Bencic, Kasatkina, Ostapenko, Osaka, Konjuh: la generazione 1997 quattro anni dopo - Pagina 3 di 4

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Bencic, Kasatkina, Ostapenko, Osaka, Konjuh: la generazione 1997 quattro anni dopo

Cinque giocatrici e quattro stagioni di tennis da ripercorrere per scoprire come sono andate davvero le cose rispetto alle previsioni

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Daria Kasatkina e Naomi Osaka - Indian Wells 2018
 

Naomi Osaka
Delle cinque giocatrici della generazione 1997, Naomi Osaka è forse quella che ha seguito l’andamento di carriera più lineare. Non è stata la più giovane a entrare in Top 10 (primato di Bencic) né la prima a vincere uno Slam (record che spetta a Ostapenko).  Non è stata neanche immune da cali di rendimento (2017) e guai fisici (alla spalla nel 2019 e alla gamba, di recente), ma non ha certo affrontato infortuni complessi come quelli che hanno afflitto Bencic e soprattutto Konjuh. La conseguenza è che, per il momento, ha avuto di gran lunga i migliori risultati.

Torniamo alla fine del 2016. In quel momento Osaka è numero 40 del mondo, ha diciannove anni compiuti da pochi giorni e non ha ancora vinto un torneo WTA. Ma in alcune occasioni ha lasciato intravedere picchi di gioco notevoli. Per esempio un paio di mesi prima, allo US Open 2016, ha quasi eliminato la testa di serie numero 8 Madison Keys. È arrivata a condurre 5-1 nel terzo set, ma ha finito per perdere 7-5, 4-6, 7-6, giocando gli ultimi game in lacrime per l’occasione mancata. Ha perso perché, con le spalle al muro, l’avversaria ha saputo alzare il livello del proprio gioco; ma anche perché lei nei game decisivi ha avuto paura di continuare a spingere come prima.

Partite come queste fanno parte di un processo di crescita che richiede ancora tempo per dare frutti. Nel 2017 le cose non vanno molto bene: Osaka non va mai oltre i quarti di finale e peggiora la classifica ritrovandosi a fine anno alla posizione 67. Bisognerà attendere il 2018 per il salto di qualità decisivo.

All’Australian Open 2018 offre una prestazione di eccezionale qualità contro la beniamina di casa Ashleigh Barty: ha tutto il pubblico contro, naturalmente, ma questo per lei non è un problema. Vince 6-4, 6-2 e a fine match ringrazia gli spettatori per la grande partecipazione; è vero, hanno tifato contro di lei, ma hanno comunque reso l’atmosfera elettrica, e questo le è piaciuto moltissimo. Giocasse sempre così, Naomi farebbe molta strada, e invece al turno successivo scende in campo spenta, e perde malamente contro la numero 1 Simona Halep. La continuità non è ancora raggiunta.

Si prenderà la rivincita qualche mese dopo, quando vince Indian Wells sconfiggendo nell’ordine Sharapova, Radwanska, Vickery, Sakkari, Pliskova, Halep e Kasatkina. A Melbourne la numero 1 del mondo Halep le aveva lasciato cinque game (6-3, 6-2); a Indian Wells Naomi gliene concede tre (6-3, 6-0). In California diventa chiaro a tutti che giocando così Osaka può raggiungere qualsiasi traguardo.

La conferma arriva allo US Open 2018, vinto dopo aver sconfitto in semifinale Madison Keys (sì, la Keys di quella partita del 2016) e poi Williams nella finale resa incandescente dallo scontro fra Serena e il giudice di sedia Carlos Ramos. Il pubblico è compatto per la giocatrice di casa, ma Osaka ha già dimostrato di saper vincere “in trasferta”.

Il resto è storia recente e arcinota: il secondo Slam consecutivo all’Australian Open 2019, il numero 1 del mondo e poi anche il terzo Major conquistato a New York nel 2020. Ecco cosa avevo scritto su di lei nel 2016: “C’è qualcosa nel modo di muoversi e di colpire di Osaka che ricorda la giovane Serena Williams. Tutto ciò rende le valutazioni particolarmente complicate, un po’ come è accaduto in passato con Dimitrov rispetto a Federer.
Quanto vediamo di Osaka è realmente “suo” e quanto è invece proiezione nostra, di spettatori che hanno visto Serena Williams vincere per tutto il terzo millennio? Proverò a rispondere nel modo più distaccato possibile. Al di là di tutto, Naomi è una giocatrice che sembra particolarmente adatta al tennis contemporaneo: servizio a velocità superiore (tra le primissime del circuito), dritto e rovescio che viaggiano con una facilità impressionante e una discreta mobilità, che fa pensare abbia margini di miglioramento nelle fasi difensive. Però bisogna anche aggiungere un gioco di volo quasi inesistente e una impostazione tattica ancora da maturare”.

Oggi Naomi non è certo diventata un fenomeno a rete, ma sul piano tattico (e agonistico) ha compiuto passi da gigante e i risultati sono la conseguenza di questi progressi. Tutto sommato direi che il mio testo di allora suona abbastanza neutrale, e non brilla per particolare capacità predittiva.

