Perché fanno così rumore le foto di Novak Djokovic con politici ed ex militari serbi

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Perché fanno così rumore le foto di Novak Djokovic con politici ed ex militari serbi

Dopo la sconfitta di New York, Novak Djokovic si è concesso un soggiorno in Bosnia che ha generato molte polemiche per una foto con l’ex leader dei ‘Lupi della Drina’, che parteciparono al massacro di Srebrenica

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Dopo la conclusione amara dello US Open, che ha visto il suo sogno di completare il Grande Slam infrangersi in finale contro Medvedev, Novak Djokovic si è recato in Bosnia per recuperare un po’ di serenità e per visitare nuovamente le ‘Piramidi del sole’ di Visoko, dove era già stato la scorsa estate.

Il suo soggiorno balcanico, però, si è trasformato in un ricettacolo di critiche e polemiche per via della sua partecipazione a un paio di eventi mondani in cui il numero uno del mondo è stato fotografato con Milan Jolovic e Milorad Dodik, rispettivamente ex comandante dei ‘Lupi della Drina’ (formazione militare che partecipò a uno dei genocidi più cruenti della guerra in Bosnia) ed ex presidente della Repubblica Serba – nonché attuale membro della Presidenza della Bosnia Erzegovina – che ha pubblicamente negato che a Srebrenica, nel 1995, sia avvenuto un genocidio.

Milan Jolovic è stato decorato in Serbia – dove si è guadagnato il soprannome ‘Legend‘ – per aver salvato la vita al generale generale Ratko Mladić, che durante una operazione militare era finito nelle linee nemiche; al termine della guerra, Ratko Mladić è stato condannato (nel 2017) per i crimini commessi. Jolovic è dunque al contempo una figura popolare (in Serbia) e controversa per via della sua partecipazione a una pagina di storia che è tuttora una ferita aperta per il popolo bosniaco.

Lo vediamo accanto a Djokovic in questo scatto tratto da un evento a cui il numero uno del mondo ha partecipato durante i giorni trascorsi in terra balcanica; la foto ha provocato diverse reazioni nella comunità bosniaca, come ha riportato Adam Addicott su Ubitennis.net che spiega anche come Djokovic abbia conosciuto Jolovic (e sua moglie Snezana, ex podista) un anno fa nel corso della prima visita alle piramidi bosniache.

Il secondo focolaio di critiche, a seguito del quale la faccenda ha varcato i confini balcanici per apparire addirittura sui quotidiani generalisti europei (compresi quelli italiani), riguarda invece la presenza di Djokovic al matrimonio di Nemanja Majdov, ex campione serbo di Judo. Non è ben chiaro se si tratti di due apparizioni differenti, ma il fatto che Djokovic indossi lo stesso abito lascia immaginare che possa trattarsi della stessa occasione. Ad ogni modo, nel corso di questa cerimonia della quale esiste anche un breve estratto video su YouTube, Djokovic è stato ritratto mentre canta assieme al succitato Milorad Dodik, che del massacro di Srebrenica di cui Ratko Mladić è stato parte attiva (le fonti storiche riportano l’uccisione di circa 8000 musulmani bosniaci), si è dichiarato, come vi abbiamo già detto, pubblicamente negazionista.

Sono probabilmente questi i motivi per cui Novak Djokovic ha preferito non rilasciare dichiarazioni pubbliche a riguardo, nonostante sia stato contattato da Al Jazeera. Inevitabilmente, è finito nell’occhio del ciclone.

Questa particolare attenzione per le amicizie di Djokovic, soprattutto quando riguardano i rapporti con attuali o ex esponenti politici e militari serbi, è facilmente spiegabile con alcune considerazioni fatte dal collega Emanuele Atturo in questo articolo comparso sul portale ticinese ‘La Regione‘. Da una parte c’è la dimensione politica di Djokovic, corroborata dall’infanzia vissuta nella Belgrado insanguinata dalle guerre jugoslave e manifestatasi più ampiamente in età adulta: Djokovic non ha mai avuto paura di esprimere opinioni forti e controverse (come accaduto per i vaccini), a testimonianza di una coscienza politica assai spiccata.

Dall’altra parte c’è la difficoltà di tracciare, in Serbia, una linea di confine tra il patriottismo ‘sano‘ – ammesso ne esista uno, e chi scrive non ne è convinto – e il nazionalismo nella sua forma più deteriore, quella che ha dato vita alle guerre e ai massacri degli anni Novanta. Ne è un banale esempio il massiccio utilizzo del saluto serbo, eseguito con le prime tre dita estese e le ultime due chiuse, nato per simboleggiare la trinità della fede ortodossa e diventato successivamente segno di vittoria dei soldati serbi durante le guerre jugoslave; nonostante per anni abbia accompagnato atti di intollerabile violenza, il saluto è rimasto nella cultura serba e oggi viene utilizzato comunemente; più volte abbiamo visto lo stesso Srdjan Djokovic, papà di Novak, utilizzarlo per festeggiare le vittorie di suo figlio.

Analizzati i motivi per cui Djokovic si ritrova particolarmente esposto quando si tratta di richiami alla tumultuosa storia (politica e militare) del suo paese, ci permettiamo una considerazione conclusiva sull’opportunità, per uno degli atleti più popolari del pianeta, di accompagnarsi con personaggi del curriculum (eufemisticamente) poco limpido in riferimento a una fetta di terra, i Balcani, che non hanno certo bisogno di polarizzare ulteriormente posizioni – e popoli – già parecchio distanti tra loro. Questo non costituisce una colpa in sé, né può trasformarsi in un endorsement automatico a determinate idee politiche propugnate dai personaggi con cui Djokovic è stato fotografato, ma come la questione dei vaccini ha a che fare con il ruolo di responsabilità a cui è chiamato chi, per la popolarità di cui dispone, sa di poter entrare nel quotidiano di molte persone.

Il problema non è dunque l’immagine di Djokovic, della cui limpidità tutto sommato deve interessare soltanto a Djokovic stesso, quanto l’effetto che questa immagine, o una sua eventuale versione distorta, può avere sul pubblico che si ritrova a decodificarla senza avere magari gli strumenti adatti per dubitare del fatto che, appunto, essere seduti allo stesso tavolo non significa essere d’accordo con tutti i commensali; questo deve essere chiaro a chi sarebbe già pronto a inserire il nome di Djokovic tra i criminali di guerra per un paio di scatti del 2021.

Provate però a pensare ai temi più sensibili con i quali una società deve confrontarsi al giorno d’oggi: non è possibile escludere dalle primissime posizioni la salute pubblica (e quindi il discorso sull’utilità dei vaccini) e la pericolosa eredità storica dei regimi totalitari, delle barbarie di guerra e dei genocidi (e qui c’è la storia della guerra balcanica e del massacro di Srebrenica), anche quando il tema viene toccato solo in modo indiretto come in questo caso. Djokovic non ha fatto nulla che si possa definire sbagliato, in base ai fatti che conosciamo, ma ha fatto sicuramente qualcosa di sconveniente. Ed è piuttosto difficile che l’azione sconveniente di un personaggio pubblico non generi reazioni anche molto risentite.

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