Quattro temi da Miami - Pagina 4 di 4

Al femminile

Quattro temi da Miami

In un torneo meno spettacolare di Indian Wells non sono comunque mancati gli spunti interessanti: la verifica delle condizioni di Serena Williams e Azarenka, la sorpresa Collins, il ritorno al successo di Stephens e altro ancora

Pubblicato

il

 

La geografia di Sloane Stephens
Nell’articolo dedicato a Sloane Stephens dopo la sua vittoria agli US Open 2017 avevo raccontato attraverso alcuni episodi come Sloane faticasse ad adattarsi alla vita da globetrotter, ai viaggi lontani da casa, alle lunghe trasferte. Ciò che è accaduto da allora sembra ulteriormente confermarlo. Se si esclude la vittoria ad Auckland nel 2016, Stephens è da diversi anni che si esprime ad alti livelli in poche nazioni: Stati Uniti innanzitutto, poi Messico e Canada.

Nel tempo è emersa l’impressione che in lei convivano due tenniste differenti: la Stephens che gioca, bene, in Nord America; e la Stephens delle trasferte asiatiche, australiane ed europee, che fatica a passare i primi turni. Una vale la Top 10, ed è proprio grazie ai punti raccolti in America che ha scalato la classifica. L’altra probabilmente non vale un posto fra le prime 50,

Doctor Jekyll e Mister Hyde: la Stephens americana si sente così solida nello scambio che quasi sempre opta per una prima di servizio conservativa, ad alta percentuale, rinunciando a mettere in mostra i suoi picchi migliori al servizio. Tanto sa che quando entra nel palleggio più spesso è lei ad avere la meglio, grazie a un mix del tutto personale di doti: rapidità e qualità difensive, unite a vincenti di potenza fuori dalla portata delle avversarie.
La Stephens extra-americana è invece una tennista insicura, fallosa, che spesso perde troppo campo e dà l’impressione di poter sbagliare qualsiasi colpo, anche quello puramente interlocutorio. Sembra “sentirlo” innanzitutto lei, ma lo percepiscono anche le avversarie. E i risultati non possono che restituire questa condizione negativa.

In termini di geografia tennistica direi che Sloane è nata nell’epoca sbagliata. Avesse gareggiato negli anni ’70-primi anni ’80 del secolo scorso, si sarebbe trovata in un circuito che aveva nel Nord America il motore economico del tennis. Gli USA erano così importanti per il nascente movimento professionistico che poteva accadere che la più forte giocatrice sulla terra rossa, Chris Evert, rinunciasse a partecipare al Roland Garros a favore di impegni locali più remunerativi. Ma anche l’albo d’oro di Martina Navratilova è pieno di vittorie in tornei americani che oggi non esistono più. Cito alcuni dati inequivocabili (spero di aver fatto i conti esatti). Chris Evert: su 156** tornei vinti, 118 sono nordamericani (113 USA). Martina Navratilova: su 167 tornei vinti, 123 sono nordamericani (119 USA).

In quell’epoca una tennista con base negli Stati Uniti poteva sviluppare sul posto quasi tutta l’attività, attraversando l’Altlantico solo per gli impegni collegati allo Slam francese (se decideva di giocarlo), i prati inglesi e Wimbledon (questo sì, imperdibile), e poco più (Germania, Giappone negli anni ’80). Anche lo Slam australiano per un periodo era diventato “facoltativo”. Oggi invece la geografia del tennis si è allargata decisamente e per primeggiare è necessario fare risultati ovunque, senza distinzione fra nazioni, continenti ed emisferi.

Questa è forse la sfida più difficile per la neo Top 10 Stephens: riuscire a esprimersi ad alti livelli in giro per il mondo, e farlo e con una certa regolarità. In caso contrario, possiamo immaginare cosa accadrà: dopo Charleston dovremo aspettare l’estate delle US Open Series per rivedere la miglior Sloane.

**Nota: sul numero di tornei vinti di Evert i dati non sono univoci, vengono conteggiati da 154 a 157 successi.

Pagine: 1 2 3 4

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement