si coagulano, come mi siedo alla scrivania. Ho un rapporto diretto con quello che faccio.. Dissi che lo capivo. Da quello spiritualista che ero diventato. Ma Giorgio, sullo spiritualismo, non ci sentiva. «Ecco, ho trovato», mi disse, «è come se tutto un match di tennis si tramutasse in una successione ininterrotta di match point. E io riuscissi a affrontarli con la disinvoltura di un banale quindici, ma con l’attenzione trasfigurata di un match-point. E la religione della poesia, mio caro spiritualista». 8) «Basta, andiamo via. Questo non è il mio libro. Fa schifo! Via». Eravamo andati, con Giorgio, all’anteprima del film tratto dal suo romanzo più famoso, 11 Giardino dei Finzi Contini. L’avevo visto, via via, infastidito, incredulo, corrucciato. Alla fine, quando si accesero le luci, esplose come mai l’avevo visto fare. Era stata, quella, la fine di una vicenda che nessuno scrittore dovrebbe affrontare, se non per estremo bisogno di denaro. La sceneggiatura era stata infatti più volte rifatta da successivi specialisti, Zurlini, Laurani, Pinelli, edai miei amici Brusati e Bonicelli. Vittorio Bonicelli, grande critico cinematografico traversato dal desiderio di sceneggiare, mi aveva anche invitato a un minima partedpazione, che avevo evitato dicendo «Non sarei capace D. Alla fine di rifacimenti e innovazioni, Vittorio De Sica era stato costretto a girare un film diverso dal libro. Fu l’unica volta che vidi un uomo dolce, ragionevole, comprensivo di errori suoi e altrui, perdere il controllo si sé. Capii che si era identificato a tal punto con il libro, da ritenersi ferito da un’opinione altrui, come da un tradimento. 9) Avrei rivisto Giorgio per l’ultima volta in un Club di Tennis, il nuovo Tennis Club Parsoli. Sapevo che stava male, avevo chiesto notizie nella sua nuova casa, mi era stato risposto che era meglio non visitarlo. Mi recai al Panoli, e lo vidi, insieme a un badante, che osservava un doppio di vecchi consoci, ridendo ad ogni errore, disturbando il palleggio in corso, immaginando ad alta voce un punteggio che nulla aveva a che fare con quello reale. Ad un cambio di campo mi rivolsi interrogativo ad uno dei giocatori. «Lo so che non è facile», mi anticipò, «ma gli siamo tutti debitori. Per quello che ha fatto, per quello che ha scritto». Alla fine della partita, trovai il coraggio di rivolgermi a Giorgio. Mi guardò dolcemente e «Chi sei?», mi domandò alla fine. Me lo chiedo spesso, in risposta a chi mi onorò di una grande amicizia.

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