Numeri
Numeri: l’inarrestabile discesa di Dimitrov, l’interessante ascesa di Kokkinakis
Il bulgaro vive una crisi forse irreversibile. L’australiano, se libero da problemi fisici, può essere un cliente scomodo per tanti: l’approfondimento settimanale di Ferruccio Roberti

23 – La posizione nella Race ATP occupata questa settimana da Thanasi Kokkinakis. Una indicazione della classifica che considera solo i risultati ottenuti a partire da gennaio 2022 utile meglio di mille altri indizi a mostrare come questo ragazzo – già fattosi conoscere nel 2013 da junior con le finali raggiunte agli Australian Open (persa da Kyrgios) e agli Us Open (dove è stato sconfitto da Coric) – stia trovando finalmente la continuità che sinora gli era mancata. Sulla soglia dei 26 anni – li compie domenica – Thanasi sta trovando la salute fisica indispensabile per competere ad alti livelli nel tennis professionistico e raggiungere quei risultati che gli infortuni sinora gli hanno impedito. Al momento – a dispetto di doti tecniche e balistiche fuori dalla norma – è stato appena 50 settimane nella top 100 e ha avuto un best career ranking di 69 ATP, raggiunto nel giugno 2015, quando a 19 anni sembrava avere davanti ben altre prospettive di carriera rispetto a quelle sinora raggiunte. Eppure, “Kokk” – così viene chiamato amichevolmente – già nel 2014 terminava la stagione nei primi 150, per poi chiudere il 2015 nei primi 80.
Un’operazione alla spalla destra gli aveva però poi fatto saltare praticamente tutto il 2016, nel quale aveva partecipato solo al torneo olimpico, per poi rientrare nel circuito solo nel 2017, sulla terra rossa di Lione, dove giocò senza classifica. Una situazione precaria di ranking che gli ha quantomeno consentito di infrangere alcuni record, come quello successivo alla vittoria – prima della carriera contro un top 10 – su Raonic al primo turno del Queen’s (non accadeva dal 1994 che il numero 6 del mondo venisse battuto da un tennista con la classifica più bassa di quella di Thanasi, in quel momento 698 ATP). O anche il primato conseguente alla prima finale raggiunta a livello ATP, persa da Querrey a Los Cabos nell’agosto 2017: era dal 2008 che un giocatore con peggiore ranking del suo non si spingeva così avanti in un torneo del circuito maggiore. Successivi problemi fisici a quella finale – ha sofferto anche di problemi ai muscoli addominali – lo hanno poi costretto, dopo gli Us Open di cinque anni fa, a giocare solo nel 2018, quando a Miami sconfigge da 175 ATP al tie-break del terzo set l’allora numero 1 al mondo Federer, configurando un altro risultato statistico molto importante.
Il campione svizzero ad eccezione della partita persa contro Tommy Haas nel primo turno di Stoccarda 2017, non perdeva infatti contro un tennista non compreso tra i primi 150 dal 2000 a Indianapolis: in quella circostanza, già tra i primi 40 del mondo, Roger fu sconfitto in due set dall’australiano James Sekulov. Ma la lista degli infortuni per il greco non si è fermata dopo quel prestigioso successo; tra un infortunio – prima alla spalla sinistra e poi a quella destra – e uno al pettorale destro chiude l’anno e mezzo trascorso tra l’edizione di Miami del 2018 e la fine del 2019 con soli diciannove tornei giocati e – quando salta tutto il 2020 a causa della mononucleosi e della pausa del circuito per l’emergenza pandemica nata con il Covid 19 – si ritrova ad inizio della scorsa stagione fuori dalla top 250 ATP. Un 2021 finalmente senza infortuni gli permette di trovare continuità quantomeno nell’attività nel circuito ma la ruggine della lunghissima inattività accumulata non gli permette di trovare brillantezza e di fare un concreto balzo in classifica: chiude la scorsa stagione da 171 ATP, avendo vinto solo due partite nel circuito maggiore e con una solo successo contro un top 100. Il 2022 si è aperto invece alla grande: nella città in cui è nato, Adelaide, sfrutta molto bene l’occasione data dal susseguirsi di due consecutivi tornei ATP 250 nel luogo che gli ha dato i natali: nel primo dei due raggiunge un piazzamento importante come la semifinale, un piazzamento che non otteneva da di più di quattro anni. La settimana successiva fa ancora meglio: vince il primo torneo nel circuito maggiore battendo nel suo percorso verso il titolo top 30 come Isner e Cilic e in finale Rinderknech .
