Djokovic scaccia i vecchi fantasmi finalmente Parigi, mezzo Slam è suo (Clerici, Crivelli, Semeraro, Azzolini, Lombardo, Giorni)

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Djokovic scaccia i vecchi fantasmi finalmente Parigi, mezzo Slam è suo (Clerici, Crivelli, Semeraro, Azzolini, Lombardo, Giorni)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Djokovic scaccia i vecchi fantasmi finalmente Parigi, mezzo Slam è suo

 

Gianni Clerici, la repubblica del 6.06.2016

 

Quarta volta Nole Djokovic ce l’ha fatta. Era arrivato alla finale nel 2012, ma aveva trovato un Nadal che aveva quasi acquistato lo stadio, alla sua settima vittoria. Ci aveva riprovato due anni dopo, ma ancora aveva incontrato il padrone del Centrale, l’inventore di un nuovo sistema sui campi rossi, il sistema di far saltare la palla non solo sopra la testa dei giudici di linea, ma all’altezza dei bei signori con la cravatta, in tribuna d’ onore. Testardo com’era, convinto sino all’illusione da otto Slam vinti altrove, si era riprovato l’anno scorso, questa volta contro un tipo diverso dal Mostro, un bellissimo tennista che Sembrerebbe d’altri tempi, se indossasse pantaloni lunghi di flanella invece di mutande da spiaggia. Ma anche li gli era andata male, perché Wawrinka era stato visitato dallo Spirito di Gottfried Von Cramm, ed era esploso in una serie di sublimi Winners . Questa volta Nole aveva avuto una fortuna legata prima al polso di Nadal che al proprio. Allontanato l’incubo, era arrivato qui con tre Slam biennali consecutivi, peraltro invalidati dalla definizione di Grandi da un’antica votazione promossa dal defunto Clerici, e firmato dall’ottanta per cento degli scribi, ai tempi della Navratilova. Era arrivato pieno di speranze, con risultati sul rosso inadeguati, una sconfitta da un ignoto Vesely a Montecarlo, un’altra a Roma con Murray propiziata da un’uscita notturna. Aveva addirittura riscosso le simpatie dei maggiori esperti di tennis, il sindacato dei bookmakers, che l’avevano offerto favorito, ribadendo la preferenza all’inizio della finale, a uno contro tre, mentre il suo avversario Murray era cinque contro due. Non solo per questo mi ero spinto a darlo alfine favorito, nonostante le tre finali perdute negli scorsi anni non lo incoraggiassero certo in quella di ieri. Avevo preso coscienza dei miglioramenti di Murray, e della sua capacità di non credersi in alcun modo inferiore anche nelle sue tre partite iniziate in svantaggio, nel torneo attuale. Ma non mi pareva che lo scozzese fosse migliorato tanto da potersi imporre in un best of five ad un tipo che corre più di lui, gioca più lungo di lui, accorcia meglio di lui. Proprio per questo l’avevo confermato ieri, e sono lieto di non aver sbagliato, come è mia antica abitudine di confessare. II match era peraltro iniziato in modo da non confortare le mie certezze, ma da renderle invece un pochino meno sicure. Murray aveva servito migliori percentuali e soprattutto era riuscito a tenere più lunga la palla, che non veniva quasi mai colta al volo da entrambi, ma piuttosto accarezzata con smorzate assassine. C’era stato, a favore dello scozzese, nel salire 4 a 1, un parziale di 16 punti a 4, che dopo averlo issato a 5-2 lo aveva condotto 6 a 3, nonostante una punizione, un warning , del tutto immeritato da Nole, assegnato da un arbitro mediocre, Franck Sabatier. Dalla fine del primo set, sarebbe cominciata la partita di Djokovic, quasi quell’inizio fosse divenuto un handicap, valido nei numeri ma non per l’immediato futuro. Nole avrebbe via via guadagnato due metri di campo, allungato le sue traiettorie, costretto Murray a un involontario atteggiamento difensivo, a 15 punti contro i suoi 29 nel secondo set, 21 a 31 nel terzo. II 5-2 di vantaggio al quarto avrebbe tardato a concludersi, e perla grande dignità di Murray e per un’incertezza momentanea di Djokovic, trattenuto all’idea di vincere finalmente un torneo troppe volte sfortunato. II trofeo, mentre finalmente si accendeva in cielo un raggio di sole, il primo in questi giorni di alluvione, gli sarebbe stato consegnato da Adriano Panatta, l’unico dei nostri con Nicola Pietrangeli capace di trionfare a Parigi. Un magnifico istante che mescolava passato a presente.

