La classe operaia contro i paperoni (Semeraro)

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La classe operaia contro i paperoni (Semeraro)

La rassegna stampa di giovedì 16 gennaio 2020

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La classe operaia contro i paperoni (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

E poi è arrivata la pioggia a spezzare via almeno per un giorno il fumo degli incendi che da settimane copre Melbourne, nascondendo il cielo come neanche nella Londra dickensiana della rivoluzione industriale. L’inizio delle gare ieri era stato ancora una volta ritardato (di tre ore) per far scendere la concentrazione delle polveri sottili nell’aria. L’acqua ha lavato via quasi turno il programma delle qualificazioni (sono stati completati appena 16 incontri su 64), ma non ha spento le polemiche. La “working class” del circuito, gli operai che un posto nel paradiso bene remunerato dello Slam australiano se lo devono conquistare sudando nelle qualificazioni hanno l’orgoglio ferito, l’anima stropicciata. Sono in rivolta. La decisione degli organizzatori di mandarli in campo nonostante l’aria intossicata dai roghi, fra svenimenti, ritiri, attacchi di tosse da sanatorio – dallo Slam allo slum? – proprio non l’hanno digerita. E se la prendono allora con i padroni di Tennis Australia, gli organizzatori del torneo; e con i “sciuri” dai completi griffati, i loro colleghi dei quartieri alti, che secondo loro vivono ormai lontani dai problemi quotidiani di chi non riesce a spuntare contratti miliardari e deve risparmiare sulla lavanderia. «Se ieri si fosse dovuta giocare la finale con Federer o Djokovic in campo, le cose sarebbero andate diversamente?», si chiede il Masaniello americano Noah Rubin, famoso perché nel suo sito web (behind the racket) invita i colleghi a confessare i drammi e le solitudini dell’atleta professionista. «La domanda è sempre quella. Penso che la risposta sia no: non avrebbero accettato di giocare. Invece forzarci a gareggiare nelle qualificazioni in questo posto, dove non è facile stare… Durante l’anno non abbiamo possibilità di fare tanti soldi come negli Slam, se qui riusciamo a entrare in tabellone, anche perdendo al primo turo, guadagniamo più che nel resto della stagione (a Melbourne 90.000 dollari australiani, più di 55.000 euro; ndr). Quindi non è facile dire: “okay mi ritiro”. Non te lo puoi permettere. C’è anche poca comunicazione fra noi e l’organizzazione. Dicono di averci mandato una mail sulle condizioni di gioco, ma io non l’ho vista e poi qui dovrebbero inviare una mail ogni mezz’ora per aggiornarci sulle condizioni dell’aria. Forse pensano che non sia cosa importante: ma sono io che devo giocare tre ore a tennis là fuori, non loro. Fino a che il medico non me lo impedirà, io scenderò in campo. Con me però ci sono anche i raccattapalle e altra gente che non viene pagata per respirare questa aria». Se a difendere i manovali del tennis non ci pensano i sindacalisti che hanno eletto – Djokovic è il presidente del consiglio dei giocatori, dove siedono anche Federer e Nadal – chi deve farlo? «Tocca a chi è ricco e famoso fari da portavoce», grida il cobas canadese Brayden Schnur numero 103 del ranking. «Roger e Rafa sono troppo egoisti. Arrivati a fine carriera, badano solo a come la gente li ricorderà, non all’interesse generale dello sport. Così non va bene, devono metterci la faccia. Qui le condizioni di gara sono difficilissime, l’aria non si può respirare. Giocare è come fumare una sigaretta, ti senti la gola tutta secca. E chi soffre di asma è molto svantaggiato» […]

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Sinner da impazzire (Bertolucci, Azzolini, Piccardi, Martucci, Giammò)

