Jennifer Brady e Naomi Osaka. Due nomi dai grandi palcoscenici. I nomi delle due finaliste dell’Australian Open 2021. Una sfida molto più equilibrata di quanto non racconti la classifica o l’abitudine delle due a giocare partite di una certa caratura. Da un lato c’è Naomi, numero tre del mondo, che tutte le volte in cui ha superato gli ottavi di finale di uno Slam l’ha sempre vinto. È vero, le è capitato solamente tre volte, ma quelle tre vittorie Slam costituiscono anche il 50% dei trofei raccolti dalla giapponese nel circuito WTA. Un dato eccezionale, che la dice lunga sulla sua gestione dei momenti importanti e non può che confermarla come chiara favorita del match.
Dall’altro lato c’è Jennifer Brady, 22esima favorita del seeding e alla prima finale Slam della carriera. La partita più importante della sua vita arriva a 25 anni, nello stesso torneo in cui quattro anni fa raggiunse un insperato quarto turno, partendo dalle qualificazioni. Quarto turno che era anche il suo miglior risultato a livello Major, prima dello US Open 2020, il torneo della consacrazione. La sua corsa si fermò in semifinale, proprio contro l’avversaria che sfiderà sabato mattina, che vinse 7-6 3-6 6-3 e si avvicinò al suo secondo titolo allo US Open. Fu un match di altissima qualità in cui entrambe scagliarono una montagna di colpi vincenti.
Il percorso per arrivare in finale è stato simile: Osaka ha realmente sofferto solo in un match, negli ottavi di finale contro Muguruza, dove ha salvato con coraggio due match point e ha vinto 7-5 al terzo set. Una vittoria che, a detta della stessa Naomi, l’ha fatta giocare con più leggerezza. Le difficoltà sono arrivate comunque anche nel match di semifinale contro Serena Williams, seppur in misura minore. Le ha risolte senza particolari affanni, con grande personalità. Le altre cinque avversarie invece non hanno avuto scampo. Come quelle affrontate da Jennifer Brady nei primi quattro turni, dove ha perso solo 11 game. Poi sono arrivate le vittorie al terzo set contro Pegula nei quarti e Muchova in semifinale. Il suo percorso è stato fortemente agevolato dal tabellone: l’avversaria dalla classifica più alta affrontata è stata la ceca (numero 25).
Due semifinali nel giro di pochi mesi non sono però casuali: Jennifer Brady ha confermato di essere una delle giocatrici più difficili da battere sul cemento nell’ultimo periodo. Curioso il fatto che gli ultimi due Slam su cemento abbiano avuto tra le ultime quattro sempre Naomi Osaka, Jennifer Brady e Serena Williams, abbastanza insolito vedere un elemento di continuità così marcato nel circuito femminile. Come è anche interessante vedere che nelle ultime stagioni Naomi Osaka a cavallo tra anno pari e anno dispari ha raggiunto in back-to-back la finale allo US Open e la finale all’Australian Open. C’è riuscita nel 2018 e 2019, conquistando i due trofei. Ora è di nuovo la detentrice del titolo a New York e avrà l’opportunità di ripetersi a Melbourne Park.
Guardando ai dati registrati nelle sei partite disputate a Melbourne Park quest’anno, si notano poche differenze di gioco. Spicca un 52% di prime in campo per entrambe, un numero molto basso per chi vuole giocare in maniera propositiva. Pensate che vantano una delle percentuali peggiori di tutto il torneo: solo sei giocatrici hanno fatto registrare un dato più basso, su tutte quelle presenti nel main draw. In compenso difendono discretamente la seconda palla (53% dei punti vinti per Naomi e 54% per Brady), egregiamente la prima (79% per Osaka, 77% per Jennifer). Tuttavia questo aspetto, vista la latitanza della prima di servizio, sarà fondamentale in finale, dal momento che entrambe vincono circa il 60% dei punti contro la seconda avversaria.
Brady vanta anche un ottimo 75% di punti vinti a rete (39 su 52). È un aspetto del gioco dove Osaka ha ancora qualche pecca e infatti frequenta meno la rete rispetto alla sua prossima avversaria (quasi 20 discese in meno, 57% di resa). Da fondo invece non fanno sconti: entrambe hanno più del 50% di punti vinti da fondocampo (Osaka il 56%). In termini di rapporto vincenti-errori invece, Brady paga la tensione del match vinto contro Muchova (ben 38 errori, 18 in più dei vincenti) e fa registrare più non forzati che ‘winners’. Positivo invece il bilancio per Naomi (151-126, ma pesano i 44 ace).
Il fatto che l’americana abbia mancato così tante volte il campo nella semifinale, è un ulteriore elemento in favore di Osaka, che invece nei momenti in cui avrebbe potuto irrigidirsi (vedi il finale di partita con Muguruza e con Williams) ha tirato fuori il meglio di sé, piazzando colpi vincenti a ripetizione. Da parte sua è più difficile aspettarsi del nervosismo, anche se si trova per la prima volta in finale Slam da indiscussa favorita. Dovrà per forza gestire l’ansia Brady: se troverà il modo per lasciar scorrere i suoi colpi e non i milioni di pensieri che le imbroglieranno il cervello, potrà cercare di fare partita pari con Naomi. Magari tentare di ribaltare un pronostico che alla vigilia dell’ultimo atto pende fortemente dal lato della giapponese.