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La montagna ATP-ITF-WTA ha partorito molto più d’un topolino questa volta. Dal 23 agosto all’11 ottobre, in sette settimane ci saranno – a COVID-19 piacendo – due Slam e tre Masters 1000. Un’indigestione di eventi mai verificatasi prima. E c’è anche il torneo di Palermo che al momento gode di una posizione invidiabile: sarà il primo torneo della ripresa ufficiale del tennis, addirittura con un “buco” di una settimana dopo la sua conclusione. E con ottime chance di diventare un “Premierino” con una quindicina di top 30 – e magari tre top 10! – affamate di tennis dopo il lungo stop.
Una goduria per i tifosi a digiuno, anche se i due Slam dovessero giocarsi a ranghi ridotti per i problemi legati alle quarantene e ai timori individuali dei professionisti.
D’altra parte quando, a Wimbledon 1973, 79 dei primi 100 del mondo dettero forfait in segno di solidarietà a Nikki Pilic (sebbene il tennista croato non fosse neppure troppo popolare fra i suoi colleghi: “Ma fu una questione di principio…” spiega Stan Smith nella videointervista con Ubitennis), i “Championships” non ne risentirono minimamente. Così come oggi, non è che Jan Kodes, vincitore in finale su Alex Metreveli, viene discusso come vincitore di Slam. Vero, peraltro, che il tennista ceco ha vinto anche due Roland Garros consecutivi (’70-’71) e raggiunto due finali all’US Open (’71 e ’73), evitando ogni discussione su sue qualità e meriti.
Visto che lo Slam parigino si gioca quasi un mese dopo – oggi apparentemente in condizioni sanitarie meno preoccupanti di quello di New York – e considerato che il 75% dei top 100 sono europei, così come europee sono 21 delle prime 30 tenniste del ranking WTA, il Roland Garros dovrebbe poter contare su una partecipazione quasi ottimale.
Lo US Open ha, d’altro canto, il vantaggio di ospitare il Masters 1000 di Cincinnati nello stadio di Flushing Meadows. Fra soldi e punti tanta, tantissima roba, cui non sarà facile rinunciare.
Ma quanti saranno in grado di sopportare sette settimane di tennis ad altissimo livello, di cui quattro giocando tre set su cinque, attraversando l’Atlantico e vivendo in condizioni e situazioni cui non sono abituati? Il rischio di patire infortuni c’è tutto. La necessità di guadagnare finalmente dei soldini dopo un 2020 assai avaro spingerà molti tennisti a sobbarcarsi il tour de force. Ma anche alcuni a rinunciare a qualche evento.
Tutti i due Slam e i tre Masters 1000 volevano disperatamente poter organizzare i loro tornei. Pena il disastro economico. Binaghi per Roma lo ha detto più volte. Era disposto a far giocare gli Internazionali in qualunque data e in qualunque città, all’aperto, indoor, anche nella settimana di Natale se fosse stato necessario. C’è da capire lui e gli altri organizzatori.
Wimbledon si era assicurato, loro no. Ma l’All England Club è quasi una fondazione benefica, di cui gode in massima parte la LTA, la federtennis inglese. Investire una cifra compresa tra 200.000 e 700.000 euro all’anno (queste le stime del New York Times) per assicurarsi era più semplice per chi non ha il primario obiettivo di guadagnare dei soldi, e comunque di non rimetterli. Tiriac, promoter di Madrid, non li avrebbe certo investiti per tutti questi anni. Avrebbe pensato che “erano buttati”. Idem la FIT e la FFT (la federtennis francese che con gli Internazionali di Francia finanzia gran parte del suo movimento tennistico).
L’US Open ha subito annunciato l’ok entusiasta di Serena Williams e non a caso il New York Times ha aperto il suo articolo dando notizia della sua partecipazione. Dopo quattro Slam in cui Serena, al rientro dopo la maternità, ha perso altrettante finali senza vincere un set pur essendo scesa in campo da favorita – Patrick Mouratoglou nella sua intervista con Ubitennis ha spiegato perché Serena abbia fallito quei quattro appuntamenti – non c’è dubbio che la sua rincorsa ai 24 Slam di Margaret Court sarà un leit-motiv mediatico per tutta la durata del torneo, finché sarà in gara.
Avuto sentore dei dubbi espressi da Djokovic, Nadal, Halep e altri, la neo boss dell’US Open Stacey Allaster con tutto il seguito dei dirigenti americani ha subito aggiustato il tiro (raccogliendo subito il favore di Djokovic, per dirne uno): ok perché i giocatori possano portarsi dietro tre persone del team anziché una sola, come avevano invece annunciato solo pochi giorni fa. Ok uscire dalla “Bubble” (la bolla di sicurezza) e consentire ai più “ricchi e viziati” di affittare una villa nelle vicinanze di Corona Park – non a Manhattan…ma poi voglio proprio vedere chi controllerà gli spostamenti di chi volesse andarci a…ballare! – anziché accettare il confinamento nell’hotel TWA dell’aeroporto JFK.
Figurarsi se l’America non si piegava al profumo dei dollari. Se i giocatori più forti non volevano venire occorreva far ponti d’oro. E glieli hanno fatti.
Il discorso sui test e a tamponi vari, con varie frequenze, riguardo ai quali ho posto una domanda durante la conferenza stampa via Zoom mercoledì pomeriggio al consesso dell’USTA, è ancora tutto da definire con precisione. Tutti fanno appello al senso di responsabilità dei giocatori, ma poi quando si vede quel che accade nelle varie esibizioni di questi giorni… i dubbi che quel senso lo avvertano proprio tutti, beh mi restano.
