Il Next Gen non è poi così male. Jimmy Van Alen da lassù applaude

Editoriali del Direttore

Il Next Gen non è poi così male. Jimmy Van Alen da lassù applaude

MILANO – Le regole che credo verranno presto implementate e quelle che mi auguro non lo saranno mai. Il boomerang della morte dei giudici di linea

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Il torneo della Next Gen è partito in salita, prima la cerimonia trash del sorteggio – di cui si è preso ogni responsabilità Chris KermodeCEO dell’ATP, ma in realtà il pessimo gusto è stato dei “creativi” della Red Bull che anziché ingaggiare vere modelle hanno raccattato starlettes impresentabili e volgarucce (quindi la FIT stavolta è innocente! Ma tutti quelli che nel mondo hanno twittato scandalizzati, da Amelie Mauresmo a Judy Murray, lo sapranno mai?) – poi l’impianto della Fiera che non era pronto e che ha fatto ritardare il primo match con mezzora di ritardo a spalti piuttosto vuoti perché, per motivi di sicurezza, la gente – incolonnata in code chilometriche – non veniva fatta entrare. La classica improvvisazione all’italiana, avrà pensato qualcuno.

Però poi piano piano, grazie anche ad un buon impatto coreografico, luci che hanno soddisfatto anche i fotografi più esigenti (Ray Giubilo), fra i quali alcuni reduci dalle finali WTA di Singapore che hanno detto che laggiù era peggio, e grazie a quella bella immagine della Scala in rosso sullo sfondo del lato corto del rettangolo di gioco, il torneo dalla salita è tornato in pianura, se non proprio in discesa. I biglietti sono carucci assai, soprattutto nel primo anello. Una sessantina di euro. Una famiglia che voglia venire tutti i giorni con i bambini e deve spendere 240 euro al giorno… viene scoraggiata. Certo ci sarà chi continuerà a considerarlo una pagliacciata, però sarebbe più “fair” considerarlo un esperimento da seguire con curiosità, perché se alcune regole sono “insopportabili” anche per i meno innamorati della tradizionale e della storia del tennis, ci scommetterei che qualche innovazione vista qui si farà strada anche nel tennis vero.

Certo è che quando un set finisce a 4, ci sono grandissime chances che si celebri un trionfo postumo per Jimmy Van Alen, l’inventore del tiebreak. Da Lassù, l’uomo di Neport che più di chiunque altro dai tempi del maggiore Clopton Wingfield ha rivoluzionato lo score del tennis, avrà sorriso soddisfatto e considererà certamente Milano come la sua seconda patria, perché fu proprio a Milano che diversi anni fa fu allestito al Forum di Assago lo “ShootOut”, un torneo di soli tiebreak. Mi pare che fu Cino Marchese e l’IMG ad allestirlo. Fu divertente, antesignano. Ma una tantum. Se questo torneo con queste regole sarà il prodromo di una grande rivoluzione non è facile sapere. Forse, più probabilmente una rivoluzione strisciante. Che attecchirà piano piano, con i bambini di oggi che di maratone vinte da questo o quello 9-7 o 11-9 al quinto non sanno nulla.

Di tiebreak ce ne sono stati un paio in tutti gli incontri della prima giornata. Otto quindi su un totale di sedici. Il cinquanta per cento. Forse un po’ troppi, anche se il punteggio del tiebreak si fa seguire anche da chi non ha mai visto il tennis e non sa spiegarsi le origini di quella buffa progressione, 15, 30, 40 e poi invece di andare avanti si torna indietro, 1-0! Vallo a spiegare alla famosa massaia di Voghera! Ma ancora oggi per molti il tiebreak (la rottura dell’equilibrio) è una conclusione innaturale, artificiosa e, se non proprio come declamò Giampiero Galeazzi (“È una roulotte russa!”, ma Bisteccone non doveva ancora esser passato da Montecarlo), sono ancora divise le posizioni fra chi ritiene che “chi ha più attributi il tiebreak lo porta a casa” e chi invece dice che “troppo spesso decide il caso, la fortuna”.