A Miami le scorse settimane è arrivata la prova del nove sul suo effettivo stato di forma: sette anni dopo la prima volta ha raggiunto gli ottavi di finale in un Masters 1000, superando nel suo percorso anche Schwartzman, dopo una battaglia di oltre tre ore che aveva visto l’argentino andare a servire per il match nel corso del secondo set. Quel match è stato un segnale importante, sia per il livello dell’avversario battuto (a parte Federer, Thanasi non sconfiggeva un top 20 da 5 anni) sia per la durata dell’incontro, che mostra la qualità ritrovata della sua preparazione atletica. Kokkinakis, ritornato in top 100 lo scorso febbraio dopo sei anni di assenza, si è intanto reso anche grande protagonista in doppio, dove questa settimana è salito al 33° posto del ranking di specialità: un risultato possibile grazie alle semi conquistate a Miami ma soprattutto in virtù del successo agli Australian Open, entrambi ottenuti assieme a Nick Kyrgios (i due avevano già una certa intesa, basti pensare che da junior avevano vinto assieme Wimbledon). Kokkinakis e Nick hanno conquistato lo Slam di casa entusiasmando il pubblico di Melbourne, in un percorso che li ha visti sconfiggere anche la coppia numero 1 di specialità Pavic e Mektic e un’altra con due dei migliori doppisti del circuito, Zeballlos e Granollers. Risultati che in singolare lasciano il tempo che trovano, ma che sicuramente hanno dato a Thanasi entusiasmo e fiducia nelle proprie possibilità, oltre che un corposo assegno di 337 mila euro. La curiosità di sapere sin quanto in alto si possa spingere nella classifica ATP è tanta: non resta che aspettare i prossimi mesi.
ATP
La longevità di Novak Djokovic attraverso i numeri
Più anziano vincitore a New York. 24 titoli Slam e solo tre finali Slam perse dopo i 30 anni; prima erano state 9

Il seguito del video è presente sulla sezione dedicata allo US Open 2023 del sito di Intesa Sanpaolo, partner di Ubitennis.
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Calato il sipario sulla 143esima edizione dello Slam più eccentrico dell’anno, è tempo di tirare le somme. È stato un bel torneo nonostante le poche soddisfazioni portate a casa dai nostri azzurri (anche se gli ottavi di Jannik Sinner e di Matteo Arnaldi con il terzo turno di Lucia Bronzetti, mai così avanti in uno Slam, non sono certo da buttare) con qualche piccola sorpresa sul finale. Nessuno si aspettava di vedere Ben Shelton giocare una semifinale nel suo primo anno da professionista – e speriamo non sia una meteora (si veda, Denis Shapovalov); i numeri uno delle rispettive classifiche, entrambi detentori del titolo 2022, eliminati prima della finale; Coco Gauff che trova finalmente la quadra nel suo tennis, rimonta e alza il trofeo più prestigioso della sua giovane carriera dopo un’estate da sogno.
Quello che non è più una sorpresa, quello che era già nell’aria prima dell’inizio del torneo era la concreta possibilità di Novak Djokovic di aggiungere un altro Slam al suo palmarès.