Posso in parte rifarmi su un altro tema, che avevo affrontato nel pezzo dedicato esclusivamente a Naomi. Avevo scritto: “Al di là degli aspetti tecnici, sarà in ogni caso interessante scoprire come evolverà nelle prossime stagioni Naomi Osaka in quanto personaggio della WTA, soprattutto in caso riuscisse a sfondare ad altissimi livelli”. Questo perché si capiva che la personalità di Osaka aveva qualcosa di speciale, e se fosse stata aiutata dai risultati avrebbe avuto gli argomenti per diventare molto popolare. Oltre che, come sappiamo, molto ricercata dagli sponsor.

Ana Konjuh
Ana Konjuh è la più giovane del quintetto di talenti del 1997, visto che è nata il 27 dicembre. Grande promessa del tennis croato, ha spopolato da junior, con il numero 1 del mondo raggiunto già a 15 anni e due mesi, oltre a due Slam vinti nel 2013 (Australian Open e US Open). E pur essendo la più giovane, da junior era in vantaggio negli scontri diretti con Bencic (1-0) e Kasatkina (2-0), e in parità con Ostapenko (1-1).

Quando passa fra le adulte, Ana non ottiene subito risultati eclatanti, però dimostra di non soffrire il salto di categoria, visto che riesce a entrare fra le prime 50 della classifica WTA ancora diciottenne. Ai tempi del nostro articolo di riferimento (novembre 2016) in classifica è già numero 48. Nel 2017 continua l’ascesa: raggiunge i quarti di finale a Dubai, Praga, Maiorca e Stanford; la semifinale a ‘s-Hertogenbosch e la finale ad Auckland. Se a questo aggiungiamo il quarto turno a Wimbledon abbiano una serie di prestazioni che le permettono di conquistare il best ranking: numero 20 del mondo nel luglio 2017.

Ma la fase positiva si ferma in estate. Con il senno di poi, si può dire che la sua carriera tennistica si interrompe in quel momento, visto che già nell’agosto 2017 è fortemente condizionata dal ricorrente problema al gomito destro, che le impedisce di giocare come vorrebbe. Ricordo che Ana si era già operata una prima volta alla articolazione nel gennaio 2014, e spesso ha dovuto convivere con il dolore.

Negli ultimi anni la carriera di Konjuh più che una avventura agonistica è diventata una vicenda clinica, con un totale di quattro interventi sempre alla stessa articolazione. Per sintetizzare le tappe del suo calvario presento semplicemente i titoli tratti da alcuni degli articoli pubblicati da Ubitennis (a parte il primo del 2014), e tutti scritti da Ilvio Vidovich, che segue con grande attenzione il tennis della ex-Jugoslavia:

7 gennaio 2014
Ana ha bisogno di un intervento chirurgico al gomito destro
(Prima operazione)

5 settembre 2017
Ana Konjuh si opera e dice addio a Krajan
(Seconda operazione)

2 marzo 2018
Ana Konjuh (ancora) non c’è

23 marzo 2018
Nuova operazione al gomito per Ana Konjuh
(Terza operazione)

7 maggio 2018
Ana vede la luce in fondo al tunnel: obiettivo Parigi

17 agosto 2018
Ana Konjuh di nuovo ai box: niente US Open

4 marzo 2019
Ana Konjuh, torna il dolore: nuovo intervento al gomito
(Quarta operazione)

28 ottobre 2019
Ana Konjuh torna ad allenarsi: obiettivo 2020

8 luglio 2020
Ana Konjuh is back. “Forse non sono fatta per il tennis. Ma non mollo”

23 settembre 2020
Ana Konjuh torna a vincere un torneo dopo cinque anni

Cosa dire della sua carriera oggi? Che dal settembre 2020 ha disputato tre tornei ITF, uno lo ha anche vinto, e che domenica scorsa ha giocato e perso il primo turno di qualificazione del torneo WTA di Linz. Al momento è numero 540 del ranking.

In sintesi: un grande talento con un gomito di cristallo. La prima parola che viene in mente, banale ma inevitabile, è sfortuna. La stessa parola che viene in mente quando Konjuh perde nel secondo turno di Wimbledon 2016 contro Agnieszka Radwanska. In quel momento Konjuh era numero 103 del mondo e Radwanska numero 3. Eppure la partita oscilla per oltre due ore sul filo dell’equilibrio. Il match si decide quando, sul 7-7 terzo set, nel tentativo di recuperare una smorzata della avversaria, Ana corre in avanti e sullo slancio finisce per mettere il piede sulla palla stessa. Conseguenza: distorsione alla caviglia e ultimi punti affrontati da infortunata. E naturalmente persi: 6-2, 4-6, 9-7.

Konjuh si sarebbe presa la rivincita contro Radwanska nello Slam successivo: 6-4, 6-4. Per qualità di gioco espressa, per importanza del palcoscenico e della avversaria, quella partita allo US Open 2016 è probabilmente la sua più bella vittoria nel circuito WTA.

L’ultimo Slam che gioca senza intralci fisici è Wimbledon 2017. Al terzo turno sconfigge la testa di serie numero 9 Cibulkova 7-6(3) 3-6 6-4. Ricordo bene il match per averlo seguito dal vivo: a oggi quella vittoria rimane l’ultima di Konjuh in un Major, a riprova di quanto difficili siano stati gli anni seguenti.

Per come sono andate le ultime stagioni, evidentemente non ha senso recuperare i giudizi espressi su di lei quattro anni fa per confrontarli a distanza di tempo. Resta da sperare che dal 2021 possa finalmente tornare a giocare a tempo pieno, libera dal dolore e dai condizionamenti fisici.

a pagina 4: Conclusioni

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