Non sono state tuttavia solo battaglie di servizio. Perfino nel derby russo dove c’erano due giganti che servono gran cannonballs, Medvedev e Kachanov, siamo riusciti a vedere 4 break in 16 game, rendendo quindi un po’ meno scontata la conclusione al tiebreak in ogni set. Merito anche di un campo che non è troppo veloce e consente anzi una sequela a volte perfino troppo prolungata di palleggi iper-bombardati da fondocampo, volée pochissime, con tanti saluti alla fantasia e ai Panda del serve&volley. Ma bisogna rassegnarsi, è il tennis di oggi. Giocano un po’ tutti uguale. I tempi di McEnroe e della sue carezze alla palla (“Così delicate che da lui mi farei carezzare pure io!” disse un grande Clerici finto gay e super-ispirato accanto a me in una cabina di Tele+), sono purtroppo finiti da un pezzo, direi con il “mago” Santoro. E… meno male che c’è Federer che ha fermato il tempo. Suo e degli altri.

Le mie prime impressioni, cercando di togliermi di dosso quei pregiudizi che un amante dei record e delle statistiche come me non potrà mai del tutto abbandonare… – eh sì, perché se prendessero piede i set a 4 mi crollerebbe tutto un mondo costruito in 40 anni di lavoro e in oltre 60 di tennis giocato e osservato – sono le seguenti:

1. L’indigestione di tiebreak che richiede due punti di vantaggio per aggiudicarselo sembra un tantino in contraddizione con la regola del no-ad, cioè quella che attribuisce a chi serve il vantaggio di scegliere dove battere e di portarsi a casa il game con un sol punto. All’inizio della sua storia il tiebreak era chiamato Sudden Death, la Morte Improvvisa. Si arrivava a 5, i punti non potevano essere più di 9: sul 4 pari c’era setpoint, o anche matchpoint, per entrambi i contendenti. Quando io mi trovai a giocare i campionati intercolleges americani, si giocava con quella regola. Chi serviva i primi due punti in un tiebreak senza mini-break poteva trovarsi avanti 4-2 con tre matchpoint, ma l’avversario poteva servire tre volte. Chi era più avvantaggiato? Chi serviva per primo o chi per secondo?

2. L’orologio che segna il time-out verrà prima o poi adottato anche nei tornei “veri”. Il giocatore, come ha spiegato in modo eccellente anche Daniil Medveded (forse non diventerà un grande campione, non lo so, ma ragazzo intelligente e con tanta personalità di sicuro lo è), “non ha l’orologio in corpo” a dispetto di certi automatismi e comportamenti robotici. Vedere un orologio che scandisce i tempi farà accelerare chi impiega troppo tempo a prendere e restituire l’asciugamano… e tutto il resto.

3. Il coach sul campo è un altro provvedimento che ha anch’esso molte probabilità di venire adottato. Spingono per averlo i coach – e ci mancherebbe!, è tutta pubblicità… visibilità, ergo soldi – lo vogliono anche i giocatori professionisti che convivono con il coach tutto il tempo che non sono in gara e ad oggi sono costretti ad affidarsi a coach che si lisciano i baffi o tirano giù il lobo dell’orecchio per segnalare una tattica piuttosto che un’altra al proprio poulain. Coric ha detto che non gli piace l’idea di dover ascoltare quel che gli dice a fine set il coach con le cuffie. Infatti penso che li vedremo presto in campo. Come accade nel circuito WTA. Medvedev ha risposto a una mia domanda (“Non si dà un altro vantaggio ai giocatori più esperti e ‘arrivati’ che possono permettersi coach più cari ed affermati nei confronti dei giovani che già devono fare una gran fatica per emergere?) osservando che “anche Federer a 18 anni ha dovuto fare gavetta e trafila prima di arrivare a permettersi dei vantaggi”. Che è come dire: certi privilegi bisogna sudarseli.

4. Sullo schermo in fondo a un lato del campo appaiono statistiche molto accurate, non solo aces e vincenti, ma anche dati sugli angoli più frequentemente usati da chi serve, gli errori da certe posizioni… e queste statistiche sono consultabili anche dai giocatori al cambio di campo attraverso un apposito tablet. Che la visione delle statistiche appaia presto sui campi di tennis – in misura più approfondita rispetto a quanto viene talvolta fatto già oggi – secondo me è molto probabile. Perché attira anche l’interesse degli spettatori.

