La classe operaia contro i paperoni (Semeraro)

Rassegna stampa

La classe operaia contro i paperoni (Semeraro)

La rassegna stampa di giovedì 16 gennaio 2020

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La classe operaia contro i paperoni (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

E poi è arrivata la pioggia a spezzare via almeno per un giorno il fumo degli incendi che da settimane copre Melbourne, nascondendo il cielo come neanche nella Londra dickensiana della rivoluzione industriale. L’inizio delle gare ieri era stato ancora una volta ritardato (di tre ore) per far scendere la concentrazione delle polveri sottili nell’aria. L’acqua ha lavato via quasi turno il programma delle qualificazioni (sono stati completati appena 16 incontri su 64), ma non ha spento le polemiche. La “working class” del circuito, gli operai che un posto nel paradiso bene remunerato dello Slam australiano se lo devono conquistare sudando nelle qualificazioni hanno l’orgoglio ferito, l’anima stropicciata. Sono in rivolta. La decisione degli organizzatori di mandarli in campo nonostante l’aria intossicata dai roghi, fra svenimenti, ritiri, attacchi di tosse da sanatorio – dallo Slam allo slum? – proprio non l’hanno digerita. E se la prendono allora con i padroni di Tennis Australia, gli organizzatori del torneo; e con i “sciuri” dai completi griffati, i loro colleghi dei quartieri alti, che secondo loro vivono ormai lontani dai problemi quotidiani di chi non riesce a spuntare contratti miliardari e deve risparmiare sulla lavanderia. «Se ieri si fosse dovuta giocare la finale con Federer o Djokovic in campo, le cose sarebbero andate diversamente?», si chiede il Masaniello americano Noah Rubin, famoso perché nel suo sito web (behind the racket) invita i colleghi a confessare i drammi e le solitudini dell’atleta professionista. «La domanda è sempre quella. Penso che la risposta sia no: non avrebbero accettato di giocare. Invece forzarci a gareggiare nelle qualificazioni in questo posto, dove non è facile stare… Durante l’anno non abbiamo possibilità di fare tanti soldi come negli Slam, se qui riusciamo a entrare in tabellone, anche perdendo al primo turo, guadagniamo più che nel resto della stagione (a Melbourne 90.000 dollari australiani, più di 55.000 euro; ndr). Quindi non è facile dire: “okay mi ritiro”. Non te lo puoi permettere. C’è anche poca comunicazione fra noi e l’organizzazione. Dicono di averci mandato una mail sulle condizioni di gioco, ma io non l’ho vista e poi qui dovrebbero inviare una mail ogni mezz’ora per aggiornarci sulle condizioni dell’aria. Forse pensano che non sia cosa importante: ma sono io che devo giocare tre ore a tennis là fuori, non loro. Fino a che il medico non me lo impedirà, io scenderò in campo. Con me però ci sono anche i raccattapalle e altra gente che non viene pagata per respirare questa aria». Se a difendere i manovali del tennis non ci pensano i sindacalisti che hanno eletto – Djokovic è il presidente del consiglio dei giocatori, dove siedono anche Federer e Nadal – chi deve farlo? «Tocca a chi è ricco e famoso fari da portavoce», grida il cobas canadese Brayden Schnur numero 103 del ranking. «Roger e Rafa sono troppo egoisti. Arrivati a fine carriera, badano solo a come la gente li ricorderà, non all’interesse generale dello sport. Così non va bene, devono metterci la faccia. Qui le condizioni di gara sono difficilissime, l’aria non si può respirare. Giocare è come fumare una sigaretta, ti senti la gola tutta secca. E chi soffre di asma è molto svantaggiato» […]

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