La rassegna stampa di domenica 2 aprile 2023

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Stregati da Sinner (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Non è un pesce d’aprile: Jannik Sinner è di nuovo in finale a Miami due anni dopo la sconfitta contro Hurkacz che comunque lo rivelò al mondo, e ci è arrivato a conclusione di una partita straordinaria, in cui ci ha offerto fiammate di tennis fenomenale che hanno confermato il suo nuovo status di campione ormai in grado di rivaleggiare alla pari con i top della classifica. Fino a febbraio, non aveva mai battuto un giocatore tra i primi cinque del mondo, poi in serie ha sconfitto Tsitsipas a Rotterdam, Fritz a Indian Wells e Alcaraz a Miami, regalandoci pure una prestazione eccellente contro Rublev, che è numero 7. Oggi alle 19 lo attende un altro test probante contro Medvedev, avversario che non è mai riuscito a superare in carriera, ma i segnali che Jannik ha mandato in semifinale con la vittoria sul giovane fenomeno spagnolo Alcaraz confermano che l’allievo di Vagnozzi e Cahill è ormai pronto per questi palcoscenici, con una crescita solida e costante finalmente sostenuta dalla salute. È il compimento di un percorso iniziato 13 mesi fa con la scelta di cambiare allenatore e staff ma va anche ricordato il lavoro di Piatti che ha fornito al ragazzo una base di qualità sulla quale il nuovo team è stato bravo ad innestare armi aggiuntive. Nel successo contro lo spagnolo, Sinner ha messo in risalto tre doti da stella conclamata. Una la si conosceva già: la straordinaria forza mentale. Ha perso un primo set in cui era avanti 4-1 con possibilità di palla break per il 5-1 fallita con un facile smash, dopo la rimonta e una qualità di gioco altissima ha perso il tie break; nel secondo set si è fatto subito rimontare il break di vantaggio e poteva andare sotto 5-3 e servizio Alcaraz; nel terzo per alcuni tratti ha dovuto fronteggiare un avversario con i crampi, evento che spesso scardina le certezze del giocatore sano anziché rafforzarle. Ebbene: nessuna di queste situazioni lo ha perturbato ed è stata affrontata con la freddezza del campione consumato. Solo Djokovic e Nadal, al momento, hanno una solidità di testa superiore alla sua. Va poi considerata la freschezza atletica con cui ha finito il match, mostrando una condizione fisica migliore rispetto al rivale. Infine una notazione tecnica: nella risposta al servizio, Jannik attualmente è superiore a Carlos. Insomma, il 3-3 nelle sfide dirette dimostra che i due giocatori sono vicinissimi in valore assoluto e che la loro rivalità è destinata a segnare il tennis del prossimo decennio. Adesso, le statistiche dicono che in finale Sinner affronterà un avversario con cui non ha mai vinto, una situazione psicologica che ovviamente favorisce Medvedev. Ma i cinque precedenti, se si esclude quello più recente a Rotterdam, vanno interpretati: fino all’anno scorso, l’azzurro era un giocatore di spessore diverso, non così completo e certamente non dotato di tutti gli strumenti per fronteggiare il russo sullo stesso piano tecnico. Il 2023, insomma, è l’anno zero di Sinner, quello in cui comincia a delinearsi il suo profilo di fuoriclasse, cui bisogna concedere un altro paio di stagioni di maturazione. […]

Sinner, l’evoluzione di Djokovic (Daniele Azzolini, Tuttosport)

 

Il nuovo tennis s’avanza, è mezzo ping e mezzo pong, ed è anche tennis, nudo e crudo, con qualcosa di antico riadattato alle velocità spaziali dei tempi moderni. Non è fatto per cuori teneri, fondamentalmente perché non dà luogo a pensieri di sorta, è mentale ma non da filosofi, è brutale ma non è escluso possa rientrare, quando sarà il momento, nel novero delle arti nobili che da sempre vestono con il morbido velluto dei più alti paragoni, i sacrosanti cazzottoni di una volta. Eppure, questo tennis, le nouveau tennis di Jannik Sinner e Carlos Alcaraz ammirato a Miami, prende le mosse da una sorta di diritto alla crescita personale, inalienabile e a suo modo inarrestabile. Il diritto (quasi costituzionale) a trovare la propria strada nel mondo, qualunque sia il percorso da affrontare e l’approdo verso cui indirizzarsi. Isaac Asimov ne affrontò difficoltà e conseguenze nel romanzo più alto della sua sterminata produzione, Bicentenial Man, creato intorno a una domanda a suo modo semplice: se nasci robot hai diritto a crescere liberamente fin dove ti guideranno i diodi che alimentano il tuo essere meccanico? Morirà uomo il protagonista, robot ormai trasformato, strappando umanissime lacrime per la sua sorte. Potrà mai il tennis garantire il percorso contrario? «Sono umani anche loro», ha esultato Paolo Bertducci nella telecronaca Sky, ai pochi errori commessi dai due primi attori. E se sbagliasse? Se quegli errori fossero dovuti alla condizione di rodaggio in cui i due ancora si trovano? Sono cosl giovani, in fondo. Neanche 20 anni uno, poco meno di 22 l’altro. Macchine ancora bambine. Niente di paragonabile all’età media di due robot, destinati a mille e più anni di vita. E chissà quante repliche della loro disfida potrebbero combinare in mille anni. Sarà questo íl futuro di Jannik e Carlos? Atteniamoci alla realtà dei fatti. Sinner ha vinto una semifinale che solo Sinner avrebbe potuto vincere, contro un avversario cui solo Alcaraz avrebbe potuto offrire un volto. Il nuovo tennis è tutto qui, racchiuso nella dotazione balistica di appena due giocatori. Solo a loro e dato interpretare il match come per lunghi tratti hanno fatto. Travolgendo di scambi surreali un intero stadio costretto ripetutamente a chiedersi se fosse vero il tennis cui stavano assistendo, o si trattasse di una rappresentazione olografica di ciò che sarà il futuro del nostro sport. Jannik e Carlos picchiavano senza guardarsi, sempre in anticipo, sempre a braccio libero, e le palline correvano impazzite. Dall’alto dello stadio, e nelle poche riprese elaborate dai droni, il campo rimpiccioliva e si aveva lo stesso effetto di un videogame. Il ping gong è lo sport che più si avvicina al tennis praticato dai due. Provo a chiedermi quanto, nella corazza di J&C, contino il dna degli avi, le dirette discendenze. Sinner è un Djokovic di terza generazione, che ha colpi simili ma li usa a velocità sempre più alte. Alcaraz appare come una diretta emanazione della Fedal, la ditta dei più forti, in avanti ricorda Roger, in difesa è figlio di Rafa, mai ritmi che impone appartengono solo a lui. E a Sinner. […]

Sinner, a Miami fuga da Alcaraz (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Un anno fa il suo problema erano le vesciche, oggi Jannik Sinner è il problema degli altri. Come si cambia, in dodici mesi. La palla di neve rotolata giù dalle montagne dell’Alto Adige è diventata una valanga: con la strepitosa vittoria sul n.1 Carlos Alcaraz nella semifinale di Miami, l’altoatesino torna top 10 (due mesi fa era n.17), si piazza al n.4 della Race che deciderà gli otto delle Atp Finals a Torino e, se oggi batte Medvedev, sale al n.6, miglior ranking. Eppure il 30 marzo 2022 Jannik abbandonava Miami dopo cinque game con l’argentino Cerundolo: zoppicante, tra i fischi, mille pensieri in testa. Non sarebbe stato l’ultimo infortunio di una stagione, la scorsa, che ha impedito a Sinner di partecipare alle finali di Davis: la fragilità di un fisico ancora in crescita è stata nitroglicerina da maneggiare con cura per il team. E’ dimostrato: Jannik in salute è un’arma letale. Da inizio stagione Jannik (27 match fin qui) ha sbagliato poco o nulla. La battaglia negli ottavi dello Slam di Melbourne con Tsitsipas gli è servita a capire a che punto era, a Montpellier (Atp 250, vinto) ha posato un altro mattoncino, Rotterdam (Atp 500, finale persa con Medvedev) è stata la lezione che metterà a frutto oggi a Miami contro lo stesso rivale, un avversario che Jannik soffre perché sui colpi sghembi del russo non riesce ad appoggiarsi come vorrebbe; nello swing americano Sinner ha trovato il rendimento che cercava: poiché impara da ogni match, a Indian Wells ha perso da Alcaraz e a Miami l’ha battuto. L’atteggiamento di Jannik a una settimana di distanza è apparso cambiato: in Florida è entrato in campo più aggressivo, intenzionato a rifiutare lo scambio, il braccio di ferro nel quale lo spagnolo eccelle, e alla lunga ha prevalso di muscolo, puntellandosi su una migliore condizione fisica rispetto al re spodestato (Djokovic torna sul trono alla vigilia della terra), costretto a commettere 9 doppi falli a causa della pressione che l’azzurro gli metteva sulla seconda palla e 27 errori gratuiti (contro 11). L’evoluzione di Sinner continua. È la curva di crescita progressiva, senza picchi e sprofondi, a colpire. Dietro c’è un lavoro quotidiano meticoloso, mirato a irrobustire il giocatore prima nel corpo e poi nei colpi, perché senza un fisico all’altezza dell’elasticità di Djokovic, della resistenza di Nadal, della modernità eclettica di Alcaraz (co-protagonista di una rivalità che rischia di superare i 59 episodi della saga tra Nole e Rafa) non è pensabile circolare ai piani alti del tennis. [—] La sfida, ora, è trasformare un attaccante da fondocampo in campione all around, versatile e polivalente, dotarlo di tutti i colpi (la palla corta è acquisita, sul gioco a rete si può lavorare) e della capacità (rara) di prevalere su ogni superficie. […]

Sinner, lo show di una nuova era (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)