 

Djokovic spezza il tabù Parigi

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 6.06.2016

 

C’ è un cuore che batte nel cuore di Parigi. Djokovic lo disegna sulla terra che lo aveva sempre respinto, e vi ci si tuffa inebriato, estasiato, finalmente libero dalla maledizione francese. Il Roland Garros è suo, dopo 12 tentativi, il torneo dei sortilegi si inchina al più forte, schiude le sue porte al dominatore, ne esalta lo spirito da guerriero e ne stimola le sensazioni più dolci: «Questa è probabilmente la vittoria più bella della mia carriera».  Il dubitativo, lo sappiano i rivali, non è soltanto un segno di rispetto a chi si metterà di nuovo sulla sua strada, da ultimo quel Murray eterno perdente, sconfitto per l’ottava volta (su 10) in una finale Slam, la settima contro il serbo, bensì una speranza solida di futuro, un orizzonte leggendario: Nole completa, a 29 anni e 14 giorni, il proprio Slam personale, ottavo a riuscirci e, soprattutto, diventa il primo dopo Laver, anno di grazia 1969, a vincere i quattro Major uno in fila all’altro, anche se non nella stessa stagione. Lo deve riconoscere pure lo scozzese frustrato e avvilito: «Un’impresa eccezionale, quello che ha fatto Novak negli ultimi 18 mesi è incredibile e immagino non succederà più tanto presto». Grande Slam, adesso, non è più una parola tabù, così lontana dalla realtà come nel 1992 di Courier, l’ultimo a realizzare la doppietta Australia-Parigi, ma senza che si potesse pensarlo erede del grande Rod e di Budge, gli immortali cui è riuscita l’annata perfetta. Djokovic si presenterà a Wimbledon e a New York da campione in carica, dunque da favorito, con Federer e Nadal ammaccati e declinanti, Murray sempre un passo indietro per convinzione e tenacia e la Next Generation troppo tenera. E infatti la concentrazione è già là: «Intanto mi godo questo trionfo in un torneo che mi aveva sempre riservato delusioni. Non voglio sembrare arrogante, ma nel tennis nulla è impossibile». SORRISO A questo punto, conterà davvero soltanto la testa, l’abilità di gestire l’inevitabile pressione, la forza di ritrovare la feroce determinazione dopo un traguardo inseguito per anni. Nella sfida con Murray, nonostante un primo set troppo falloso e con il numero due del mondo centrato e aggressivo, Noie non dà mai segno di cedere ai nervi se non sul 5-2 del quarto set, quando va a servire due volte per il match e nella prima occasione concede il br -ak e nella seconda sciupa du VINCITORI DEI 4 TORNEI SLAM • Con Djokovic sono in otto ad aver vinto almeno una volta ciascuno degli Slam nel singolare match point prima di chiuder al terzo: «Quando nono andar 5-2, lo ammetto, mi è venuto dia sorridere e non riuscivo più a resistere. Lì, l’ho presa un po’ troppo alla leggera. Sono umano anch’io». Ma troppo solido e completo per il povero Muzza in una partita che per pathos e durezza fisica è ben diversa dalle finali di Madrid e Roma in cui si sono appena affrontati con una vittoria a testa. Dal secondo set, incidono le basse percentuali di Andy al servizio (50% di prime alla fine) che vellicano in risposta il numero uno, ma soprattutto la capacità

 

Djokovic, finalmente Parigi

 

Stefano Semeraro, la stampa del 6.06.2016

 