Ed ecco fatto. Siamo arrivati a 24. Tanti quanti Margaret Smith Court. L’irraggiungibile traguardo per Serena Williams. A 36 anni, suonati, Novak Djokovic è il tennista meno giovane di sempre ad alzare il trofeo sotto le luci di New York. Ken Rosewall e Roger Federer sono gli unici ad aver conquistato uno Slam passati i 36 anni ed entrambi, l’hanno fatto a Melbourne. Non è certo un caso che si tratti del primo Slam, il primo impegno dell’anno, quello in cui i più “attempati” si presentano più riposati, più in forma. Invece lui, Nole, lo fa nell’ultimo Slam dell’anno dopo una lunga stagione, lunghissima stagione in cui si è preso Australian Open, Roland Garros, ha giocato la finale a Wimbledon e ha aggiunto il “1000” numero 39 in carriera a Cincinnati, prendendosi la rivincita contro Carlos Alcaraz.
È il terzo giocatore nell’Era Open a vincere nello stesso anno Australian Open, Roland Garros e US Open; prima di lui ci erano riusciti solo Rod Laver (1969) e Mats Wilander (1988). Per la quarta volta in carriera, Novak ha vinto tre tornei Slam durante l’anno solare; Federer ci era riuscito solo tre volte. La completezza tecnica, fisica e tattica dimostrata nella finale di ieri sera contro un ottimo Daniil Medvedev sono davvero incredibili.
Tra le tante, una delle statistiche più interessanti riguardano le finali vinte e perse prima e dopo i 30 anni.
Tra i 20 e i 29 anni, Novak Djokovic ha giocato 21 finali: 12 le ha vinte e 9 le ha perse. Dai 30 ai 36 anni di oggi, il tennista di Belgrado ha giocato 15 finali: ne ha perse solo tre.
Numeri pregiudicati dal calo a cui Federer, Nadal e Murray – gli altri Big Four, sono inevitabilmente andati incontro con lo scorrere del tempo? Forse no. Guardando nel dettaglio, queste sono le finali perse da Djokovic prima dei 30 anni:
- Roger Federer, US Open 2007
- Rafael Nadal, US Open 2010
- Rafael Nadal, Roland Garros 2012
- Andy Murray, US Open 2012
- Andy Murray, Wimbledon 2013
- Rafael Nadal, US Open 2013
- Rafael Nadal, Roland Garros 2014
- Stan Wawrinka, Roland Garros 2015
- Stan Wawrinka, US Open 2016
Il tennista contro cui Djokovic ha perso più volte in una finale Slam è Rafael Nadal: sono ben 4 gli scontri in cui il mancino spagnolo ha avuto la meglio, la metà di questi sono al Roland Garros, sulla terra, dove Nadal gioca un altro sport. A ben vedere, sorprendono di più le sconfitte incassate da Andy Murray sull’erba e sul veloce e da Stan Wawrinka sempre sul veloce.
Passati i 30 anni la statistica cambia nettamente: solo tre le finali perse. Al Roland Garros 2020 contro il solito Nadal, allo US Open 2021 quando si è schiantato contro Daniil Medvedev e la paura di compiere l’impresa più grande di sempre (vincere i quattro tornei Slam in un anno) e Wimbledon 2023, dopo 4 ore e 42 minuti di lotta serrata contro il nuovo fenomeno del tennis mondiale, Carlos Alcaraz. È evidente che col passare degli anni, Nole sia stato capace, più di altri di migliorarsi, non solo fisicamente e tecnicamente ma soprattutto, mentalmente. E come ha detto lui stesso ieri in conferenza stampa, nel 2021 la pressione lo avevo sconfitto, ora ha imparato la lezione.
Fai tesoro delle sconfitte, impara e la volta dopo, non commettere più lo stesso errore. Uno dei cardini della Mamba Mentality a cui Nole ha reso omaggio. Durante il trionfo per il 24esimo sigillo, Novak ha voluto rendere omaggio a Kobe Bryant, indossando una maglietta con il numero 24, lo stesso con cui giocava Kobe, a lui dedicata con una foto che li ritrae insieme. Nell’intervista, ha confidato di aver chiacchierato spesso con lui sulla necessità di costruire e mantenere una mentalità vincente, specie durante il suo lungo infortunio, che gli ha permesso di rientrare e tornare più vincente di prima. Mamba Mentality.