Attenti a quei due. Per il popolo del tennis, Jannik Sinner e Carlos Alcaraz sono già tutt’uno, come il “Fedal” di Federer e Nadal, un binomio di bellezza e valori dello sport, trascendendo “il trionfo e il disastro, gli impostori” di Kipling che accompagnano in campo i protagonisti a Wimbledon, e anche il discorsone sul GOAT: il più forte di tutti tempi. In attesa del terzo uomo che per il Magnifico e l’Extraterrestre è stato Djokovic e per i nuovi super-eroi potrebbe essere Rune o magari Musetti, venerdì a Miami l’elegante altoatesino dai capelli rossi e il super-reattivo toro di Spagna hanno lanciato il poster di una rivalità al vertice che richiama altre comete indimenticabili del passato, da Agassi-Sampras a Becker-Edberg. , Dopo la fantasmagorica semifinale, l’Italia inneggia al suo 21enne prodigio che batte per la prima volta un numero 1, portando sull’emblematico 3-3 i testa a testa, scalzandolo dal trono ATP a beneficio di Djokovic e raggiungendo la seconda finale Masters 1000 sempre in Florida dopo quella 2021 persa con Hurkacz. Ma, al di là del rientro fra i primi dieci della classifica e dall’esito di stasera nella sfida contro Daniil Medvedev, reduce da 5 finali di fila, partendo da 5 ko su 5, è il tennis tutto che sorride guardando al futuro. Fra i due ragazzi c’è grande intesa e rispetto nel nome del lavoro. «Mi displace per i crampi», dice Jannik sul net stringendo la mano a Carlos dopo il 6-7 6-4 6-2 e tre ore di colpi da spellarsi le mani. «Vinci, tifo per te», gli risponde l’altro, twittandogli poi i complimenti ufficiali urbi et orbi. Sorridono tutti e due, stremati, dopo aver dato tutto, galvanizzati da un risultato che comunque non penalizza lo sconfitto, pronti a darci dentro di nuovo da domani stesso per migliorarsi ancora, in tutto. Proprio nel segno degli illustri predecessori, felici di esserci e di battersi in questi duelli stellari che già sono storia. «Ho cambiato qualcosa rispetto a Indian Wells ma non dico cosa, la prossima volta sarà lui a trovare la contromossa. Questa è una vittoria che significa molto, abbiamo giocato ad altissimo livello cercando entrambi un tennis aggressivo. E oggi ho vinto io», dice Jannik il freddo guardando orgoglioso gli allenatori Vagnozzi e Cahill, e il preparatore atletico Umberto Ferrara. Quel passante sul 4-2 è il punto dell’anno? «Fantastico, ma anche molto fisico, tanto che ho perso il game dopo, per fare punti così bisogna essere in due».[…]

Ora comincia un’èra di sfide memorabili (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

«Vai a vincere – dice Carlos Alcaraz a Jannik Sinner a fine partita congratulandosi con lui – Tiferò per te». Era tardi, l’altra notte. Eppure non siamo mai stati così svegli. Altro che caffeina. Storditi e stravolti da un match durato tre ore destinato, oggi cosi come tra vent’anni, a restar scolpito nella nostra memoria. Era la sesta volta che l’azzurra e lo spagnolo si incontravano in carriera. Ma la sensazione è che quanto accaduto nella semifinale di Miami non sia evento che corra il rischio d’esser «scavalcato da un ricordo più vicino», inesorabile aggiornamento che ogni rivalità reclama per sé, per attestarsi invece come pietra d’inciampo di una memoria collettiva cui tornare a guardare con gratitudine quando, chissà, tra dieci o quindici anni, sentiremo infine il balsamo della nostalgia prevalere sul fuoco della contesa. Per adesso prevale ancora il qui e ora. L’impaziente attesa scioltasi nell’applauso del pubblico prima del via, un tributo concesso sulla fiducia ai due contendenti; il fluviale seguito con cui dai social media continuavano a rimbalzare esclamazioni e incredulità; l’avvicendarsi di passioni tanto violente quanto contrastanti capaci di polverizzare la distanza tra il tracollo e la resurrezione in un confine mai così labile. Per Alcaraz, quel momenta è coinciso con il punto del match, un quindici che giä si candida a diventare come il più bello della stagione: uno scambio lungo venticinque colpi nel settimo game del primo set e vinto da Sinner con un passante incrociato su cui lo spagnolo è capitolato incredulo a terra. «Quando ho perso quel punto, la prima cosa che mi è venuta in mente è che fosse imbattibile», ha confessato il murciano in conferenza stampa. «C’è sempre bisogno di due giocatori per fare questo tipo di punti», ha riconosciuto poi il numero uno italiano. […] Ormai ventenni, seppur separati da poco meno di due anni, Sinner e Alcaraz hanno sin qui assommato tanti duelli quanti Novak Djokovic e Rafa Nadal ne avevano affrontati alla loro età in una rivalità, la loro, che sedici anni dopo è giunta al cinquantanovesimo episodio. Già, il tempo. Quel che per la vecchia guardia è ormai “un signore distratto”, per loro due invece è ancora “un bambino che dorme”. Sogni intatti e futuro da costruire. Vederli scambiarsi colpi a quella velocità e a quel ritmo è il modo che hanno scelto per svegliarlo e cominciare a impossessarsene.

