Nei dintorni di Djokovic: Ana dei miracoli. Piccoli e grandi

Nei dintorni di Djokovic

Nei dintorni di Djokovic: Ana dei miracoli. Piccoli e grandi

Ana Konjuh aveva un sogno: le Olimpiadi di Rio. Ma la drammatica sconfitta al II turno di Wimbledon e l’infortunio alla caviglia sembravano averle tolto ogni possibilità. Invece grazie ad un rapidissimo recupero e a diversi forfait è riuscita a strappare il biglietto per Rio. Un piccolo miracolo per una ragazza che ad un grande miracolo aveva assistito anni prima

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Ana Konjuh è in questo momento la grande promessa del tennis croato femminile. La 18enne di Dubrovnik, attualmente n. 98 WTA, ha avuto un periodo di appannamento a cavallo tra il 2015 ed il 2016, ma di lei si continua a dire un gran bene.

Di Ana si inizia a sentir parlare tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, quando a 15 anni ancora da compiere (è nata il 27 dicembre 1997) conquista in sequenza l’Eddie Herr international e l’Orange Bowl, i due prestigiosi tornei juniores che si disputano a fine anno in Florida e che sono stati spesso garanzia, per i vincitori, di un futuro luminoso nel tennis professionistico.
Il mese dopo Konjuh vince gli Australian Open juniores, sia in singolare che in doppio, e sale al primo posto della classifica mondiale under 18. A febbraio un altro exploit: convocata in Fed Cup, batte la polacca Ursula Radwanska, al tempo n. 37 delle classifiche mondiali.
Goran Ivanisevic, intervistato in quel periodo, profetizza: “Non so cosa possa accadere per impedire ad Ana diventare una top 10. E non mi ricordo di aver mai sbagliato una previsione”. In settembre la giovane dalmata vince il suo secondo Slam juniores in singolare, gli US Open, e decide di dedicarsi esclusivamente al circuito WTA.

Decisione che sembra avveduta: nel 2014 Ana parte subito battendo Roberta Vinci ad Auckland e poi nel suo primo Slam tra le “grandi”, a Melbourne, supera le qualificazioni ed entra nel main draw, dove viene sconfitta in quattro set dalla futura vincitrice Na Li.
Purtroppo però un problema al gomito la costringe ad operarsi e a stare ferma per ben 4 mesi. Ma Ana non si scoraggia (“Sapevamo da due anni che prima o dopo avrei dovuto operarmi” ha raccontato in un’intervista al rientro) e riparte, continuando nella sua graduale crescita: nell’ottobre 2014 entra nella top 100, nel giugno 2015 conquista il primo titolo WTA, sull’erba di Nottingham, e raggiunge il suo best ranking al n. 55.

Da qui un leggero momento di flessione, spesso fisiologico a quell’età, come ha spiegato la stessa Konjuh in una recente intervista.
“Il passaggio da junior a senior è molto difficile, molte giocatrici si “perdono”, alcune non ce la fanno proprio. Oggi ci sono pochissime giocatrici che hanno meno di vent’anni tra le prime cento del ranking WTA. Più si va avanti, più è difficile salire in classifica. Io so che devo crescere mentalmente e che per questo mi serve anche, probabilmente più di tutto, fare esperienza. Ad esempio, sul 4 pari al terzo, vantaggio pari, una giocatrice esperta non sbaglia, noi giovani sì. Questi sono i dettagli che fanno la differenza. E la parte mentale è quella più impegnativa: tutte sanno giocare a tennis, ma emerge chi è più forte di testa. Io voglio arrivare in cima. Spero di farcela presto.”

Per uscire da questa fase di stallo, ad aprile la tennista dalmata ha cambiato coach. Ora è seguita dalla ex giocatrice croata Jelena Kostanic-Tosic (n. 32 WTA nel 2004), che ha preso il posto dello storico allenatore di Ana, Christian Schneider.
“Con Christian abbiamo lavorato insieme per sette lunghi anni, da quando mi sono trasferita a Zagabria. Eravamo un po’ saturi, entrambi. Ed entrambi abbiamo capito che non mi poteva più aiutare. La decisione è stata comune, siamo rimasti in buoni rapporti e ci sentiamo di tanto in tanto” ha spiegato l’ex numero 1 del mondo juniores, sempre nella stessa intervista, raccontando poi cosa c’è invece di diverso nella collaborazione con la 35enne spalatina.
Una cosa importante è che mi capisce perché è stata anche lei una giocatrice, può mettersi al mio posto, può mettersi nei miei panni. Ha molta comprensione e pazienza per questo. Sa anche che sono testarda e che lavorare con me non è facile, ma se la sta cavando bene”.