Riguardo ai… molto meno forti l’US Open ha poi deciso di devolvere più di 6,6 milioni di dollari a ATP e WTA (3,3 per circuito) che potranno gestirli come vogliono, per compensare i tennisti danneggiati dall’assenza delle gare di qualificazione, per organizzare o supportare tornei challenger ATP o tornei internazionali WTA, i tornei ufficiali con i punti.
L’US Open ammetterà direttamente i primi 120 tennisti. Immagino che Paolo Lorenzi, alla notizia, avrà stappato champagne. Lui è n.121, e poiché almeno Federer sarà certamente assente a New York – oltre che a Basilea dove infatti hanno tutte le intenzioni di cancellare il torneo – Paolo è certo al 100% di entrare in tabellone. Altrimenti avrebbe dovuto fare le qualificazioni, con tutti i rischi del caso. Anche per Cecchinato, n.113, salvo che ci fossero state 9 defezioni, le qualificazioni non potevano essere escluse.
Secondo me anche Gaio, n.130, non avrà problema a figurare nel main draw. Starà probabilmente imprecando chi è più indietro, come Fabbiano che è n.147, Giustino 153, Marcora 158. Che diano forfait temendo il virus o altro in 30 e più di 30 non è proprio troppo probabile. Che una trentina di “terraioli” optino decisamente per il trittico Madrid-Roma-Parigi evitandosi la trasferta americana sul cemento anche non è probabile. Intanto meglio un uovo oggi che la gallina domani, e poi un Nadal e un top player che può arrivare alle fasi finali di New York magari sarà in difficoltà a precipitarsi subito a Madrid… ma quei giocatori che molto probabilmente pensano di perdere nella prima settimana dell’US Open andranno certamente a New York a raccogliere il grano.
Per chi era più giù del n.160 sarà dura, durissima. Dopo quattro mesi di inattività forzata, saranno tutti costretti a star ancora fermi. Il calendario dei challenger del secondo semestre è ancora per aria. E mentre in un primo momento si diceva che anche a dicembre sarebbe stato possibile giocare tennis agonistico, le ultime notizie dicono invece che non lo è più. In teoria il circuito cadetto dovrebbe ripartire dal 14 agosto… durante Washington. Forse a Orlando potrebbe essere organizzato un torneo da 150.000 dollari…
E comunque anche i challenger sono e saranno così pochi che chi è classificato più giù del 180° posto probabilmente non riuscirà nemmeno a entrare prima del “taglio”. A parte il fatto che solo chi li vince guadagna soldini interessanti: qualificarsi per uno Slam significa invece prendere 50.000 euro, e passare un turno 100.000 (mediamente). E poi vuoi mettere la diversa soddisfazione? Insomma, chi è n.200 si attacca al tram.
L’ATP aveva due opzioni, in teoria, dopo che l’USTA ha fatto capire che l’US open sarebbe andato avanti per la sua strada, ma senza la forza finanziaria per reggere un mese di apertura per il Masters 1000 di Cincinnati trasferito a New York, una settimana di qualificazioni, le due settimane dello Slam.
Il business ha vinto, come era praticamente scontato, anche se ai 400 giocatori dell’ATP nella riunione di mercoledì scorso si è “finto” di avere in piedi due opzioni: una è l’opzione che ha prevalso. L’altra (finta) era quella che si rinunciava al Masters 1000 di Cincinnati e si giocavano le qualificazioni come sempre a Flushing. La prima soluzione significava far giocare sempre gli stessi 100 primi della classe. La seconda far giocare anche quelli che vanno da 104 a 200 e passa.
L’ATP ha deciso per la prima perché far vedere un Masters 1000 in più significa diritti TV, sponsor, soldi. Le qualificazioni rappresentano soprattutto spese e proventi inesistenti. È bastato poi che alcuni dei primi 100 (Shapovalov fra gli altri) dicesse: “Ma noi come facciamo a esordire subito in un tre su cinque?” perché l’ATP prendesse la palla al balzo, fregandosene – di fatto – dei tennisti non compresi fra i primi 120 ammessi direttamente all’US open. Ok, l’US Open ha messo sul piatto i 3,3 milioni per ciascuno dei due circuiti, ma chissà con quali criteri verranno distribuiti e a chi.
C’è anche il sistema dei punti che è tutt’altro che ben calibrato e funzionante. Viene aspramente contestato. Sarebbe giusto consentire a ciascuno di “difendere” i punti lungo l’arco di 12 mesi – e il difenderli significa poter entrare nei tabelloni dei tornei per 12 mesi, quindi proteggere le proprie entrate. Invece c’è chi, come Mager (è solo un esempio, ce ne sono altri), li ha fatti nel mese di febbraio ma non avrà altro che settembre, ottobre, novembre e gennaio per “sfruttarli” mentre magari un Fognini (è un altro esempio del tutto casuale, credetemi) che li ha fatti a Montecarlo 2019, ha avuto sette mesi del 2019 con quei punti e quella classifica (teste di serie e posizioni in tabellone incluse) e li mantiene anche per i cinque mesi finali del 2020 nonché per i primi quattro del 2021. Insomma, e ora ho preso due estremi, c’è chi ha potuto godere dei punti conquistati per 16 mesi e chi invece soltanto per 4 o 5. Ancora, peraltro, non è detto che questo sia il sistema finale con il quale i punti verranno “congelati” e “sfreezzati”.
Concludo dicendo che il Masters 1000 di Parigi Bercy, 1-8 novembre si dovrebbe svolgere regolarmente, a 20 giorni dalla conclusione del Roland Garros, con più o meno gli stessi protagonisti. I soldi vanno sempre dove sono i soldi. È una vecchia storia. Nella vita mai smentita.