Quando da bimbetto si presentò a Jelena Gencic, la sua prima maestra, e le disse «diventerò il numero 1 del mondo», Novak Djokovic già era sicuro, in qualche posto piccolo piccolo dentro di sé, che avrebbe ridisegnato il tennis. Che avrebbe fatto grande la Serbia e provato a diventare lui il più grande di tutti. Numeri alla mano, ci sta riuscendo. Ieri ad esempio si è preso anche l’unico degli Slam che gli mancava, la sua ossessione, il Roland Garros, battendo in finale Andy Murray (3-6 6-16-2 6-4). E il dodicesimo della sua carriera dopo sei Australian Open, tre Wimbledon e due Us Open, il quarto di fila che vince e nessuno, dai tempi del secondo dei due (veri) Grand Slam di Rod Laver, nel 1969, era riuscito a farcela. Non Borg, non McEnroe, non Sampras, non Agassi e nemmeno Federer e Nadal. «Calendar Slam», lo chiamano, perché il poker tradizionalmente va chiuso nello stesso anno solare. Ma resta un’enormità. «Non capita spesso di assistere a cose del genere», ha detto Murray. «Persino io che stavo perdendo, dall’altra parte della rete ho pensato che ero fortunato ad essere qui…». Dentro un centrale che pareva traslocato con una stregoneria a Belgrado, stipato di tifo ed orgoglio serbo, e alla fine bagnato anche dal primo sole parigino in dieci giorni. Un segno, fra i tanti, per l’anima mistica infilata dentro il corpo senza glutine del Joker. «E iniziato tutto durante la premiazione dello scorso anno: avevo perso con Wawrinka, eppure ho sentito una forte emozione, l’amore del pubblico. Quando sono arrivato a Parigi due settimane fa ho capito che sarebbe stata la volta buona». II cuore come Kuerten I match festeggiati con i raccattapalle, l’incontro con Kuerten. «Guga che disegna il cuore sul campo e ci si sdraia dentro è l’immagine che ho sempre avuto di Parigi. E stato lui a dirmi che se avessi vinto avrei potuto farlo anch’io». La (male è stata bruttina. Murray ha retto un set, fino a quando Nole non si è smagato e ha iniziato a giocare il tennis che sa, ovvero quello che nessuno, oggi, sa come affrontare. I piedi dentro la riga di fondo, i colpi che volano via profondi copiando i confini del campo. L’arte di non sbagliare (quasi) mai. «Dall’inizio del secondo set mi sono liberato, poi nel quarto, fra il 5-2 e il 5-4, quando Andy ha recuperato il break, è successa una cosa strana. Ho iniziato a ridere, ho sentito prima una grande gioia, poi una grande leggerezza». C’è un disegno, forse, che si sta compiendo. Nole si è infilato in una nicchia del tempo che inizia a diventare comoda. È l’ottavo nella storia a vincere tutti gli Slam; con Nadal e Federer in bacino di carenaggio e il resto della concorrenza un passo indietro è lui il favorito anche per Wimbledon, per gli Us Open a settembre. Per il Grande Slam: quello vero. Adesso insegue Nadal Ha 29 anni, gli mancano due major per raggiungere Nadal, cinque per pareggiare Federer. Non è mai stato considerato il più forte fra i Fab Four – i primi quattro del ranking nel 2008, i primi quattro anche oggi, a dieci anni di distanza, solo con qualche posizione scambiata – ma rischia di diventarlo. «All’inizio fare parte dell’era di Federer e Nadal non mi piaceva», dice. «Ma è grazie a loro se sono migliorato tanto. Del resto niente succede a caso nella vita». Specie se la vita sai disegnartela su misura.

 

Grande Slam sto arrivando

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 6.06.2016

 