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Provaci ancora, Jannik! (Azzolini). Volandri: “Punto sul Rosso” (Crivelli). Fine emergenza, Djokovic sarà agli US Open (Giammò)

La rassegna stampa di venerdì 31 marzo 2023

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Provaci ancora, Jannik! (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Non era giornata da esibizioni balistiche, e anche il talento una volta tanto ha potuto permettersi una partecipazione in relax, tra pigri svolazzi qui e là giusto per dare una mano (il talento ha le mani, non lo sapevate?) nei momenti in cui ce n’era bisogno. Non troppi, come si è visto. Già in modalità semifinale, Jannik Sinner a Miami si è affidato al pilota automatico, lasciando volentieri che a fare la differenza fossero altre specialità della casa. Solo alcune, delle molte che Jannik tiene al riparo nella personale dispensa da tennista. Il padre, Chef Johann del rifugio Fondovalle nella val Fiscalina passa per un maestro dei canederli, Jannik sa fare la pizza, così così dicono in giro (anche se lui tende a esaltarla), ma gli ingredienti del tennis sono più numerosi. Se usati tutti assieme, nel modo più sapiente, si ottengono match da ristorante stellato, a volte però ne basta uno – ben scelto – per portare a casa il risultato senza soffrire più che tanto. L’attenzione al match, per esempio. Non è mancata davvero con Ruusuvuori, figurarsi se un tipino listo come Jannik si faceva cogliere con la testa ad altro durante un quarto di finale buono per una nuova semifinale “mille”. Anzi, direi che Sinner l’ha scelto come ingrediente di giornata, disponendolo bene in vista davanti al promettente Emil, compagno di allenamenti, «e persona davvero per bene». Del resto, a certi livelli il messaggio non può tener conto delle amicizie, ma è bene che arrivi chiaro e tondo. Se acceleri, accelero, se cerchi drop, sai che li faccio meglio di te, io oggi mi alleno sul servizio, «vedi tu che puoi fare», è quanto comunicato da Sinner all’avversario. E il servizio è stata l’altra chiave del match. Aria tipica da rifinitura in vista d’impegni ben più consistenti. Utile anche dal lato “mentale”, dato che nei primi game il finlandese ha provato a fare un po’ di resistenza e Sinner non aveva ancora dimenticato il match point che l’anno scorso fu costretto a sfilare al biondo Emil. Ma non c’era alcuna intenzione di rispolverare le incertezze del passato, Jannik ha subito allungato la gittata dei colpi per prendere le distanze, ottenendo presto il break (nel quinto game) che l’ha spinto in fuga. Poi ne ha fatto un altro, stavolta in grazia di uno di quei colpi che il pubblico di Miami attende per far partire i cori di ammirazione. Sul 5-3, 40-30 la risposta di Sinner al servizio del finnico è stata di quelle che si vedono raramente. Una botta al tritolo, incrociata e imprendibile. Gli appassionati più introdotti alle difficoltà tecniche hanno apprezzato vivamente. Sinner è pronto, la conclusione. La semifinale è apparecchiata. Resta da attendere giusto l’altro commensale. Ci si chiede se il pubblico di Miami avrà spinto per Alcaraz, […] o se le preferenze saranno andare a Fritz, americano ma non di casa, anzi, dell’altra sponda, quella del Pacifico. Bella domanda, ma ci si è messa la pioggia, giunta sul 6-3 2-0 per Sinner, che aveva appena posto in saccoccia il terzo break (il primo del secondo set) e il quarto game consecutivo. Giornata di nuvole nere, e due ore di attesa. Il tempo di chiudere la disputa, concedendo a Ruusuvuori appena un game, e di nuovo pioggia, a impedire la disputa del secondo quarto di finale, tra Alcaraz-Fritz, infine rimandato alla notte appena trascorsa e chissà se poi andato in porto, visto che il maltempo ha continuato a imperversare e anche Medvedev e Eubanks sono stati costretti a rientrare negli spogliatoi non appena cominciato il confronto. […]

Volandri: “Punto sul Rosso” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

 

Non era mai successo che un italiano conquistasse la semifinale in due Masters 1000 consecutivi. Ma per questo Jannik Sinner, che stanotte a Miami affronterà Alcaraz (rivincita di Indian Wells) o Fritz (già battuto in California), il limite può essere solo il cielo. Come sa anche il capitano azzurro Filippo Volandri. Filippo, a che punto siamo della crescita di Sinner? «I suoi risultati di adesso sono l’evoluzione di un lavoro cominciato un anno fa con il cambio di allenatore. Ai tempi, mi aveva detto che non gli importava scendere al numero 20 prima di adattarsi al nuovo corso, era convinto della scelta. I frutti iniziano a vedersi, ma il percorso è ancora lungo».

Confortante: significa che ha ancora margini dl miglioramento.

Ma senza dubbio. Però il suo livello attuale è già molto alto: ha dominato Ruusuvuori giocando una partita “normale” e in generale ha imparato a vincere le partite “sporche”. Si poteva immaginare che dopo la pausa per la pioggia avrebbe potuto smarrire un po’ di concentrazione, e invece ha finito in 20 minuti. Ora è il momento di vincere anche quelle al top, come la semifinale di Miami, ad esempio.

Cosa la sta sorprendendo di più nel cammino di Jannik?