Flash
Numeri US Open: anche le statistiche dicono Djokovic e Alcaraz. Seguono Medvedev e Sinner
I quattro vincitori degli ultimi sei grandi tornei giocati sul cemento all’aperto partono favoriti anche a New York

4 – I vincitori degli ultimi sei grandi tornei giocati sul cemento all’aperto (lo US Open 2022, l’Australian Open e i quattro Masters 1000 giocati nel Nord America quest’anno). Carlos Alcaraz, Novak Djokovic, Daniil Medvedev e Jannik Sinner sono anche i quattro tennisti ad aver fatto meglio nei primi otto mesi dell’anno e in particolare i primi due, dominatori del ranking ATP e protagonisti appena la scorsa domenica di una meravigliosa finale a Cincinnati , godono dei favori del pronostico di bookmakers, addetti ai lavori e appassionati.
Anche i principali dati statistici indicano quanto difficilmente il titolo dello Us Open non andrà a uno dei quattro tennisti nominati, a partire da quelle relative alle partite vinte nel 2023 sul cemento all’aperto. Ciò anche se tre di loro, tutti tranne Djokovic si trovano nella stessa metà alta del tabellone e per le chance di un eventuale trionfo di Sinner il tennista altoatesino potrebbe ritrovarsi a dover affrontare e superare nei quarti il campione in carica e n.1 Atp Alcaraz, in semifinale Medvedev (e potrebbe rivelarsi ancora più difficile visto che ha perso 6 volte su 6) e in finale Djokovic. Un percorso più complesso, accidentato, forse non esiste.
CHI HA VINTO DI PIÙ SUL CEMENTO
La miglior percentuale in assoluto tra match vinti e giocati è di Djokovic (il 95.24%, grazie a 20 match vinti e una sola sconfitta), seguito in questa classifica proprio da Medvedev (84.38 %, 27 W- 5 L), Alcaraz (84.21%, 16 W-3) e dal nostro Jannik (78.26 %, 18 W- 5 L). Subito dopo di loro, merita di essere citato Taylor Fritz (77.50 %, 31 W- 9 L): lo statunitense è poi primo in assoluto per partite vinte sul cemento all’aperto nel 2023 (seguono, in questa particolare graduatoria, Medvedev con 27, Paul con 22, Djokovic e De Minaur con 20). Il numero 9 ATP e primo giocatore USA, incrociando varie statistiche e la sua classifica merita – sebbene agli US Open non abbia mai raggiunto la seconda settimana- una virtuale terza fila nella griglia dei pronostici, nella quale manca l’infortunato Nick Kyrgios che l’estate scorsa ha mostrato come anche sul cemento americano possa essere estremamente competitivo.
Per ingannare l’attesa dell’inizio delo prossimo US Open ho raccolto qualche ulteriore statistica per cercare di saperne di più chi sarà protagonista a Flushing Meadows. Dei primi nove giocatori del ranking ATP e di Zverev (finalista a Flushing Meadows nel 2020, ottavo nell’attuale Race e tra i tennisti più “caldi” del momento) sono stati così ricavati i punti conquistati sul cemento all’aperto nelle ultime 52 settimane (e la loro percentuale rispetto al totale), gli ultimi cinque piazzamenti conseguiti allo US Open, il bilancio partite vinte-perse in carriera nello Slam newyorkese, e i titoli vinti su questo tipo di condizione di gioco (complessivi e scomposti per categoria Slam e Masters 1000).
Inoltre, per valutare il rendimento dei principali favoriti in uno spettro temporale sufficientemente lungo e altrettanto indicativo (se allargato ulteriormente si sarebbe preso un periodo nel quale giovani o giovanissimi come Sinner, Alcaraz e Rune non erano ancora maturati tennisticamente) sono stati indicati il bilancio vinte-perse da luglio 2021 ad oggi e il relativo score contro i top 10. Nella tabella 1 sono raccolte le statistiche su accennate che tolgono diverse curiosità, alcune relative al primo giocatore al mondo. Come quella che vede lo spagnolo aver conseguito il maggior bottino di punti sul cemento all’aperto, ben 4140 (giocando 5 tornei contro i 4 di Djokovic) e che soprattutto, nonostante sia nato tennisticamente sulla terra battuta, la maggior parte (il 42.18%) dei punti che attualmente gli garantiscono il numero 1 in classifica li abbia ottenuti giocando sul duro nord-americano.