Un cuore di terra rossa nel quale perdersi dentro, omaggio ai citoyens finalmente sodali e al primo pittore di cuori terricoli, Guga Kuerten, suo amico. L’incredulità per una vittoria strappata al fato neghittoso, e solo al quarto tentativo. Lo smarrimento di chi si scopre campione fra i campioni, come Emerson ma più di Borg e McEnroe, di Connors e Lendl, e forse, chissà, non aveva mai pensato di potersi issare così in alto, fra le nuvole, nella Djokosfera, là dove si pub persino pensare di non essere più raggiungibili «Ora sei davvero il più forte», gli ha detto Adriano Panatta consegnandogli la Coppa che Nole non aveva mai sollevato. 1 minuti più belli della finale si condensano solo a match finito, quando l’ultimo rovescio di Murray si arriccia sul nastro e pub cominciare la festa di Djokovic, sempre più dominatore, sempre più n.1, sempre più vicino a Nadal e Federe; E riescono persino a cancellare gli inciampi, gli errori, le sviste, le imprecisioni, le cantonate di un match percorso da un folle bisogno di farle sempre più grosse e più incomprensibili. Una finale da 64 vincenti (appena 23 per Murray) concessi generosamente dalla statistica e 80 errori gratuiti, anche in questo caso calcolati per difetto, nella quale c’è sempre stato un solo giocatore in campo, mai tutt’e due. Murray nel primo set, poi Djokovic. Una finale che ha visto i protagonisti a turno anestetizzati, ognuno con la sua sporta di angosce e di sensi d’insufficienza, comprensibile quella di Djokovic che a Parigi si giocava grandeur e credibilità, caratteriale quella di Murray che con l’animo troppo tenero non ha mai smesso di fare i conti. Così, Nole passa all’incasso, e non intendiamo qui i cento milioni di dollari ormai saliti a quasi 102. È con la Storia che si fanno i conti: prima vittoria a Parigi, dodicesimo Slam in carriera, quarto Slam vinto consecutivamente in due stagioni, meta Grand Slam già riposto in cassaforte. Non succedeva dal 1992 (Courier), e significa che il Djokei stavolta, può davvero completare l’impresa. C’è chi dice che ce la farà solo per mancanza di avversari C’è chi si dice convinto che le insidie non siano ancora finite e magari pensa a Raonic, che sull’erba pub far danni, e forse anche a Federe;, adducendo che se lo svizzero si riprenderà bene potrà sfruttare (a Wimbledon, agli Us Open?) la freschezza dei tre mesi di riposo forzato, contro avversari ormai stremati. Gliela “tirano” in tanti a Djokovic, ma uno ha smesso di fado proprio ieri, dopo anni di ululati e di gioiosi menti di mani di fronte ai vari tentativi del serbo: il pubblico di Francia, d’improvviso scopertosi tutto dalla sua parte, al punto da non risparmiare urlacci in direzione di Murray, e incitamenti a dir poco fervidi quando il serbo ha avuto bisogno di riagganciarsi a un match che gli stava sfuggendo. «Grazie a tutti, è davvero la più bella giornata della mia carriera, sono senza parole, emozionato come un bimbo», è stato il modo in cui Nole ha espresso la sua riconoscenza La svolta è avuta dopo il break nel secondo game del set numero due. Difficile comprenderlo II per lì, ma è bastata quel po’ di sicurezza ritrovata a rilanciare Djokovic nella disputa e ad ammosciare lo scozzese, che pure fin Il aveva dominato, addirittura giocando un tennis padronale, energico, ben sostenuto dalle gambe. Mente, da quel break Nole è ripartito limitando gli errori all’essenziale. Senza strafare, ma senza regalare più troppi punti E così ha proceduto sino alla fine, con Murray che si struggeva nella sua impotenza tennistica E un gran giocatore, lo scozzese, ma ha un carattere da educanda isterica. Se l’è presa con la moglie, con la mamma, con il suo team, con un giornalista francese che si era seduto in mezzo a loro, e quando ha finito gli strali il match era ormai perso. Due Slam vinti, otto finali perse, cinque con Djokovic e tre con Federer È il numero due, e forse resterà tale.

 

Djokovic sfata Parigi Adesso è da grande slam

 

Marco Lombardo, il giornale del 6.06.2016

 

Ha vinto, ha pianto, ha disegnato un cuore sulla terra rossa di Parigi sotto gli occhi di colui che lo fece per primo: Guga Kuerten. Ha vinto, ha pianto, ha fatto la storia, perché Novak Djokovic ha conquistato un altro pezzo di leggenda del tennis superando il suo ultimo limite: il Roland Garros. Dicono che i robot non abbiano sentimenti e dicevano che lui fosse un robot invincibile, troppo perfetto. E invece finalmente ce l’ha fatta nella maniera più umana possibile, ha conquistato il dodicesimo major che gli vale lo Slam della Carriera – ovvero li ha vinti tutti e quattro ora -, il quarto di fila (non succedeva dal 1969, l’anno di Rod Laver). E in attesa di sapere se riuscirà a raggiungere Donald Budge e lo stesso Laver nella galleria degli immortali aggiudicandosi anche Wimbledon e Us Open e dunque il Grande Slam, adesso può fermarsi a guardare le sue meraviglie. Soprattutto perché Nole, che ha sconfitto Andy Murray in 4 set (3-6, 6-1, 6-2, 6-4), ha dimostrato che dietro la perfezione c’è un anima, un cuore, un uomo – appunto – con i suoi sentimenti. Il primo set di ieri ne è stata la dimostrazione: mai visto così assente, così falloso, così in balla dell’avversario, questo dopo aver vissuto per tutto il torneo litigando con il campo, con gli arbitri, con se stesso, con le racchette, andando perfino vicino alla squalifica in semifinale quando ne ha lanciata una per terra dopo un colpo sbagliato e ha sfiorato un giudice di linea. Emozioni, forti. Sentimenti, si diceva, di un campione assoluto vicino all’impresa della vita. Ed è successo in quel primo set con lo sguardo perso nel vuoto che ha regalato a Murray l’illusione di potercela fare. Invece, poi, tutto è finito nel primo gioco della seconda partita: Nole ha salvato una palla break e da lì 6 stata discesa libera, fino al 5-2 del quarto diventato 5-4 perché anche le emozioni giocano a tennis. Murray però alla fine è crollato e per Djokovic è stato il trionfo di una vita. Com’è dolce Parigi dunque per il campione assoluto, adesso, finalmente. Com’è dolce sentire il pubblico che urla il tuo nome, per una volta tutto dalla tua parte perché capisce che questo è il momento che fa la Storia. Così Djokovic riceve alla fine la Coppa dei Moschettieri dalle mani di Adriano Panatta, voluto dagli organizzatori per celebrare il suo successo di 40 anni fa (che differenza con le meste celebrazioni a Roma) e si libera «È il momento più bello della mia camera Guga mi ha dato il permesso di disegnare il cuore sul campo, perché io ce l’ho messo tutto, come ho sentito il vostro». E mentre Murray si inchina al campione assoluto («Fa un po’ schifo essere dall’altra parte della rete, ma in fondo è bello essere qui in una giornata indimenticabile»), Nole guarda il cielo con orgoglio, stranamente liberato dalle nuvole del Roland Garros più freddo di sempre: «È spuntato pure il sole, è fantastico». Doveva essere così in fondo il successo più bello nell’anno in cui lui è sembrato quasi più fragile. Doveva essere così, perché è così – appunto – che accade a un vero campione. Soprattutto se è un vero uomo.