Potrei parlare dei miglioramenti tecnici, ma in realtà ciò che colpisce di più è questa sua continua tensione verso la perfezione: ricerca tutto ciò che lo può rendere un giocatore migliore. Adesso ha uno staff scelto completamente da lui, a cui dare gli indirizzi tecnici e da cui ricevere input. E questo conta molto.

Cos’ha portato in più il supercoach Cahill?

Intanto, non mi piace la parola supercoach, perché sembra rendere tutti gli altri dei “mini coach”. Preferisco consulente o collaboratore. Di certo, Cahill è un grande allenatore, con enorme esperienza, che ha dimostrato di poter accompagnare i giocatori verso l’obiettivo più alto, il numero uno del mondo. La sua presenza dà sicuramente tranquillità al team, perché gli altri sanno quali risultati si possono raggiungere con i suoi consigli, specialmente nella gestione della partita. Ma la crescita tecnica di Jannik è totalmente figlia delle capacità di Simone Vagnozzi. […]

Se dovesse affrontare Alcaraz e perderci di nuovo, si potrebbe parlare di sudditanza verso lo spagnolo?

Nel 2021, quando perse con Nadal a Roma, Jannik era molto deluso: pensava già di essere a quel livello. Ora è molto più consapevole, sono convinto sarebbe una partita molto diversa con Carlos rispetto a Indian Wells. Partendo però da un presupposto: in questo momento Alcaraz è davanti, che non significa sia più forte: semplicemente, ha sviluppato prima le sue enormi qualità. Ma Jannik ha bisogno di giocare tante di queste partite: più ne gioca, più apprende, più impara a vincerle e cosi può porsi l’obiettivo di conquistare i grandi tornei.[…]

Fine emergenza, Djokovic sarà agli US Open (Ronald Giammò, Corriere dello Sport)

Con 68 voti favorevoli e 23 contrari, la scorsa notte il senato degli Stati Uniti ha posto fine allo stato d’emergenza per contrastare la diffusione dell’epidemia da Covid-19 nel paese. La decisione, non votata dal presidente Joe Biden, che aveva comunque annunciato di non pone alcun veto per una misura considerata in linea con quella che è ormai la situazione attuale nel paese, farà sì che Novak Djokovic potrà prendere parte ai prossimi US Open, in programma a New York dal prossimo 28 agosto. Il serbo, in quanto non vaccinato e non residente negli Stati Uniti, non ha potuto partecipare ai due Masters 1000 di Indian Wells e Miami, una decisione su cui lui stesso, in un’intervista rilasciata alla Cnn la scorsa settimana, aveva dichiarato di «non aver alcun rimpianto»; il tutto nonostante gli endorsment ricevuti da diversi colleghi e le richieste ufficiali inoltrate al presidente Biden da due senatori e dal governatore della Florida affinché gli concedesse un’esenzione. […] A pochi giorni dal via della stagione sulla terra battuta, resta invece ancora un rebus la data del rientro in campo di Rafa Nadal, infortunatosi lo scorso gennaio alla gamba sinistra durante gli Australian Open. Due settimane fa era stato il direttore del Masters 1000 di Montecarlo, David Massey ad annunciarne il ritorno nell’evento del Principato. Ma pochi giorni dopo, nel corso di un evento per la premiazione della sua fondazione, il maiorchino rispondendo ai cronisti non ha voluto sciogliere ancora la riserva: «Non so da dove viene l’informazione della mia partecipazione a Montecarlo – ha dichiarato il vincitore di 22 Slam -. Mi piacerebbe confermarla, ma purtroppo non posso. Continuo con il mio percorso di recupero, al momento sono in una fase di aumento del lavoro e non so quando tornerò a giocare. Questa è la verità. Se lo sapessi, lo direi, ma non lo so».

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Flash

Nuovo Medvedev sfida lanciata «Voglio ancora il numero uno» (Crivelli). Sentenza Sinner batte anche la pioggia (Giammò). Sonego, ciao Miami «Ma questo torneo ml ridona fiducia» (Azzolini). Sfida ai campioni (Semeraro)

La rassegna stampa di giovedì 30 marzo 2023

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Nuovo Medvedev sfida lanciata «Voglio ancora il numero uno» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

L’Orso continua sornione la sua risalita. Abbagliato dalle prodezze di Alcaraz, ammirato dai progressi di Sinner, con il battito del cuore sospeso in attesa dei ritorni di Djokovic e Nadal, il mondo sembra essersi dimenticato della forza e del valore di Medvedev, colui che soltanto a settembre era ancora numero uno del mondo ed era stato il primo a salire al vertice dopo il dominio di tre lustri targato Big Four. Eppure, dopo l’eliminazione al terzo turno degli Australian Open che lo aveva gettato nello sconforto sportivo tanto che coach Cervara per scuoterlo aveva deciso di non rivolgergli più la parola, il russo è tornato prepotentemente a imporre la sua legge con quel suo tennis sghembo ma efficacissimo che lo rende sostanzialmente un unicum. Tre tornei vinti di fila (Rotterdam, Doha e Dubai) e il quarto, Indian Wells, perso solo in finale contro Alcaraz, una serie di 19 vittorie di fila interrotta appunto dal fenomenale spagnolo e il ritorno tra squilli di tromba prima in top 10 e adesso in top 5. E anche a Miami, senza troppi proclami, è già nei quarti, dove stasera troverà la sorpresa statunitense Eubanks, 103 del mondo, e non ha ancora perso un set