Da lì Ana è ripartita: a giugno, nella prima edizione del torneo WTA di Bol, nella sua Dalmazia, si è spinta sino in semifinale, dove però si è dovuto ritirare a causa di un infortunio alla schiena, dando via libera alla futura vincitrice Mandy Minella.
In luglio eccola sfiorare un’altra impresa, questa volta ai danni della Radwanska più famosa, Agnieszka, al secondo turno di Wimbledon. La giovane tennista croata ha infatti giocato alla pari l’intero match che la vedeva opposta alla n. 2 del seeding, andando anche a servire per il match nel terzo set. Poi sul 7 pari è scivolata in un recupero, a causa di una pallina, procurandosi una brutta distorsione alla caviglia destra.
“Ora non riuscirà neanche ad andare alle Olimpiadi“ è stato il commento a caldo del papà Mario dopo la sfortunata prestazione contro Aga. Ana infatti aveva il sogno di riuscire di partecipare ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro. E quella sconfitta – a cui si aggiungeva anche l’infortunio alla caviglia che sembrava dovesse costringerla ad un periodo di riposo non breve – pareva proprio mettere la parola fine a quel sogno, perché la teenager di Dubrovnik aveva bisogno di punti per salire in classifica (era n. 103 all’inizio dei Championship) ed avere la possibilità di entrare nel tabellone olimpico in caso di qualche forfait.
Aveva bisogno di un miracolo, Ana.
Di un miracolo sportivo, si intende, perché un miracolo vero e proprio lei sapeva benissimo cos’era: l’aveva visto accadere – davvero – solo pochi anni prima.

Era il 2012, qualche mese prima di quelle vittorie in Florida di cui abbiamo parlato all’inizio, quando d’improvviso la sorella Antonia si ammalò. Una malattia autoimmune, rarissima.
“Ci avevano detto che era incurabile. Giaceva immobile a letto e non poteva nemmeno parlare” raccontò qualche mese dopo il padre, che poi raccontò come in quel periodo tutta la vita della famiglia fu sconvolta da quanto stava accadendo.
“Sapete, la vita deve andare avanti, indipendentemente da come vi sentite dentro. In quel periodo della nostra vita, Antonia era la priorità. Ana andava ad allenarsi, ma si trattava più di un obbligo, non c’era quel divertimento che c’era sempre stato sino ad allora. Volevamo che iniziasse la sua carriera a Dubrovnik e lo fece, ma senza grandi risultati. Era sotto stress. Disputò il torneo di doppio con la sorella maggiore Andrea (anche lei una promettente tennista, tanto da disputare gli Australian Open juniores nel 2009 dove perse al primo turno contro Kristina Mladenovic, ndr): c’era talmente tanta emozione in campo che anche gli spettatori si misero a piangere. Vinsero il primo match, pensando tutto il tempo alla sorella che giaceva su un letto d’ospedale.”
La famiglia Konjuh poteva solo sperare. E pregare.
E le preghiere vennero esaudite. Dopo trentasette giorni, ecco il miracolo.
“Un miracolo, per la medicina. Un miracolo di Dio” le parole di Konjuh senior.
La piccola Antonia infatti si “sveglia” improvvisamente e borbotta “Mamma”. Il giorno dopo inizia a parlare, dopo una decina di giorni ad alimentarsi e infine ad alzarsi in piedi.
Dopo una lunga convalescenza, Antonia è guarita e sta bene. Da allora, al termine di ogni match vinto Ana guarda il cielo e dedica la vittoria alla sorella.

Di fronte a quanto raccontato, pare poca cosa l’incredibile recupero lampo alla caviglia infortunata e poi, grazie ad una lunga serie di forfait, la convocazione in extremis alle Olimpiadi. E riuscire a realizzare così il suo sogno di partecipare ai Giochi Olimpici. Ma è stato – nel suo piccolo – un miracolo anche questo.

A Rio, la giovane tennista dalmata si è poi spinta sino al secondo turno, dove è stata sconfitta da Carla Suarez Navarro dopo un primo set, perso 7-5 al tie-break, che potrebbe suscitare qualche rimpianto.

Ma forse Ana, per quello che ha già visto e provato in questi – soli – diciannove anni, di rimpianti non ne ha. Testarda e decisa, continua ad inseguire con perseveranza il suo sogno di diventare una campionessa. Perché sa che con l’impegno, la passione, la fiducia e la fede si può arrivare lontano. Sa che bisogna crederci.
Perché quando ci credi, ci credi veramente, può accadere di tutto.
Anche i miracoli.

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