 

 

Djokovic entra nell’olimpo

 

Alberto Giorni, il Giorno del 6.06.2016

 

La terra promessa gli si spalanca davanti alle 18.15 di un grigio pomeriggio parigino e, subito dopo il matchpoint, spunta un sole mai visto in due settimane di torneo: un segno del destino. Dopo tre finali perse, Novak Djokovic fa cadere ai suoi piedi anche il sospirato Roland Garros, l’ultimo Slam che gli aveva tenacemente resistito, ed entra così nell’esclusivo club degli otto giocatori capaci di vincere almeno una volta tutti i Major. Il 3-6, 6-1, 6-2, 6-4 rifilato in poco più di tre ore a Andy Murray non ammette discussioni e, abbracciato lo scozzese, Nole mostra anche le sue qualità di showman: disegna con la racchetta un grande cuore sulla terra rossa e si sdraia all’interno, come aveva fatto anni fa Guga Kuerten (divertito in tribuna) ed esulta insieme ai raccattapalle come in ogni tappa della sua cavalcata trionfale. «E’ un momento molto speciale, forse il più bello della mia carriera — dice il numero 1 del mondo in un ottimo francese al pubblico del campo Chatrier schieratosi fin dall’inizio dalla sua parte —. Il cuore? Guga mi ha dato il permesso, oggi bisognava lasciare il cuore sul Centrale per uscire vincitori». Tocca ad Adriano Panatta, quarant’anni dopo lo storico trionfo del 1976, consegnare la Coppa dei Moschettieri a Djokovic, finalmente sollevato e pronto per nuovi traguardi: con il 12 Slam (eguagliato Roy Emerson, staccati Bjorn Borg e Rod Laver) ha conquistato il Grande Slam «spurio», i quattro Major di fila anche se non nello stesso anno. Ma è già pronto a dare la caccia a quello solare, un’impresa leggendaria riuscita per l’ultima volta a Laver nel lontano 1969. Ci si aspettava di più da Murray, che era partito forte vincendo il primo set, ma poi la sua luce si è spenta e il quasi gemello Nole (sono nati a una settimana di distanza) ha iniziato a imporre il suo ritmo insostenibile da fondocampo. Solo nel finale il serbo ha avvertito la tensione e si è fatto avvicinare da 5-2 a 5-4 mancando i primi due match-point, però il terzo è stato quello buono: il rovescio in rete dello scozzese ha dato il via alla festa. «Sono deluso per la sconfitta, ma i risultati di Nole nell’ultimo anno sono stati straordinari e se li merita tutti», il tributo di Andy. «E’ un emozione immensa — ha aggiunto il fuoriclasse di Belgrado —, solo il primo Wimbledon nel 2011 mi ha fatto provare sensazioni così intense. Sono felice di avercela fatta anche per la mia patria: la Serbia è un piccolo Paese, ma siamo orgogliosi dei successi raggiunti nello sport». Sugli spahi c’era anche Leonardo Di Caprio, che di maledizioni sfatate se ne intende. Per Djokovic, Parigi è un Oscar alla carriera.

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