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Ora chiaramente tornando al presente, dopo quello che ho fatto nelle ultime settimane è normale che ce ne sia di più. Sarebbe strano il contrario. Ma diciamo che in venta è una cosa che riguarda la vita in generale, più cerchi di ottenere qualcosa non solo nel tennis, più pressione avrai. A volte stesso dal tuoi familiari e così poi a catena, dai fan, dalla stampa, dai media e via discorrendo. Quindi so che nel tennis più pressione hai, più significa che stai facendo del tuo meglio, il che è fantastico». L’obiettivo A dire il vero, quando si è ritrovato Iassù, al numero uno, qualche granello ha cominciato a ingolfare una macchina che sembrava perfetta: «Semplicemente, non ho più giocato al livello che dovevo tenere per meritarmi quella classifica. Ma la corsa al primato, se ci pensate, è davvero eccitante e difficile: Djokovic è stato sfortunato a non poter giocare tutti i tornei, e sono sicuro che tutti vorrebbero vederlo giocare, perché è un grande campione. Poi, se Nadal non si fosse infortunato a Wimbledon, sarebbe stato lui il numero uno. Non possiamo saperlo perché è stato fuori per infortunio.

[…]

Non vince un Masters 1000 da Toronto 2021, ma in Florida è decisamente il secondo favorito dopo Alcaraz: «Quando ho perso da lui a Indian Wells, ero deluso dal fatto che fosse finita la serie vincente, ma ho guadagnato molta fiducia. È quello che mi è mancato l’anno scorso, una striscia di vittorie di questo tipo. Sono riuscito a vincere 19 partite di fila, ne sono orgoglioso, ma adesso è il momento di provare a costruire una nuova serie». Anche se intorno il mondo non è diventato un posto migliore: «Sapete come la penso sulla Russia e sull’Ucraina: io sono per la pace. E noi top player abbiamo la responsabilità di veicolare i messaggi più wstruttivi». La saggezza dell’Orso.

Sentenza Sinner batte anche la pioggia (Ronald Giammò, Il Corriere dello Sport Roma)

Continua spedita la marcia di Sinner al Masters 1000 di Miami: ieri neanche la pioggia ha fermato la marcia dell’azzurro che si è liberato del finlandese Ruusuvuori in due set con il punteggio di 6-3 6-1 volando in semifinale. La partita era stata interrotta già con Sinner nettamente padrone del match avanti di un set e 2-0 nel secondo. Alla ripresa, dopo due ore di stop (una per la pioggia, la seconda solo per asciugare il campo) per il finlandese non c’è stato letteralmente scampo e la resa è arrivata in una manciata di minuti cercando una reazione di orgoglio solo nel quinto game. Perso il servizio, il 6-1 è diventato una formalità. Sinner a Miami non ha perso neanche un set: 2-0 a Djere, Dimitrov, Rublev e ieri Ruusuvuori.

[…]

«E’ un bilancio molto positivo – riflette ancora Arbino – che riguarda anche la settimana in California, quando abbiamo perso subito da Kubier Da un certo punto di vista è stata una sconfitta salutare perché così ha potuto svolgere un bel lavoro di dieci giorni sul fisico e sulla tecnica, facendo così un grande investimento per questa prima parte dell’anno sul veloce. Mi aspettavo, con un pizzico di fortuna, che qui potesse andar bene perché vedevo che stava davvero in forma. Virtuale numero 47 del mondo, il segreto per decifrare ìl tennis di Sonego è pensarlo felice. «Oggi è più potente, sta lavorando molto bene atleticamente, è migliorato nella forza e nella rapidità – conferma il coach – E ancora un po’ leggerino per via della sua struttura fisica». Come programmare allora il rientro in Europa, dove ad attenderlo ci saranno campi in terra battuta? «Stranamente, in certi casi e in cerri campi il rosso è più rapido del cemento: l’umidità o la composizione di alcuni campi rendono a volte il cemento superficie più lenta della terra battuta. Continueremo a lavorare ancora tanto sul fisico»

 Sonego, ciao Miami «Ma questo torneo ml ridona fiducia» (Daniele Azzolini, Tuttosport)

E’ complicato spiegare perché un tennista come Francisco Cerandolo, argentino di Palermo – nel senso del quartiere dove è nato a Buenos Aires -, quando mette piede a Miami diventi un giocatore diverso, capace di mostrare un tennis da cemento di lignaggio ben superiore a quello che gli ho visto porre in scena nei tornei su terra rossa, là dove le sue attitudini tecniche dovrebbero funzionare a meraviglia. A Miami la palla corre più che a Indian Wells, è un dato di fatto. E Francisco passa per essere un buon ribattitore, non altro, per quanto volenteroso e rapido di gamba. Mentre su questi campi a un passo dal mare, assume connotati da esperto costruttore di geometrie tattiche che nascono dai requisiti tipici di chi sul cemento c’è nato, su tutte quella di accettare gli scambi con i piedi hen poggiati sulla riga di fondo, senza mai retrocedere.