Eccellente anche il record di Djokovic a New York: nonostante il serbo abbia vinto “solo” 3 US Open (nel 2011, 2015 e 2018) è terzo in assoluto per partite vinte (81, dietro alle 98 di Connors e alle 89 di Federer) e terzo -tra chi ha giocato almeno 15 match a Flushing Meadows- per percentuale di match vinti/giocati (86.17, in una statistica che come vede migliore assoluto Sampras con 88.75, seguito dal grande campione svizzero con 86.41). Come si legge dalla tabella, Alcaraz, Djokovic, Medvedev e Sinner sono pure gli unici ad aver accumulato almeno 2500 punti sul cemento all’aperto: un altro dato che conferma come siano i principali favoriti dell’ ultimo Major stagionale. In particolare – se il tennista russo non avesse deluso nelle ultime settimane a Toronto e Cincinnati – il suo ottimo record generale (su queste condizioni di gioco nessuno ha vinto più partite di lui da luglio 2021, ben 73, davanti a Fritz con 67 e Norrie con 53) e quanto fatto in passato a New York (oltre ad aver vinto nel 2021, ha anche raggiunto una finale e una semi) lo porrebbero da favorito al pari di Alcaraz e Djokovic.
Sono comunque presenti tante altre curiosità sui campioni presenti a Flushing Meadows , tutte ricavabili dalla tabella, la cui analisi lasciamo alla curiosità dei lettori.
ATP
Djokovic-Alcaraz, la finale infinita. Ma è solo il quinto match più lungo al meglio dei tre set
La finale-maratona di Cincinnati entra nella top5 delle partite più lunghe di sempre al meglio dei tre set a livello ATP. Il primato resta di Roger Federer e Juan Martin Del Potro

La finale del Western & Southern Open tra Novak Djokovic e Carlos Alcaraz, vinta in rimonta dal fuoriclasse serbo, ha toccato picchi di pathos incredibili. In quella che molti considerano la partita più bella dell’anno – specialmente per via di un terzo set stellare – Nole e Carlitos non si sono risparmiati, restando in campo per 3 ore e 49 minuti. Un’autentica battaglia, una guerra di nervi prima ancora che una semplice partita di tennis, vinta sul filo di lana da chi, di questi match, ne ha già giocati a bizzeffe.
La vittoria a Cincinnati ha consegnato a Djokovic nuovi record, elencati qui con grande precisione da Giuseppe Di Paola, il cui contributo è stato fondamentale anche per la stesura di questo articolo. Ci siamo chiesti, dunque, quali fossero stati i match più lunghi di sempre a livello ATP, considerando soltanto le partite al meglio dei tre set. Ricordando che il record assoluto appartiene a John Isner e Nicolas Mahut, il cui primo turno a Wimbledon 2010 (vinto dallo statunitense) durò 11 ore e 5 minuti, abbiamo stilato una top5 degli incontri che sono durati di più nel circuito maggiore, partendo proprio dalla supersfida di domenica sera/notte. Tutti i minutaggi delle partite in questione sono stati verificati su atptour.com.
#5 (ex aequo): Alcaraz-Djokovic, Cincinnati 2023
Tutto ciò che si poteva dire a proposito di Alcaraz-Djokovic è già stato ampiamente detto. Un match clamoroso, incerto fino all’ultimo istante e ricco di ribaltamenti di fronte, in cui Nole è riuscito anche a superare un colpo di calore. I rimpianti sicuramente non mancano per Carlitos, che ha di fatto rimesso in partita il suo avversario con un passaggio a vuoto sul 7-5 4-2, non riuscendo poi a concretizzare un match point nel tie-break del secondo set. Tie-break che è poi stato vinto dal serbo, che dopo 3 ore e 49 minuti ha trionfato 5-7 7-6(7) 7-6(4), lasciandosi andare in un’esultanza alla Carlos Berlocq, con la t-shirt strappata di forza al termine del match.