5. La regola del net, che piace a Coric soprattutto da ieri sera perché grazie a un net ha trasformato il matchpoint – peraltro dell’unico match a senso unico e concluso in tre set – invece a me non piace perché mi dà fastidio l’idea che un match possa essere deciso da un colpo certamente fortunato. Con i fili d’acciaio che oggi reggono con grande tensione la rete, oggi il net favorisce più spesso chi risponde piuttosto che chi batte. Io vorrei che vincesse sempre chi se lo merita di più e non il più fortunato. È vero peraltro che oggi molte discussioni e proteste dei giocatori sono proprio alimentate da chiamate arbitrali connesse al net. Talvolta la macchina che li segnala è troppo sensibile e stabilisce che il net sia stato sfiorato anche quando non lo è affatto. Ma anche il contrario. Per questo motivo, a parte il fatto che la sua imprevedibilità può giovare ad un momento di…”extra-fun”, non escludo che questa regola del net che – come Paganini – non si ripete, possa entrare in vigore abbastanza presto. Più presto di quando lo sarebbe diventata se il nastro fosse meno teso, come accadeva spesso una volta e che faceva sì che la palla potesse morire subito dopo la rete. In quel caso gli arrotini che stanno quattro metri dietro la riga di fondo non avevano difesa. C’è chi dice: perché il tennis no e la pallavolo sì? Nella pallavolo, il net (che una volta era un fallo che costava la perdita della battuta) non viene ripetuto, ma lì sotto rete ci sono tre giocatori su sei che possono riprendere rapidamente un pallone che muoia. Eppoi nel volley quella chance di sbattere sul nastro e passare dall’altra parte della rete senza avere immediatamente conseguenze negative, ha stimolato i giocatori a prendere più rischi al servizio, a tirare battute schiacciate spettacolari – come gli ace di Zaytsev in Brasile – migliorando la spettacolarità del gioco, prima abbastanza monotono soprattutto quando c’era il cambio palla.

6. Il mondo del tennis commetterebbe a mio avviso un clamoroso autogol se sposasse le chiamate elettroniche che ucciderebbero in un colpo solo un mondo intero di giudici di linea: 20.000 appassionati, fortemente appassionati davvero, che sono cresciuti con il sano spirito dei volontari che vogliono aiutare un torneo di tennis, tanti tornei di tennis che non potranno mai permettersi un campo da tennis controllato elettronicamente al prezzo di 40.000 euro. E se è vero che il ricchissimo torneo di Indian Wells si è potuto permettere di mettere l’Occhio di Falco su tutti i campi, è anche vero che di Larry Ellison, il grande boss di Oracle, ce n’è uno solo. Insomma, capisco che la tecnologia debba fare passi avanti, ma so bene quanti posti di lavoro siano stati sottratti agli uomini dal progresso tecnologico (non ho mai ben capito se ha bilanciato quelle perdite con opportunità di pari rilevanza).

7. Non c’è dubbio che l’aspetto più scioccante sia per me quello dei set a quattro, con il tiebreak sul 3 pari, e la distanza dei tre set su cinque. Ecco la prima giornata del Next Gen milanese ha mostrato che la durata del match Next Gen non è inferiore a quella di un normale match due su tre, se la partita si prolunga al quinto set. Gianni Clerici ha scritto che in un set che finisce a 4 non si fa a tempo a pensare. I giocatori hanno detto che, semmai, si pensa troppo, perché anche un break nel primo game nell’80 per cento dei casi è letale. Chi è favorevole ai 4 game – sorprendentemente anche un vecchio lupo di mare (vabbè, di tennis) come Richard Evans – dice che c’è maggior attenzione, e tensione, fin dai primissimi breakpoint. E quindi maggiore suspense per il pubblico.

8. Allora io concludo sostenendo però che il pubblico che si muove di continuo quell’atmosfera di suspense e di massima concentrazione e tensione la distrugge. E nel silenzio assoluto, quando non volano nemmeno le mosche, che un breakpoint, un setpoint diventa incredibilmente eccitante. Ma la gente che si muove non si limita a muoversi, parla, magari discute, fa casino. E aggiungo: in un torneo indoor con un solo campo e pochi motivi di distrazioni fuori da quel campo, la gente sta abbastanza tranquillamente seduta al proprio posto. Ma in uno Slam dove ci sono 17 campi… ve lo immaginate l’insopportabile frastuono, l’impossibile ricerca della dovuta concentrazione? Ecco, qui in queste due regole, la ricerca di maggiore suspense e di ripetuti momenti di attenzione da una parte, e tutti che possono chiacchierare e muoversi da un’altra parte, trovo che si tratti di una contraddizione inaccettabile. E insopportabile.

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