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Piuttosto, è stato l’argentino a cambiare le regole d’ingaggio della disfida. Nel secondo set è migliorato non poco alla risposta, mostrandosi reattivo come non era stato in grado di essere nella prima frazione, e ha obbligato Sonego – su ogni scambio – a giocare un numero di palle almeno doppio rispetto ai primi game. La seconda frazione l’ha visto avanti 0-4, poi Sonego ha recuperato un break La terza l’ha avviata addirittura con una striscia di quindici ponti vincenti a due, e su quella ha potuto giocare in tranquillità la parte finale del match. «Ha giocato meglio di me, é stato bravo, ha fatto le cose giuste». La sensazione che Sonny si sia un po’ spento c’è stata, ma Lorenzo offre altre spiega zioni: «Nessun cedimento fisico, esco da questo torneo in ottima forma e nient’affatto stanco. Tho anche mostrato con Eran, quando ho ceduto il primo set, poi sono venuto a capo del match. È successo lo stesso con Cerundolo, ma a suo favore». Resta, nelle considerazioni ottimistiche del torinese, il buon torneo disputato. «Ho avuto la sensazione di poter giocare alla pari con chiunque, e devo dire che da un po’ di tempo, forse troppo, era una percezione che mi mancava. È stato un torneo importante per me, perché mi ha restituito fiducia e convinzione. Ora voglio trasformare i tornei sulla terra rossa in una nuova chance, e continuare a tirare su la mia classifica». A cominciare da Montecarlo, che Sonego aspetta come una “prova del nove”. «Ci tengo, è un torneo che nel 2019 mi ha visto nei quarti, e venivo dalle qualificazioni. Coach Arbino mi ha fatto appena sapere di aver preso appuntamento con Djokovic, per gli allenamenti dei prossimi giorni. Non vedo l’ora…». Le posizioni scalate in classifica saranno con ogni probabilità 12. Dal numero 59 dell’ultimo ranking, Soan y ritroverà posto frai primi 50, intorno al numero 47. La nottata è ormai alle spalle.

Sfida ai campioni (Stefano Semeraro, La Stampa)

In Coppa Davis l’Italia nel 2023 ricomincia da dove aveva smesso a fine 2022, cioè dal Canada. Dai campioni uscenti, guidati da Felix Auger Aliassime e Denis Shapovalov, che a Malaga ci negarono un posto in finale con un drammatico (e pieno di polemiche) doppio decisivo. Nella fase a gironi di Bologna che dal 12 al 17 settembre dovrà contribuire a qualificare le Magnifiche 8 per le Finals – in calendario ancora a Malaga dal 21 al 26 novembre – gli azzurri hanno pescato, oltre ai canadesi, anche la Svezia e il Cile. Negli altri tre gironi, Gran Bretagna, Australia, Francia e Svizzera saranno in campo alla 02 Arena di Manchester; Spagna, Serbia, Repubblica Ceca e Corea a Valencia; mentre il Gruppo D, che comprende Usa, Croazia, Olanda e Finlandia sarà ospitato in Croazia ma in una città ancora da ufficializzare. Il gruppo di Bologna è alla portata dell’Italia – si qualificano le prime due – ma guai a sottovalutare la Svezia dei fratelli Ymer (Mikael n.53 Atp e Elias n. 149) che l’anno scorso, proprio a Bologna, sfiorarono il colpaccio; e il Cile di Nicolas Jarry (n.57 Atp) e Cristian Garin (n.82).

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Nella speranza, soprattutto, che sia un’Italia a pieno organico, come finora si è vista giusto a Bologna, mentre in Spagna Sinner marcò visita e un Berrettini ancora convalescente giocò solo (e male) in doppio finendo per affossare le speranze azzurre. Nel frattempo, dopo il clamoroso addio del Kosmos Group, si stanno decidendo le sorti future della Coppa, che dal 2024, e soprattutto dopo le elezioni della federazione internazionale, potrebbe ricambiare format e sede. Una delle ipotesi è tornare in parte a incontri casa/trasferta, con una Final 4 al posto dell’attuale Final 8, sempre con sede unica. Che potrebbe essere anche Milano: il contratto con Malaga scade quest’anno e al Presidente Binaghi sotto sotto non dispiacerebbe portare dal 2026 l’evento nel nuovo palasport olimpico di Santa Giulia

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