#5 (ex aequo): Klizan-Youzhny, San Pietroburgo 2012
A pari merito con la finale di Cincinnati troviamo un match durato tanto uguale, ma forse leggermente meno spettacolare. Non ce ne vogliano Martin Klizan e Mikhail Youzhny – con il russo che è stato anche top10 nel 2008 – ma la location e la posta in palio erano un tantino diverse. Torniamo indietro di undici anni e andiamo virtualmente a San Pietroburgo, dove Youzhny e Klizan, rispettivamente n°1 e n°3 del tabellone, si giocano l’accesso alla finale dell’ATP250 russo. Ad attendere il vincitore di questa sfida c’è Fabio Fognini, che però non riuscirà a conquistare il titolo, venendo fermato in finale dallo slovacco. In 3 ore e 49 minuti Klizan rimonta e batte il padrone di casa, sconfiggendolo 6-7(11) 6-4 7-6(3).
#4: Cherkasov-Gaudenzi, Tel Aviv 1993
Il quarto match al meglio dei tre set più lungo nel circuito maggiore risale ad esattamente 30 anni fa, precisamente alla sfida tra Andrei Cherkasov e l’attuale presidente dell’ATP Andrea Gaudenzi. L’italiano aveva battuto all’esordio il n°3 del seeding Brad Gilbert, attuale allenatore di Coco Gauff, e il padrone di casa Eyal Ran, presentandosi ai quarti di finale contro il russo Cherkasov, testa di serie n°5. Al termine di un match pazzesco, Gaudenzi non riuscì a far sua la partita, arrendendosi 6-7(6) 7-6(2) 7-5 dopo tre ore e 54 minuti. In semifinale il russo pagò la maratona precedente e cedette al n°2 del tabellone Amos Mansdorf, poi sconfitto in finale da Stefano Pescosolido, che coronò con un successo una settimana pazzesca in cui eliminò le teste di serie numero 1, 2, 4 e 6.
#3: Nadal-Moya, Chennai 2008
Per un solo minuto sul gradino più basso del podio ci sono Rafael Nadal e Carlos Moya, che all’alba del 2008 lottarono per quasi quattro ore nella semifinale dell’ATP250 di Chennai. Oggi sono dalla stessa parte, con il secondo a ricoprire il ruolo di allenatore del primo, ma allora non esitarono a spingersi al limite, dandosi battaglia per tre ore e 55 minuti. Alla fine fu Rafa ad imporsi in tre tie-break, salvando ben quattro match point al primo torneo stagionale. Finì 6-7(3) 7-6(8) 7-6(1) per Nadal, che arrivò stremato alla finale del giorno seguente, venendo letteralmente spazzato via da Mikhail Youzhny. Il russo, in uno dei momenti migliori della sua carriera, stravinse la finale col punteggio di 6-0 6-1, infliggendo a Nadal la peggior sconfitta della sua carriera.
#2: Nadal-Djokovic, Madrid 2009
Dove ci sono lotta, grinta e resistenza c’è anche Rafael Nadal, che non si accontenta e, dopo la nostra medaglia di bronzo, si prende anche quella d’argento. Poco più di un anno dopo Chennai, lo spagnolo torna protagonista di un’autentica maratona, una delle partite più belle, intense e spettacolari del decennio. Parliamo della semifinale del Masters1000 di Madrid contro Novak Djokovic, che ancora oggi rimane l’incontro più lungo al meglio dei tre set disputato a livello ‘1000’, nonché il più lungo tra le partite con tie-break al set decisivo. Quel giorno nella capitale spagnola si toccarono picchi di tennis clamorosi, con il padrone di casa che riuscì in qualche modo a rimontare un set di svantaggio e soprattutto a cancellare tre match point, prima di imporsi 3-6 7-6(5) 7-6(9) dopo 4 ore e 3 minuti. A proposito di match estenuanti, Djokovic ebbe poi la sua rivincita tre anni dopo, quando all’ultimo atto dell’Australian Open 2012 batté Rafa dopo 5 ore e 53 minuti, vincendo la finale Slam più lunga di sempre.
#1: Federer-Del Potro, Londra 2012
La partita più lunga di sempre nel circuito maggiore al meglio dei tre set è stata in realtà una partita atipica. Siamo alle Olimpiadi di Londra 2012 e sull’erba dell’All England Club, su quegli stessi campi che tre settimane prima avevano ospitato il torneo di Wimbledon, si affrontano Roger Federer e Juan Martin Del Potro. È un match importantissimo perché permette a chi lo vince di assicurarsi una medaglia olimpica, dato che la sfida tra lo svizzero e l’argentino è una semifinale. Dopo essersi spartiti i primi due parziali, Roger e Juan Martin non danno segni di cedimento e, in assenza di tie-break sul 6-6 al terzo, proseguono ad oltranza. Alla fine, dopo 4 ore e 26 minuti, Federer trionferà 3-6 7-6(5) 19-17, abbandonandosi in uno splendido abbraccio con il suo rivale al termine del match. In finale, unico incontro che si disputava al meglio dei cinque set, le pile dello svizzero erano comprensibilmente scariche. Il beniamino di casa Andy Murray trovò così la strada spianata verso il suo primo oro olimpico in singolare, con cui si prese anche la rivincita per la sconfitta patita appena tre settimane prima in finale a Wimbledon.
Fuori dal circuito ATP: Challenger, qualificazioni e le 4h41 in un ITF a Cancun
Nella compilazione della nostra classifica abbiamo scelto di attenerci soltanto al circuito ATP per via della difficoltà a reperire dati ufficiali per quanto riguarda le categorie minori (non che trovarli per il circuito maggiore sia stato facile, anzi!). Meritano comunque di essere citate, ad esempio, le 4 ore e 13 minuti che pochi mesi fa, al Tennis Club Cagliari, sono servite al francese Ugo Humbert per battere 6-7(11) 7-6(7) 6-4 il giapponese Taro Daniel. Non è però un record a livello Challenger, visto che la partita più lunga rimane quella disputata poche settimane prima da Calvin Hemery e Alexis Galarneau, vinta 6-7(8) 7-6(4) 7-6(4) dal primo dopo 4 ore e 21 minuti.
Sponstandoci nell’universo delle qualificazioni – quelle dello US Open, tra l’altro, sono pronte a partire – c’è un match che potrebbe contendere lo scettro a Federer e Del Potro. Si tratta del secondo turno di quali del Roland Garros 2015, che diventerà l’incontro con più giochi disputati nella storia del tabellone cadetto parigino. In campo ci sono Pierre-Hugues Herbert e il nostro Andrea Arnaboldi, che si sfideranno per due giorni senza esclusione di colpi. Alla fine trionferà l’italiano, capace di imporsi 6-4 3-6 27-25 in un terzo set che, ancora una volta, non prevedeva il tie-break decisivo. In diverse cronache si afferma che la durata della partita sia di 4 ore e 30 minuti esatti, mentre sul sito ATP a questo incontro vengono attribuiti quattro minuti in meno (4h26, come il match delle Olimpiadi di Londra).
Niente male infine, nel mondo ITF, la sfida tra Tiago Cação e Peter Goldsteiner ad ottobre 2018, risoltasi in 4 ore e 24 minuti in favore del primo col punteggio di 7-6(10) 3-6 7-6(7). Il record assoluto appartiene però al britannico Giles Hussey e al francese Constantin Bittoun Kouzmine, che sono riusciti a rimanere in campo addirittura per 4 ore e 41 minuti. A fine 2021 Hussey trionfò 6-7(7) 6-4 7-6(4) nel match più lungo di sempre al meglio dei tre set, giocatosi a Cancun a nei quarti di un torneo ITF.
(Ha collaborato Giuseppe Di Paola)